domenica 29 ottobre 2017

Risë Stevens


Risë Stevens (1913-2013), mezzosoprano, era americana di New York; all'anagrafe Risë Steenberg. Studiò alla Juilliard School, per poi perfezionarsi a Salisburgo e a Praga. L'inizio della sua carriera è quindi in Europa; tornerà in America e diventerà una delle stelle del Metropolitan di New York, dove cantò ininterrottamente dal 1938 al 1961. In Italia ha cantato poche volte; è da ricordare la sua partecipazione, alla Scala, alla prima rappresentazione di un'opera nuova di Virgilio Mortari, "La figlia del diavolo".
Risë Stevens al cinema ha un buon numero di film, anche come protagonista; nelle apparizioni dai programmi tv il più delle volte le si chiede di cantare qualcosa dalla Carmen di Bizet, uno dei suoi cavalli di battaglia. Questo è l'elenco dei suoi film, da www.imdb.com:
1941- The chocolate soldier, regia di Roy Del Ruth, protagonista con Nelson Eddy
1944- Going my way, con Bing Crosby (in Italia "La mia via"), regia di Leo Mc Carey, dove non è la protagonista ma ha comunque una parte consistente: aiuta Bing Crosby (che interpreta un prete cattolico) a raccogliere fondi per la sua chiesa. Risë Stevens si esibisce anche sul palcoscenico del Met, nella Carmen, oltre a cantare la canzone del titolo (che non è "My way")
1947- Carnegie Hall (Sinfonie eterne 1947), regia E.G.Ulmer (ne ho già parlato per esteso qui)
1949- Der Rosenkavalier di Richard Strauss, come Oktavian, dirige Fritz Reiner
1952- Four star review, programma tv, come ospite
1952- Carmen di Bizet 1952, con Richard Tucker e Robert Merrill, direttore Fritz Reiner
1955- The chocolate soldier 1955 tv, regia Jeffrey Hadley, con Eddie Albert, Akim Tamiroff
1956- Producer's showcase, programma tv, canta arie dalla Carmen come ospite.
1958- Hansel und Gretel: non l'opera di Humperdinck ma un film con regia di Paul Bogart. La Stevens interpreta la mamma.
1958- Little women 1958 tv, adattamento del romanzo di Louisa May Alcott, regia di William Corrigan. Rise Stevens interpreta Margaret March, le altre attrici sono oggi poco note.
1972- Ritorno a Oz (cartone animato), regia di Hal Sutherland. La Stevens dà voce alla strega buona; le altre voci sono di Liza Minnelli, Mickey Rooney, Mel Blanc, Bill Cosby, Larry Storch, e tanti altri.

 
 
 

giovedì 26 ottobre 2017

Carlo Bergonzi


Carlo Bergonzi (1924-2014) è la sicurezza assoluta: se ascoltate Bergonzi, potete stare certi che state ascoltando la partitura così come è stata scritta dall'autore. Altri cantanti si prendono delle libertà, chi più chi meno, ma Bergonzi era attentissimo a non sbagliare una nota e con la sua perfezione tecnica poteva permetterselo. Un perfezionista, ma anche un grande interprete. Purtroppo non ho potuto ascoltarlo in teatro, quando io cominciavo ad appassionarmi all'opera lui stava terminando una carriera gloriosa. Faceva ancora concerti, ma bisognava stare attenti e andare in giro per il mondo e per l'Italia, all'epoca non potevo permettermelo. Di suo mi porto dentro, oltre alla bellezza del canto, l'accento "ad Parmae" che è lo stesso di mia mamma e di metà della mia famiglia.
Carlo Bergonzi ha al suo attivo una sola presenza come attore, nel film di Zeffirelli "Il giovane Toscanini" (il personaggio si chiama Bertini). Queste sono le registrazioni operistiche, secondo il sito www.imdb.com :
1958- Omnibus, trasmissione della Rai; Bergonzi è un ospite e canta l'aria dalla Bohème di Puccini.
1965- Don Carlo di Verdi. Con Bergonzi cantano Nicolai Ghiaurov, Renata Tebaldi, Grace Bumbry, Dietrich Fischer-Dieskau; dirige Georg Solti
1966- Il Trovatore di Verdi, per la Rai; con Bergonzi cantano Piero Cappuccilli, Antonietta Stella, Adriana Lazzarini. Dirige Arturo Basile
1966 - Aida di Verdi dall'Arena di Verona; con Bergonzi cantano Leila Gencer, Fiorenza Cossotto, Anselmo Colzani, dirige Franco Capuana.
1967- L'elisir d'amore di Donizetti, al Maggio Musicale di Firenze, con Renata Scotto e Giuseppe Taddei. Dirige Gianandrea Gavazzeni.
1967- Un ballo in maschera di Verdi, Giappone, NHK dir De Fabritiis, con Antonietta Stella; il baritono è Zanasi
1967- Lucia di Lammermoor di Donizetti, in Giappone. L'orchestra NHK è diretta da Bruno Bartoletti; con Bergonzi cantano Renata Scotto e Furio Zanasi.
1973- Aida di Verdi, sempre in Giappone, con Fiorenza Cossotto e Orianna Santunione. Dirige Oliviero de Fabritiis.
1988- "Il giovane Toscanini", film con regia di Franco Zeffirelli, 1988. Il personaggio affidato a Carlo Bergonzi è Bertini.
1996- per la tv americana, "Live from the Metropolitan", dove Bergonzi è ospite.

 

martedì 24 ottobre 2017

Le trombe dell'Apocalisse


Le trombe dell'Apocalisse (1969) Regia di Julio Buchs Garcia. Soggetto e sceneggiatura di Federico de Urrutia, Julio Buchs, Sandro Continenza. Fotografia di Manuel Rojas. Musiche di Gianni Ferrio. Interpreti: Brett Halsey, Marilù Tolo, Romina Power, e altri. Durata: 1h25'

"Le trombe dell'Apocalisse" è un film non bello ma curioso, con diversi motivi d'interesse, che però fu distribuito da noi con il titolo, fuorviante e anche un bel po' stupido, "I caldi amori di una minorenne", e pubblicizzato un po' ovunque con il nome e le sembianze di Romina Power, all'epoca diciassettenne. Di conseguenza, lo avrei evitato con cura e lo eviterei ancora oggi, ma mi ci sono imbattuto per caso registrando altri film che mi interessavano, mi son chiesto cos'era, e adesso lo so.

 
Il soggetto è molto complesso, non banale (qualcosa di simile c'è in "Il segno del comando", sceneggiato Rai di grande successo, più o meno contemporaneo a questo film), e avrebbe meritato miglior regia e miglior svolgimento: si parte da una serie di suicidi inspiegabili, a Londra, e si scoprirà alla fine che tutto deriva da una partitura d'autore ignoto che esiste in un'unica copia su un manoscritto del Settecento trovato in Sassonia e che ha per titolo, appunto, "Le trombe dell'Apocalisse". E' per archi, niente trombe quindi; ne esiste una riduzione per pianoforte preparata da un musicologo chiamato John Stone, che è appunto il primo suicida della lista. Dopo un'ora di film (dura 1h25 circa) vediamo finalmente lo spartito; il nipote del musicologo è un archeologo che decifra la scritta in arabo sul manoscritto: c'è scritto che la vera melodia la si può ascoltare solo se si suona dopo aver ingerito un fungo allucinogeno, e si fa risalire la scoperta all'antica Babilonia.
Questo soggetto, che dà luogo a un thriller risibile nel suo svolgimento, viene inserito nella Londra anni '60, tra psichedelia, LSD e locali notturni, con sette vagamente hippy, eccetera: è in questo ambiente che incontriamo la Power. E' tutto molto di maniera, peccato perchè il risultato poteva essere interessante.
Il vero e grande punto debole del film è il protagonista Brett Halsey, che interpreta un ufficiale di marina che indaga sull'inspiegabile suicidio della sorella: le sue frequenti scazzottate sono così inverosimili che lasciano sgomenti, scontri così ridicoli non si vedono nemmeno nei fumetti, nemmeno in Superman o Popeye. Al suo fianco c'è Marilù Tolo, che si impegna ed è brava, ma il film è quello che è. Nel corso del film tra i due nasce un idillio che il regista sottolinea con musichetta romantica, vere e proprie "sviolinate", ad ogni bacio o sguardo, e anche questo è davvero ridicolo. Il rude marinaio fa a cazzotti con un rude rumeno (che sarà poi il terzo suicida per via della combinazione fra la musica e il fungo) e con un matto che è il re dell'LSD, rivale del rumeno nello spaccio della droga fra i londinesi. Il vero colpevole è il disc jockey, che però è anch'esso vittima della droga, eccetera eccetera.
Questi sono i difetti (grossi). I pregi sono nelle immagini quasi documentarie della Londra di quegli anni, una città già in cambiamento; si sottolineano i primi grattacieli, e sarebbe interessante veder commentate queste immagini, e paragonate con l'oggi. La fotografia non è perfetta ma ha dei colori strani, cupi e verdastri; sarà forse la pellicola da restaurare, ma così come è rimanda agli espressionisti e al Caligari, e non dispiace.
Il titolo originale è "Las trompetas del Apocalipsis", coproduzione italospagnola; il regista Julio Buchs Garcia, spagnolo, ha al suo attivo una ventina di film come regista e scrittore, direi niente di memorabile, qualche Django, robetta. Tra gli autori della sceneggiatura c'è Sandro Continenza; Romina Power ha molte scene ma non è la protagonista, ruolo che spetta forse a Marilù Tolo. Gli altri attori sono per me sconosciuti.
 

Un soggetto che andrebbe riscritto, con un po' di attenzione potrebbe essere un buon film, ma se un buon soggetto capita in mano al produttore sbagliato questi sono i risultati. Dispiace per Marilù Tolo, soprattutto; come attrice avrebbe meritato film migliori.
Un dettaglio per gli appassionati di musica registrata: in questo film si vede bene un organetto con disco forato orizzontale, somigliante a un grammofono; lo suona un mendicante in una scena però sprecata dalla sceneggiatura che riduce la sua parte a poca cosa (forse l'intenzione originaria era di prendere a modello l'indovino del Giulio Cesare, o quello di Moby Dick sul molo prima della partenza). L'organetto comunque si vede in diverse scene nel corso del film, magari qualcuno dei lettori sa anche indicarmi il nome preciso. La musica "dell'Apocalisse" viene invece suonata su un harmonium, da Marilù Tolo; e come musica è una fetecchia, of course. E non poteva essere diversamente.


 

domenica 22 ottobre 2017

Caterina va in città


Caterina va in città (2003) Regia di Paolo Virzì. Scritto da Francesco Bruni e Paolo Virzì. Fotografia di Arnaldo Catinari. Musiche di Donizetti, Mozart. Musiche per il film di Carlo Virzì. Interpreti: Alice Teghil, Margherita Buy, Sergio Castellitto, Flavio Bucci, Claudio Amendola, Zach Warren Durata: 103 minuti.

Porto in questo blog dedicato all'opera lirica "Caterina va in città di Paolo Virzì (2003) perché la ragazza protagonista canta in un coro, all'Accademia di Santa Cecilia si dice nel film. Nel finale, sui titoli di coda, c'è il coro dei domestici tratto da "Don Pasquale" di Donizetti, un ascolto inaspettato e una piacevole sorpresa; prima ancora c'è il mottetto "Ave verum corpus" di Mozart, un brevissimo capolavoro molto eseguito dalle corali di tutto il mondo. Purtroppo non ho trovato nessuna indicazioni sul direttore d'orchestra e sugli interpreti.
Questo è il testo del coro che si ascolta nel finale, con parole che ben si adattano a ciò che si vede nel film:
Che interminabile andirivieni!
Tin tin di qua, tin tin tin tin,
in pace un attimo giammai si sta. (...)
(dall'atto terzo del "Don Pasquale" di Gaetano Donizetti)

 
 
Sul film per intero mi ero segnato questi appunti:
"Caterina va in città" di Paolo Virzì ha due facce: una da serie tv, piuttosto brutta, e l'altra da grande cinema, memore di Olmi e dei grandi registi francesi (o magari di Wenders, "Alice nelle città"). Nella prima c'è Castellitto, c'è Amendola, ci sono tutti i vezzi e le maschere fisse della fiction televisiva, alle quali purtroppo questi attori hanno affidato gran parte delle loro interpretazioni. Nella seconda c'è la ragazza protagonista, e c'è anche Margherita Buy (che dal nostro cinema avrebbe meritato qualcosa di più).
La ragazza si chiama Alice Teghil, e forse Virzì avrebbe davvero voluto fare un film tutto su di lei, sul ragazzo australiano, sul violoncellista altoborghese che la deve lasciare perché goffa e provinciale: sarebbe stato un film di Olmi, insomma, intenso e attento, come "Il posto". Ma i film di Olmi oggi non si possono più fare (lo vieta la scuola di Canale 5: lo spot viene prima di ogni altra cosa), ecco perciò la necessità di inserire macchiette come quelle del deputato di Alleanza Nazionale (interpretato da Claudio Amendola), le comparsate di Maurizio Costanzo, Giovanna Melandri, Simonetta Martone, Roberto Benigni, Michele Placido...


 
Però ci sono delle scene belle, come quella in cui Margherita Buy rompe tutti i piatti ma poi si mangia lo stesso, e soprattutto quella nel finale del bacio della protagonista con il ragazzo australiano che sta per partire, forse definitivamente. Mi trova d'accordo il personaggio di Castellitto quando dice che il deputato di AN e l'intellettuale che si dice di sinistra (interpretato da Flavio Bucci) sono in fin dei conti dello stesso partito e della stessa razza, e che per loro noi siamo solo dei giocattoli. La sinistra dovrebbe identificarsi con i lavoratori, con le persone impegnate nell'aiutare il loro prossimo, purtroppo così non è più. Il film però finisce con il mancare questi temi, anche la "fuga" del professore (Castellitto), del quale non si saprà più niente, non è risolta poeticamente, sembra anzi che tutti siano contenti (sollevati) perché si è levato di torno. Rimane però un'impressione positiva, dovuta quasi del tutto alla giovane Alice Teghil e agli attori e attrici non professionisti.
(marzo 2006)


 

venerdì 20 ottobre 2017

Prendimi l'anima


 
Prendimi l'anima (2002) Regia di Roberto Faenza. Sceneggiatura di Gianni Arduini, Alessandro Defilippi, Elda Ferri, Hugh Fleetwood, Giampiero Rigosi, Roberto Faenza. Fotografia di Maurizio Calvesi. Musiche per il film di Andrea Guerra; finale del Tristan und Isolde di Richard Wagner. Interpreti: Iain Glen, Emilia Fox, Craig Ferguson, Caroline Ducey, Viktor Sergachev, e altri. Durata: 1h30'

Nel film di Roberto Faenza "Prendimi l'anima", Carl Gustav Jung e Sabine Spielrein vanno insieme ad assistere al Tristano e Isotta di Wagner. Noi vediamo il finale (morte di Isolde), dove lui si commuove ed esce precipitosamente, seguito da lei. Il regista, previdente, li aveva fatti sedere nelle poltroncine più adatte (due posti laterali) così non si disturba nessuno quando ci si alza. Appena fuori dalla platea (si sa che Isolde ci mette un bel po' a chiudere l'opera, quindi c'è tempo) lei lo consola, lui le dice che piange perchè è felice, si può ben immaginare come vanno a finire queste cose nei film: un bacio appassionato, magari anche qualcosa di più. Però lui si tira indietro quando lei dice che vuole avere un figlio; infatti Jung è felicemente sposato. Quindi, niente amplesso nel foyer; poi si passa ad altro, questa scena occupa meno di tre minuti.

 
Del Tristano in scena si vede qualcosa, del resto basta poco ai fini della narrazione, giusto l'evocazione della musica e del momento. La voce che si ascolta è quella di Kirsten Flagstad, l'attrice che impersona Isolde è molto giovane e si vede solo in questi fotogrammi. Tristano, come dev'essere a quel punto dell'opera di Wagner, giace morto con addosso una pesante tenuta da combattimento (chissà poi perché, forse quello sciagurato di Kurwenal non l'ha nemmeno medicato?)


Durante la visione del film mi ero segnato questi appunti, che riporto qui (servono a qualcosa?). Sottolineo che non sono un esperto di psicoanalisi, qualcosa conosco ma non mi sono mai interessato più di tanto alle relazioni affettive di Jung e Freud e ai loro bisticci personali (interessano davvero a qualcuno? io preferisco leggere i loro scritti, almeno fin dove posso arrivare). E' invece interessante la vita di Sabine Spielrein dopo la guarigione, non ne sapevo nulla e di questo ringrazio il regista Faenza e i suoi collaboratori.
 
"Prendimi l'anima" (2002) è la storia di Sabine Spielrein, con Jung ma senza Freud; il soggetto è lo stesso di "A dangerous method" di Cronenberg, uscito nove anni dopo nel 2011. Freud non c'è perché nella seconda metà del film si preferisce andare direttamente a Mosca, dove la Spielrein fonderà la sua scuola per bambini (l'Asilo Bianco), che prosperò sotto Lenin ma verrà chiusa da Stalin.
Il film comincia nel 1904 a Zurigo, quando la giovane Sabina Spielrein viene rinchiusa dai genitori nella clinica psichiatrica dove lavora Carl Gustav Jung, apparentemente perduta quasi senza speranza. I genitori ripartono subito per Rostov, in Russia. In clinica, Sabina conosce il giovane dottor Jung, che in un anno la cura e riesce a guarirla, senza usare costrizioni ma solo con la psicoanalisi. Questa è la prima metà del film (che in totale dura 1h30 circa); una volta che Sabina è guarita nasce (nel film) una relazione, contraria all'etica professionale. Ma lei capisce che Jung tiene al suo matrimonio, accetta di vivere una sua vita e torna in Russia, dove si sposerà e dove fonderà la sua scuola per bambini. Sabina Spielrein morirà nel 1942 a Rostov, uccisa a mitragliate dai nazisti dentro la Sinagoga, insieme a sua figlia e a tutta la comunità ebraica locale.

 
Il film è interessante, ma la seconda parte è migliore della prima perché porta notizie meno conosciute, e anche perché vedere Jung mentre fa sesso non è affatto interessante. Oltretutto, la relazione fra i due non è certa, è un'ipotesi che si basa su supposizioni dedotte dal loro carteggio, ma non si sa se la relazione sia stata effettivamente in questi termini. Ovviamente, dovendo costruire un film, la scena di sesso non poteva mancare. Allo stesso modo, i pazzi nel manicomio sono stati rappresentati molte volte al cinema, e qui c'è un po' di maniera nel riproporre scene e caratteri.
Iain Glen è il giovane dottor Jung, Emilia Fox è la Spielrein, Craig Ferguson e Caroline Ducey sono i due ricercatori che ricostruiscono la vita a Mosca di Sabina Spielrein. Jane Alexander è la moglie di Jung, l'attore russo Viktor Sergachev impersona l'anziano Ivan Ionov, collaboratore della Spielrein all'Asilo Bianco, che era ancora in vita quando fu girato il film.





lunedì 16 ottobre 2017

Il giudizio universale


 
Il giudizio universale (1961) regia di Vittorio De Sica. Soggetto e sceneggiatura di Cesare Zavattini. Fotografia di Gabor Pogany. Musiche di Alessandro Cicognini. Interpreti: Paolo Stoppa, Nino Manfredi, Marisa Merlini, Vittorio Gassman, Akim Tamiroff, Jack Palance, Silvana Mangano, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Renato Rascel, Jimmy Durante, Ernest Borgnine, Fernandel, Elli Davis, Melina Mercouri, Andreina Pagnani, George Riviere, Anouk Aimée, Jaime de Mora y Aragon, Vittorio De Sica, Pietro De Vico, Mike Bongiorno, Eleonora Brown, Maria Pia Casilio, Elisa Cegani, Lino Ventura, Lamberto Maggiorani, Ottavio Bugatti, Regina Bianchi, Alberto Sordi, Domenico Modugno, Pasquale Cutolo, e molti altri. Durata: 100 minuti.

“Il giudizio universale” di Vittorio De Sica (scritto con Zavattini) inizia con una voce tonante che scende dal cielo: “Alle 18 incomincia il Giudizio Universale!”. Tutti si fermano e guardano in alto, pensano a una pubblicità, ma non ci sono altoparlanti, non si vede niente in giro, cosa sta succedendo? La voce tonante e impressionante, avrei scoperto molti anni dopo, era quella del basso Nicola Rossi Lemeni.

 
E’ un film che avevo visto da bambino in tv, e mi era piaciuto molto anche se molte scene non le avevo capite; è divertente e ben scritto e continua a piacermi molto, ma è completamente scomparso dalle tv (che pure replicano ogni sorta di fetecchie) e anche trovare il dvd è diventata un’impresa.
In teoria (ma soltanto in teoria) si potrebbe definire come un film a episodi: ma sono episodi intrecciati fra loro, un mosaico o un caleidoscopio, costruito con grande intelligenza da Cesare Zavattini, e diretto con divertimento e con bravura da Vittorio De Sica. De Sica e Zavattini, insieme, hanno costruito alcuni dei film più belli e più grandi del cinema italiano; nel 1961 siamo verso la fine della loro collaborazione, ma "Il giudizio universale" è uno dei loro film più belli. Per intenderci, Zavattini e De Sica usano la stessa tecnica che poi sarà tipica (ovviamente con stile diverso) di Robert Altman, molte storie raccontate insieme, senza un vero protagonista, e portate avanti contemporaneamente fino alla conclusione. Che è una bella conclusione, poeticamente risolta con grazia (il ragazzo e la ragazza, giovanissimi e innamoratissimi, che finalmente possono stare insieme e che continuano a ballare senza accorgersi più di cosa succede intorno a loro) e costruita con grande maestria di sceneggiatura. Spero che nelle scuole di cinema si porti questo film come esempio, magari insieme a "Miracolo a Milano": è così che si costruisce una sceneggiatura. Zavattini, oltre alla grande bravura tecnica come scrittore e sceneggiatore, inserisce con grazia e senza mai farlo pesare temi importanti anche in un film comico, temi purtroppo fondamentali ancora oggi, come nell'episodio di Franchi e Ingrassia: il posto di lavoro è uno solo, ma loro sono in due e sono amici, che fare? Oggi succede questo: i posti di lavoro sono due, si presentano duecento persone... Il film è anche un po' invecchiato, va da sè; ha più di mezzo secolo e lo dimostra, ma è sempre un film divertente e piacevolissimo.

 
Gli attori sono tutti famosi o famosissimi, o in procinto di diventarlo; dovessi sceglierne uno soltanto sceglierei la risata di Marisa Merlini, insieme al bambino, nell'episodio di Vittorio Gassman (che qui ha l'intelligenza di fare da spalla, ma lo fa alla grande). O, magari, Paolo Stoppa (reduce da Pirandello, tragico e sofferto anche in una parte comica); o, ancora, il leggendario Pietro De Vico che vende ombrelli approfittando del diluvio universale (mai lasciar perdere un'occasione).



E’ l’unico film di Nicola Rossi Lemeni, che non vi appare di persona ma solo in voce, e fa comunque una gran bella figura; non so perché, ma mi ero convinto che avesse girato molti altri film come attore, ma non è così. “Il giudizio universale” esce nel 1961, quando il basso Rossi Lemeni era nel pieno della sua carriera; oltre a registrazioni d’opera e di concerti prima era apparso come ospite alla tv americana nel 1952 in “Toast of the town”. Una curiosità è che il basso Rossi Lemeni, nato a Costantinopoli da padre italiano e madre russa (1920-1991) viene indicato come “actress” su imdb; per chi parla inglese “Nicola” è infatti un nome femminile. Il resto della scheda a lui dedicata è corretta, ma c’è questa piccola svista che mi ha ricordato un disco di Bert Jansch dedicato alla sua ragazza, e che si intitola appunto “Nicola”.



In conclusione, a parte Rossi Lemeni e la sua voce soprannaturale, bisogna ancora ricordare che “Il giudizio universale” di De Sica e Zavattini si svolge in gran parte a Napoli, e alcune sequenze sono state girate dentro il Teatro San Carlo. In particolare, il finale: che è a colori, mentre tutto il resto del film è in bianco e nero. Passata la paura, tutti i personaggi si ritrovano al Gran Ballo: e così finisce il film, con le musiche scritte da Alessandro Cicognini e dirette da Franco Ferrara.



 
(le immagini vengono tutte dal finale del film,
girate dentro il Teatro San Carlo di Napoli;
la signora con l'occhio nero è Silvana Mangano)
 
 
 


sabato 14 ottobre 2017

Marionette (Beniamino Gigli)


Marionette (1939) Regia di Carmine Gallone. Scritto da Ernst Maritschka. Fotografia di Musiche di Verdi, Schubert, Brahms, Flotow. Auber. Canzoni di Bixio e Melichar. Marionette di Yambo (A.Novelli). Interpreti: Beniamino Gigli, Carla Rust, Lucia Englisch, Nicola Maldacea, Paul Kemp, Theo Lingen, Marcello Mastroianni, e molti altri. Durata: 95 minuti

Nel film "Marionette" Beniamino Gigli interpreta un tenore ricco famoso (Mario Rossi è il nome scelto per il personaggio) che per sfuggire al pressante calendario impostogli dal suo agente molla tutto e va in campagna sotto falso nome. Va nella vigna di sua proprietà, che cura personalmente proprio come un qualsiasi contadino. Mentre si sta spostando in bicicletta, vestito in tutto e per tutto come uno del posto, provoca la brusca frenata del camion di un teatro di marionette; scopre che il proprietario del teatrino è un suo amico e, dato che nella frenata sono caduti i dischi usati abitualmente negli spettacoli, si offre di cantare lui stesso di persona, nascosto dietro una tenda. Qui lo ascolta una donna giovane e ricca, che si convince di aver scoperto un fenomeno e vuole scritturarlo; c'è tutta una serie di equivoci e alla fine l'amore trionfa. Gigli canta quasi soltanto canzoni, "mamma non vuole babbo nemmeno" fa da motivo conduttore; poi canta Bixio, qualche altra canzone, e M'apparì dalla Martha di Flotow. Nel finale, in concerto, arie dal Rigoletto, la Serenata di Schubert in italiano e la Ninna nanna di Brahms in tedesco, ma purtroppo sempre interrotto e sovrapposto alle voci degli altri attori. Le marionette sono di Yambo ( A.Novelli, secondo i titoli di testa; difficile reperire informazioni in proposito, posso solo ricordare che lo scrittore e disegnatore Yambo si chiamava Enrico Novelli) e sono molto belle e molto somiglianti agli attori che vediamo nel film, e anche mosse magnificamente: mettono in scena il Rigoletto, voce di Gigli per il Duca, più l'aria famosa dal Fra Diavolo di Auber, "quell'uom di fiero aspetto". Gli attori sono in gran parte tedeschi, è infatti una coproduzione italo-tedesca girata a Cinecittà; Nicola Maldacea ha una piccola parte come uno degli attori, su www.imdb.com  segnalano anche la presenza di Marcello Mastroianni, probabilmente una comparsa (io non l'ho notato). Carla Rust è l'innamorata di Gigli, Lucia Englisch la cuoca graziosa e vivace che viene fatta passare per contessa da Gigli e dai suoi amici. Gli aiutanti del marionettista sono recitati da un duo tedesco (Paul Kemp e Theo Lingen) che dovrebbe essere comico ma le loro scene sono piuttosto noiose. Non un gran film, ma non dispiace. Gigli è già piuttosto traccagnotto, come attore fa quel che può ma nel complesso regge bene la scena e piace.

 

giovedì 12 ottobre 2017

Toffolo music


- Culastrisce nobile veneziano (1976) Regia di Flavio Mogherini. Soggetto di Maurizio Costanzo. Fotografia di Carlo Carlini. Musiche di Vivaldi, Albinoni, Mendelssohn, e altri; flautista Giorgio Zagnoni. Musiche per il film di Detto Mariano. Interpreti: Marcello Mastroianni, Lino Toffolo, Claudia Mori, Anna Miserocchi, Flora Carabella, Nikki Gentile, Silvano Bernabei (voce di Claudio Amendola). Durata: 110 minuti
- Il merlo maschio (1971 - vedi archivio blog) Regia Pasquale Festa Campanile. Soggetto di Luciano Bianciardi ("Il complesso di Loth"). Musiche di Rossini e Verdi. Musiche scritte per il film: Riz Ortolani. Interpreti: Laura Antonelli, Lino Toffolo, Gianrico Tedeschi, Lando Buzzanca, Luciano Bianciardi, Ferruccio De Ceresa, Elsa Vazzoler, e altri. Durata: 112 minuti

Lino Tòffolo, veneziano doc, 1934-2016, è stato uno dei comici più divertenti della sua generazione; non è mai arrivato ad essere una star strapagata, e di questo mi dispiace molto. Di carattere schivo, probabilmente timido e riservato, di lui si racconta che al Derby di Milano, negli anni '60, fosse quello che aveva più successo di pubblico. Era Lino Toffolo quello che "faceva venir giù il teatro", insomma: e a dirlo sono i suoi stessi compagni d'avventura, Cochi e Renato, Jannacci, Walter Valdi, e tutti gli altri. Al cinema non ha reso molto, direi che è stato quasi sempre utilizzato male; io lo ricordo soprattutto per il suo "interprete veneziano" in "Brancaleone alle Crociate", a fianco di Vittorio Gassman. I veneziani, si sa, erano grandi viaggiatori e commercianti, al tempo di Brancaleone da Norcia; da qui l'utilità di avere un interprete in tempi di invasioni barbariche e saracene. Un interprete placido ed efficientissimo, quello di Lino Toffolo: e chi ricorda il film probabilmente a questo punto si troverà a sorridere.
Curiosamente, al cinema hanno dato spesso ruoli da musicista a Lino Toffolo. Non so se fosse davvero musicista di formazione, di certo suonava la chitarra come documenta il bel filmato dove Toffolo suona e canta "Addio Lugano bella" in quintetto con Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Otello Profazio e Silverio Pisu (il video è disponibile su youtube).

Toffolo interpreta un violoncellista in un film tra i peggiori del cinema italiano, "Il merlo maschio" di Pasquale Festa Campanile (1971); ne ho già parlato in questo blog perché è ambientato dentro l'Arena di Verona. Si tratta di un ruolo di spalla dove Lino Toffolo non ha una gran parte; è invece più articolato il suo ruolo, quasi da protagonista, in un film girato cinque anni dopo, nel 1976, "Culastrisce nobile veneziano", che ho voluto guardare per rispetto verso Marcello Mastroianni. Un'altra boiata, verrebbe da dire, ma con qualche motivo d'interesse musicale che riporto qui sotto. Il giudizio perfetto lo trovo su wikipedia.it : «curato nell'impaginazione ma progressivamente scadente nel contenuto... pretenziosi ammiccamenti a Fellini.»

"Culastrisce nobile veneziano" è invece un film diretto nel 1976 da Flavio Mogherini su soggetto di Maurizio Costanzo; non è un film d'epoca come avevo pensato fino a oggi ma si affida a Mastroianni uno di quei personaggi che di solito in quegli anni spettavano a Gassman, il ricco signore ancora giovane ma un po' fuori di testa che nella sua bella villa veneziana con servitù immagina di vedere la moglie che non c'è (o che non c'è più?) e si comporta come se lei ci fosse sempre. Nella villa del marchese, che è violoncellista, arriva Lino Toffolo che nel film interpreta un ottimo organista ridottosi a fare una vita vagabonda che sbarca il lunario suonando a matrimoni e funerali. I due fanno in qualche modo amicizia, e Toffolo ha per combinazione sottomano una prostituta somigliantissima al ritratto della moglie del marchese (Claudia Mori) e grazie a lei impedisce l'interdizione del marchese chiesta dai suoi parenti. Il soprannome "Culastrice" sarebbe incomprensibile se non fosse per un veloce accenno, quasi incomprensibile, a un antenato del marchese (cioè Mastroianni) che servì il Papa in secoli lontani; immagino per via di un costume d'epoca sul tipo di quello delle guardie svizzere. Nella storia vengono introdotti personaggi loschi (Celentano) ma qui la storiellina già esile sbraga, siamo di fronte a un filmetto come tanti nonostante le apparenze e la bella confezione. Le apparenze sono Venezia e i suoi palazzi storici, con belle riprese sulle quali bisognerà andare a intuito o a memoria, perché manca qualsiasi indicazione sui luoghi del film: dov'è la villa di Mastroianni, interni ed esterni? E' forse Ca' Rezzonico per gli interni? Di sicuro c'è il Teatro Olimpico di Vicenza, con belle riprese: ci suonano Lino Toffolo e Mastroianni (Vivaldi). Si vedono e si citano Tiepolo ("La rivolta delle baccanti", "La fustigazione") e Veronese. Si accenna a un concerto di Karajan a Venezia, sempre in luoghi storici (è mai avvenuto?).
 

All'inizio, l'organista Toffolo suona la marcia nuziale di Mendelssohn a un funerale (nella fretta si è confuso) poi suona un brano più consono che non è certo il Requiem di Mozart a cui si accenna: «mi hanno dato solo cinquemila lire, la prossima volta gli suono Pergolesi». Si cita e si ascolta (in parte) Albinoni, l'adagio dalla Sonata n.7 op.15 per violoncello e basso continuo (è la scena dell'incontro fra Mastroianni e Toffolo).

Altri appunti: 1) Mastroianni suona il violoncello come in Mastorna 2) Toffolo come Sancio, Mastroianni come Don Chisciotte, Luisa come Dulcinea (Claudia Mori, popolana ma anche marchesa) 3) il flautista che si ascolta è Giorgio Zagnoni, ma noi vediamo suonare una modella di bella presenza 4) il personaggio di Toffolo si chiama Agostino Nebiolo, quello di Mastroianni è un Luca Maria (sic) 5) passaggi per Venezia di preti e discorsi anticlericali, spunti non necessari alla narrazione e subito dimenticati, puro e semplice pretesto per sequenze con pretese che vorrebbero essere felliniane e invece risultano molto di maniera. 6) Mongolfiere e auto a trecento all'ora per le strade del Veneto completano l'opera, e non manca un tuffo nei canali di Venezia, obbligatorio o quasi nei film ambientati a Venezia.
Le musiche scritte apposta per il film sono di Detto Mariano, nel cast Anna Miserocchi, Flora Carabella, Nikki Gentile, la voce romanesca di Claudio Amendola che doppia il Vincenzo di Silvano Bernabei. Un film con buoni spunti, però sprecati o dalla regia o dalla produzione, chissà.




(Ho preso queste immagini in rete, sono molto belle e ringrazio chi le ha rese disponibili)

domenica 8 ottobre 2017

Nanni Moretti su La7, e Rai5 in bianco e nero (ovvero: il referendum del 1995)


 
Scorro i programmi della tv, su televideo, e mi accorgo che questa sera c'è un film che non ho più visto da quando era uscito nei cinema: è di Nanni Moretti, "Caro diario". Così accendo il televisore su La7, e trovo la Santanché. Cambio subito canale, torno dopo cinque minuti, la Santanché è ancora lì. Implacabile. Ripeto l'operazione, torno su La7, ma non si sfugge dalla Santanché. Forse il film di Nanni Moretti è saltato? Ma no, adesso arriva. Ascolto l'introduzione dell'autore (nulla che non sapessi già), lo guardo per un po', poi c'è la pubblicità, poi torna il film, poi c'è la pubblicità, lascio perdere, amen. 
Che dire. Nanni Moretti su La7 fa tristezza. Spero che lui se ne renda conto, lui nato come alternativo, autarchico, indipendente, che commenta i suoi film su Telesantanché, interrotto da un'enormità di spot. Spero che l'abbiano pagato bene, si sa che i soldi per i progetti futuri sono sempre ben accetti, e se è così sono contento per lui e per i suoi collaboratori, ma la tristezza rimane.

Ne è passato di tempo dal referendum del 1995, quello sulle televendite. Ne è passato così tanto che non se lo ricorda più nessuno, forse sono rimasto solo io a ricordarmelo. Eppure, ai tempi se ne parlò moltissimo, quel referendum era assieme a tanti altri (troppi e tutti insieme, uno dei tanti errori dei radicali e di Marco Pannella) ma si prese tutta la scena. In tv passavano ad ogni momento i volti noti delle tv di Berlusconi, volti amatissimi, Vianello e la Mondaini in prima linea, Maurizio Costanzo, Mike Bongiorno... dimenticati anche loro (chissà se sotto i venticinque anni c'è qualcuno che sa chi sono), difendevano le televendite e gli spot in tv. Et pour cause, come direbbe Snoopy, era la loro personale fonte di guadagno (sempre meglio che lavorare, avrebbero detto a me se mi fosse capitata quella fortuna). Il referendum del 1995 è stato l'inizio del deterioramento definitivo della televisione italiana. Prima, prima di quel '95, si discuteva ancora, c'erano ancora diverse idee, in tv passavano tante cose diverse, c'era ancora la voglia di far qualcosa di nuovo e di bello. Ma se comandano i pubblicitari, il nuovo e il bello non va più bene: serve qualcosa di simile a quello che è sempre stato fatto, e chi propone idee nuove viene subito emarginato. Di conseguenza, tutti a fare sempre le stesse cose (il rischiatutto, l'isola dei famosi, il talent show, il gioco dei pacchi, eccetera). C'è chi non se lo ricorda ma prima di quel 1995 Rete 4 trasmetteva tutta la stagione sinfonica della Scala, alle volte anche in diretta. Claudio Abbado e la Filarmonica della Scala in prima serata su Rete 4: riuscite a immaginarvelo? Se non ci credete, vi porto qui qualche immagine, datata 1990 come data di trasmissione (il concerto è del 1986, Debussy con Frederica von Stade)

 
E' per questo che Nanni Moretti su La7 fa tristezza. E' la fine definitiva, chi sperava in una tv di qualità adesso non spera più. Non che io mi facessi delle grandi illusioni, neanche prima, ma questa di Nanni Moretti immerso nello spot fino al collo è proprio la pietra tombale su ogni sorta di speranze. Ormai esiste un solo modello di tv, quello dei pubblicitari padroni degli spot. Un pensiero unico che non ammette evasioni, quasi come la Germania Est o la Corea del Nord. Sul digitale terrestre ci sono centinaia di canali, tutti uguali, tutti costruiti e pensati per la pubblicità. Esiste altro al mondo? In passato si cercava di fare dei bei programmi per attirare la pubblicità, adesso i programmi (inclusi i capolavori del cinema, catalogati anch'essi come "programma") sono solo l'equivalente dell'imballaggio di un pacco. Il pacco che stanno tirando a tutti voi (io mi tiro fuori, sia pure con grande tristezza).
La stessa cosa, magari anche in peggio perché si tratta di servizio pubblico (paghiamo il canone per questo), succede su Rai 5: non c'è più la pubblicità, ma ci si comporta come se ci fosse ancora. Faccio solo un esempio, per me clamoroso: fino a un paio d'anni fa Rai 5 trasmetteva repliche di grandi produzioni Rai del passato, con attori e interpreti di grande livello. Shakespeare con Salvo Randone e Vittorio Gassman, Pirandello con Romolo Valli e Rossella Falk, magari anche un Trovatore con Corelli; ma oggi non più, perché sono in bianco e nero. La Rai si vergogna del suo passato glorioso, quello più alto e più professionale? Direi proprio di sì, così è andata.

 
Come si stila un palinsesto, oggi? Semplice, butti giù un po' di serie tv ed è fatta. Così il programmista, o la programmista (in questo caso non fa differenza, vengono sempre dalla stessa scuola) finisce di lavorare presto, e può andare in discoteca o alla movida (e dove se no?) (esiste qualcos'altro, al mondo?). La stessa fine ha fatto Rai Storia: dopo un inizio interessante, oggi è occupata da gente che legge la sua tesina mettendo prima di tutto se stessi in bella mostra, e in sottofondo qualche immagine di repertorio (ma non troppe, che se no non si vede la faccia del conduttore). Anche qui, vietato far fatica ( i documentaristi seri lavorano troppo, bisogna pur dirlo), e poi così si va a casa prima, e il palinsesto è bell'e che riempito in un amen.


Intanto, se si accende la tv prima del "prime time" (che è un'invenzione dei pubblicitari, detto en passant: nel "prime time", cioè alle nove di sera, molta gente lavora, molta altra gente sta cenando o curando i bambini, molta altra gente ancora esce e non guarda la tv, e sotto i vent'anni tutti sono su youtube, la tv non l'accendono proprio), cioè dalle sei del mattino alle 20:59, ecco che cosa si può vedere.
 
La morte può attendere, certo. Un'idea geniale, chissà chi è quella mente meravigliosa che ha partorito un'idiozia simile, e soprattutto chi è quell'idiota altrettanto fenomenale che l'ha approvata e diffusa su tutte le reti tv.
Ma, intanto, si vorrebbe vivere una vita migliore, e se questo è un progetto troppo difficile, almeno una tv migliore - questa è una cosa che si potrebbe avere, ma con il Nanni Moretti del 2017, o con i programmisti di Rai5 e di Radiotre di questi anni, facciamoci una croce sopra, forget it, adieu, sorbitevela voi la Santanché che io spengo la tv. Però magari Nanni Moretti è contento: cuntént, Nanni? Contento tu, contento Zoro, contento Crozza, contenti anche Marco Paolini e Moni Ovadia che in quel film recitavano con Moretti. Contenti tutti e non se ne parla più. Ad maiora.
 
 
(le vignette vengono dalla Settimana Enigmistica, Michelle Pfeiffer è nel film di Scorsese "L'età dell'innocenza", la vignetta di Altan è dedicata all'esito del referendum del 1995)