sabato 29 aprile 2017

Josè van Dam

Il basso belga Josè van Dam, all'anagrafe Joseph van Damme, divenne molto famoso al cinema nel 1989: nel film di Losey tratto dall'opera di Mozart, Raimondi era Don Giovanni e Leporello era Van Dam. In quello stesso periodo, anno 1988, van Dam interpreta un film come attore: “Il maestro di musica”, regia di Gérard Corbiau. Van Dam vi interpreta la parte del titolo, lui è molto bravo ma il film non è memorabile.
Oltre a questi due titoli, il sito www.imdb.com riporta una ventina di titoli, ma sono quasi tutte registrazioni video di opere liriche interpretate sul palcoscenico da Van Dam; l'elenco è comunque interessante e rende bene l'idea della versatilità e dei numerosi interessi del basso belga. Si comincia con l'Otello di Verdi del 1974, diretto da Herbert von Karajan; protagonisti sono Jon Vickers, Mirella Freni, Peter Glossop; van Dam (qui ancora molto giovane) interpreta Montano. Seguono "I racconti di Hoffmann", "Il trovatore", "Le nozze di Figaro", "L'Olandese Volante", il "Dardanus" di Rameau, il "San Francesco" di Olivier Messiaen, "Pélléas et Mélisande" diretto da Gardiner, "Falstaff" di Verdi nel ruolo del protagonista, Filippo II nel "Don Carlos" sempre di Verdi, Hans Sachs nei "Maestri Cantori" di Wagner, e il "Don Quichotte" di Massenet nel ruolo del protagonista, dopo aver interpretato Sancho nell'edizione discografica con Nicolai Ghiaurov.

A livello mio personale, Josè van Dam è stato il mio primo Don Giovanni (Mozart) in teatro; e a lui devo anche il mio primo ascolto di "Dichterliebe" di Schumann, l'opera 48 su testi di Heinrich Heine, un incontro per il quale gli devo un'infinita riconoscenza.
 

martedì 25 aprile 2017

Titta Ruffo


Di Titta Ruffo si racconta che la sua voce era così potente che nelle registrazioni dei suoi dischi erano costretti a metterlo in un'altra stanza rispetto a quella dove c'era l'apparecchio per registrare. Una voce così potente da far saltare la puntina del grammofono, insomma; e si dirà che erano altri tempi, che la registrazione sonora era ancora ai suoi inizi, sta di fatto che gli aneddoti sul volume di voce di Titta Ruffo sono parecchi e tutti piuttosto suggestivi. Impressiona anche la sua estensione vocale, che si può ancora ascoltare in quelle registrazioni: cantava normalmente da baritono, ma aveva note tenorili e di basso profondo. Un fenomeno, insomma, e anche una persona molto preparata che seppe far fruttare con intelligenza una voce così formidabile. Con Enrico Caruso e Fiodor Scialiapin fu uno dei "padroni" del Metropolitan, e si esibì nei teatri di tutto il mondo.
Il cognome è Titta, anche se molti ancora oggi lo ignorano (è facile pensare che sia un diminutivo di Battista, invece no); il nome completo è Ruffo Cafiero Titta, pisano, 1877-1953. Sua sorella Velia Titta (qui a fianco col figlio) sposò Giacomo Matteotti, e i due cognati furono molto affezionati. Titta Ruffo portò a spalle il feretro di Matteotti, e non cantò più in Italia dopo quel 1924; fu dichiarato pericoloso dai fascisti, che lo arrestarono nel 1937 durante un suo soggiorno in Italia, rilasciandolo solo dopo una serie di proteste internazionali. Su www.imdb.com (Internet Movie Database) per Titta Ruffo c'è uno dei pochissimi errori di quel sito enciclopedico: il nome è sbagliato, c'è scritto Titto.

Come presenze al cinema o in cinegiornali, il sito Internet Movie Database segnala per Titta Ruffo solo due cortometraggi del 1929. C'è però uno sceneggiato televisivo del 1990, "La forja de un rebelde", della tv spagnola RTVE, dove Titta Ruffo è indicato fra i personaggi ed è interpretato dal baritono Juan Pons. "La forja de un rebelde", regia di Mario Camus, è tratto da un libro autobiografico dell'antifranchista Arturo Barea (Badajoz, 1897-1957) uscito nel 1951: una trilogia che percorre la storia spagnola nella prima metà del Novecento.


domenica 23 aprile 2017

The magic flute (Branagh)


The magic flute (2006 ) Regia di Kenneth Branagh. Tratto dall'opera di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder. Adattamento di Kenneth Branagh e Stephen Fry. Musica di Wolfgang Amadeus Mozart. Direzione d'orchestra: James Conlon, Chamber Orchestra of Europe. Fotografia di Roger Lanser. Interpreti: Joseph Kaiser (Tamino), Amy Carson (Pamina), René Pape (Sarastro), Lyubov Petrova (Queen of the Night), Benjamin Jay Davis (Papageno), Silvia Moi (Papagena), Tom Randle (Monostatos), Ben Uttley (Priest), Teuta Koço, Louise Callinan, Kim-Marie Woodhouse (le tre dame), Rodney Clarke e Charne Rochford (Officers), Peter Wedd e Keel Watson (Armed Men), William Dutton, Luke Lampard, Jamie Manton (Three Boys), Sophie Adams, Charles Aitken, Aytunc Akdogu, Gemma Arrowsmith, Vanessa Ashbee, Matthew Bancroft, Francisco Bosch, Simon Brandon, Jonathan Broadbent, Stewart Brown, Chloé Bruce, Cristina Catalina, Naomi Charles, Karina Cornwell, Belinda Evans, James Fiddy, Mark Hayden, Joanne Heald, Chris Hembury, Amy Humphreys, Rebecca Hunt, Cheyney Kent, Christopher Logan, Gary MacKay, Hope McNamara, Mark Morgan, Brendan Patricks, Sarah Pearman, Iain Stuart Robertson, Jon Shannon, James Sherwood, Katherine Shirley, Shwyn, Liz Smith (Old Papagena), Christopher Stone, Michelle Whitney, Alice Wong, Jimmy Yuill, Lasco Atkins, Michael Burhan, Christopher Fosh, Michael Sercerchi. Durata: 135 minuti

Nella sua versione per il cinema di "As you like it", del 2006, Kenneth Branagh trasporta il mondo di William Shakespeare in Giappone. Si sa che al cinema si può fare di tutto (o quasi) e quindi da un bravo regista ci si aspetta qualche bella invenzione, bei costumi, locations, scenografie ben pensate. Invece dopo un po', non appena i personaggi lasciano la corte ducale, la foresta di Arden torna a prendere il posto che le spetta, si seguono le vicende e i dialoghi, e del Giappone ci si dimentica. Da dove nasce l'idea del Giappone, nella testa di Branagh? C'è una scena di lotta in "As you like it", nel primo atto, e Branagh decide di metterci un lottatore di sumo. Spettacolare e suggestivo, ma poi per rendere credibile la presenza di un lottatore sumo bisogna per forza spostare tutto in Giappone. Bello, magari, ma il gioco non regge e prevale da subito il gioco di fantasia del teatro elisabettiano (nel teatro elisabettiano è richiesta la partecipazione dello spettatore, la sua fantasia), e sorge il legittimo dubbio che si sia trattato solo di questo, del divertimento nel pensare al lottatore di sumo, e che tutto sia poi finito lì invece di essere portato avanti con coerenza. Insomma, ci si fa presto l'idea che si tratti poco più che di trovatine poi difficili da portare avanti: capita spesso, anche in teatro, anche ai migliori. Poi, alla fine, il film non dispiace, gli attori sono bravi, e Shakespeare è sempre Shakespeare; ma rimane il dubbio su tutta l'operazione.

Più o meno la stessa cosa capita nel film successivo, girato nello stesso anno: "The magic flute", cioè "Il flauto magico" di Mozart trasportato da Branagh al tempo della Grande Guerra, 1914-1918. Devo dire che il senso della cosa mi è del tutto sfuggito. Confesso anche di non essere mai riuscito a guardare questo film dall'inizio alla fine, perciò la mia recensione termina qui: diciamo che mi ritiro, sconfitto. Metto su il disco del 1950, quello con Karajan, Anton Dermota, Irmgard Seefried, Erich Kunz, Josef Greindl; e rivedo le immagini del film di Bergman, del cartone animato di Gianini e Luzzati, degli allestimenti visti in teatro. Ho molto ammirato Kenneth Branagh con il suo "Henry V", gli devo molto e gliene sono ancora oggi infinitamente riconoscente, ma insomma, che dire, chissà, forse Wolfgang Amadeus ci si sarebbe divertito ma io proprio non so che cos'altro dire su questo film e non credo che ci tornerò sopra.

sabato 22 aprile 2017

Diva (Jean Jacques Beineix)


Diva (1981) Regia di Jean-Jacques Beineix (1981). Soggetto di Daniel Odier. Sceneggiatura di Jean-Jacques Beineix e Jean Van Hamme. Fotografia: Philippe Rousselot. Musica di Alfredo Catalani, dall'opera "La Wally". Musica per il film di Vladimir Kosma. Interpreti: Frédéric Andréi, Roland Bertin, Richard Bohringer, Gérard Darmon, Chantal Deruaz, Jacques Fabbri, Patrick Floersheim , Thuy An Luu, Jean-Jacques Moreau, Wihelmenia Wiggins Fernandez . Durata: 117 minuti.

Una donna giovane, a piedi scalzi, nel centro di Parigi, inseguita da due sicari spietati, lascia un’audiocassetta nella borsa del motorino di un postino; è il suo ultimo gesto, e pochi secondi dopo la vedremo colpita da un coltello nella schiena, lanciato con grande abilità. La ricerca di quella cassetta, che incastrerebbe il commissario corrotto, occupa gran parte del film e ne costruisce l’ossatura; ma è una trama risibile, poco più di un pretesto per una serie di invenzioni di cinema sul cinema, peraltro serissime e girate con ottima mano.

Quando “Diva” uscì, nel 1981, si gridò al miracolo: il film ebbe un buon successo di pubblico, piacque molto, e ci si aspettavano grandi cose dal suo autore, l’allora giovane Jean Jacques Beineix. Grandi cose che poi non vennero, ormai sono passati più di trent'anni e possiamo dirlo – con molto dispiacere, perché “Diva” è ancora oggi un film simpatico e piacevole, e anche piuttosto fuori del comune. Rivedendolo, mi tornava spesso alla mente un altro film francese piccolo e simpatico, e un po’ stralunato: “Zazie nel metro” di Louis Malle, girato nel 1960 e tratto dal libro di Queneau. Il film di Malle ha una cosa in comune con “Diva”: visto oggi appare molto datato, molto legato al momento in cui fu girato. Gli oggetti, i vestiti, i colori, il modo di parlare, la città, tutto quanto rappresenta con molta evidenza un mondo che non c’è più, e anche questo è un motivo d'interesse perché testimonia quanto siano effimere le mode.
Per esempio, l’abitazione del postino: che è un ragazzo svelto e piacevole, timidissimo. Il ragazzo abita in un loft, un enorme spazio che ha riempito di impianti stereo, di dischi e di cassette: e già parlare di stereo e di audiocassette fa impressione. Quando è uscito il film, non c’erano ancora nemmeno i cd: erano appena nati, pochissimi li avevano visti o avuti fra le mani. Tutto il loft meriterebbe una nota a parte, e direi che il suo arredamento ha poco da invidiare alla casa di Alex, quello di “Arancia meccanica” (un complimento a chi ne ha inventato la scenografia).
La cosa curiosa di questo film, quello che lo rende davvero diverso da tutti gli altri, è che al suo centro (thriller a parte) c’è una cantante lirica, della quale il ragazzo è un fan molto acceso. Siccome la cantante, una nera bellissima e fascinosa, non ha mai voluto incidere dischi, le sue registrazioni sono molto ambite: e anche questo è un particolare che oggi può far sorridere. Dire “cantante nera e fascinosa, che fa solo recitals”, in quel 1980, era un riferimento chiaro a Jessye Norman, voce sontuosa e meravigliosa che ho avuto la fortuna di ascoltare in concerto, proprio in quegli stessi anni. Ma la vera Jessye Norman non era scritturabile da Beineix, e per due motivi: il costo del suo ingaggio (le star dell’opera viaggiano su cachet astronomici, da sempre) e il fatto che la Norman non ha il fisico da top model della cantante che vediamo nel film. La “Diva” del film si chiama Wilhelmenia Wiggins-Fernandez, ed è stata una buona cantante senza mai raggiungere livelli di grande prestigio; somiglia molto a Jessye Norman, che però è una donna di taglia diversa – una dimensione fisica che le ha creato diversi imbarazzi nella sua vita, e che per lungo tempo l’ha tenuta lontana dal palcoscenico (è per questo che dava solo concerti), anche se – in fin dei conti – donne come Jessye Norman se ne incontrano spesso, e anche nelle foto dei suoi dischi figura sempre bene.
L’altra figura femminile del film è una piccola e vispa franco-vietnamita, molto graziosa, che si chiama Thuy Ann Luu. Una presenza interessante, peccato che poi nessuno al cinema l’abbia più chiamata: divertente la scena in cui lei ruba dei 33 giri in un negozio di dischi, nascondendoli in un’enorme cartella da disegno. Il commesso, che sospetta, gliela fa aprire: ma dentro ci sono delle sue foto in cui è nuda, il commesso è imbarazzato. “Adesso posso rivestirmi?” chiede la ragazza, fingendo di essere molto seccata; e se ne va via facendola franca. In un’altra scena, giocherà a mondo saltellando su una pin up dipinta sul pavimento del loft; ed è una presenza piacevole ma un po’ improbabile, la prova vivente che questo film è poco più del susseguirsi di tutta una serie di fantasie da fumetto (vi posso assicurare che se fate ascoltate l’opera ad una ragazza, come fa il protagonista, la risposta non sarà affatto entusiastica: ai miei bei tempi ci ho provato un paio di volte, ma ho smesso subito). Rimane la sensazione di un thriller adolescenziale, con dettagli veramente infantili (le fantasie sull’impianto stereo, le Rolls Royce e le Citroen bianche anni ’30, gli inseguimenti col motorino che scappa dalle auto della polizia senza farsi raggiungere, il killer sadico tolto di peso dai fumetti, le donnine sexy e le dive irraggiungibili). Ha una sua freschezza innegabile, e un talento certo per la macchina da presa, ma dietro non c’era molto di più.
L’aria d’opera che imperversa per tutto il film è “Ebben ne andrò lontana”, dalla Wally di Alfredo Catalani (1892). Catalani è lucchese come Puccini, ed era di 4 anni più anziano; l’aria in effetti è di quelle che colpiscono, e imperversa ancora oggi qua e là, spot pubblicitari compresi ovviamente. Però con la vera Jessye Norman, e non con Wilhelmenia Fernandez, forse avremmo potuto ascoltare anche qualcosa di Puccini o di Schubert, e sarebbe certo stato meglio.


giovedì 20 aprile 2017

Coco Chanel e Igor Stravinskij


"Coco Chanel e Igor Stravinskij" (2009) Regia di Jan Kounen. Tratto da un romanzo di Chris Greenhalgh. Musiche di Igor Stravinskij. Musiche per il film di Gabriel Yared. Fotografia di David Ungaro. Interpreti: Mads Mikkelsen (Stravinskij), Anna Mouglalis (Coco Chanel), Grigori Manoukov (Diaghilev), Marek Kossakowski (Nijinskij), Jerome Pillement (Pierre Monteux) Elena Morozova (Catherine Stravinskij) Natacha Lindinger (Misia Sert), Francois Comicki (Florent Schmitt) Durata: 118 minuti.

Alle volte mi chiedo, guardando alcuni film biografici, cosa direbbero i miei conoscenti se vedessero un film su di me interpretato da Woody Allen o da Sergio Castellitto. Per quanto bravo sia l'attore, un minimo di somiglianza fisica dovrebbe sempre sussistere; altrimenti si rischia di ridere o di arrabbiarsi, soprattutto quando si tratta di personaggi ben noti e di cui è ben conosciuta la fisionomia. Certe cose si possono fare bene in teatro, ma al cinema ci sono i primi piani e sono spesso spietati. Infatti, la prima domanda che ci si pone davanti a questo film è: dov'è Stravinskij? Difficile riconoscerlo in Mads Mikkelsen, alto e palestrato, fisico da decatleta; Igor Stravinskij era di fisico minuto e piuttosto piccolo di statura, ci sono molte fotografie e molti filmati in proposito. Nonostante l'aspetto fisico non da modello cinematografico, Stravinskij piaceva ed ebbe comunque molto successo con le donne, quindi è da considerarsi tutt'altro che inverosimile una sua relazione con la stilista di moda Coco Chanel, relazione più o meno ipotetica che è alla base del soggetto di questo film, e della quale non è che ci importi molto, a dirla tutta è poco più di una curiosità. Da parte sua, Coco Chanel è affidata ad Anna Mouglalis, che è alta e svettante mentre Coco era anch'essa piuttosto minuta (molto più somigliante e credibile Audrey Tautou nel film biografico a lei dedicato nello stesso anno). Altrettanto difficile riconoscere il ballerino Nijinskij nell'attore Marek Kossakowski, mentre Diaghilev è reso piuttosto bene. Il musicista Gabriel Yared (ma forse non è colpa sua) riesce nell'impresa di indicare come sue le musiche per Le sacre du printemps (si vedano i titoli di testa). Il teatro in cui si svolge la sequenza iniziale non è indicato nei titoli di testa. Detto questo, anche al cinema e non solo a teatro si possono accettare tante cose quando il film è fatto bene, ma qui direi che proprio non ci siamo.
 
 
L'unica sequenza davvero interessante è quella iniziale, la ricostruzione della prima di "Le sacre du printemps"; per la ricordare che cosa avvenne mi affido qui alle parole dello stesso Stravinskij:
E veniamo ora alla stagione di Parigi della primavera 1913, allorché i Balletti Russi inaugurarono il Teatro dei Champs-Elisées. Alla prima rappresentazione fu ripreso L'oiseau de feu. Il Sacre du printemps andò in scena la sera del 28 maggio. Mi asterrò dal descrivere lo scandalo che provocò. Se n’è parlato troppo. La complessità della mia partitura aveva richiesto un grande numero di prove che Monteux diresse con quella cura e con quell'attenzione che gli sono proprie. Quale sia stata l'esecuzione durante lo spettacolo, non posso giudicare avendo abbandonato la sala dopo le prime battute del preludio, che sollevarono immediatamente risa e canzonature. Ne fui indignato. Queste manifestazioni, dapprima isolate, divennero tosto generali e, suscitando d'altra parte delle opposte manifestazioni, produssero in breve un chiasso infernale. Durante tutta la rappresentazione rimasi tra le quinte, a fianco di Nižinskij. Questi stava in piedi su una sedia e gridava a squarciagola ai ballerini: “Sedici, diciassette, diciotto..." (si servivano di un conteggio convenzionale per segnare le battute). Naturalmente i poveri ballerini non sentivano niente a causa del tumulto della sala e del loro calpestio. Io ero costretto a tenere per il vestito Nižinskij, fuori di sé dalla rabbia e in procinto di balzare in scena, da un momento all'altro, per fare uno scandalo. Djagilev, per far cessare il fracasso, dava ordine agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala. E' tutto ciò che ricordo di quella "prima." Fatto strano, alla prova generale a cui assistevano, come sempre, numerosi artisti, pittori, musicisti, letterati e i rappresentanti più colti della società, tutto si era svolto in modo calmo ed io ero lontano mille miglia dal prevedere che lo spettacolo avrebbe provocato quella gazzarra.
 
 
Adesso, dopo più di vent'anni, mi è naturalmente difficile ricostruire nella memoria la coreografia del Sacre nei suoi particolari, senza lasciarmi influenzare dalla facile ammirazione che essa produsse negli ambienti cosiddetti d’avanguardia, sempre pronti ad accogliere come una nuova scoperta tutto quello che per poco si allontani dal "già visto." Ma l'impressione generale che ho avuto allora, e che tuttora conservo, di quella coreografia è l'incoscienza con cui venne composta da Nižinskij. Risultava nettamente la sua incapacità di assimilare le idee innovatrici che costituivano il "credo" di Djagilev e che da questi gli erano ostinatamente e con fatica inculcate. In quella coreografia si scopriva piuttosto un penosissimo sforzo senza risultato, anziché una realizzazione plastica semplice e naturale derivante dalle esigenze della musica. Come era lontana da ciò che avevo voluto! Componendo il Sacre, mi raffiguravo l'aspetto scenico dell'opera come una serie di movimenti ritmici di estrema semplicità, eseguiti da compatti blocchi umani, di effetto immediato sullo spettatore, senza minuzie superflue e complicazioni che tradissero lo sforzo. Soltanto la Danza sacra che conclude il lavoro era destinata a una sola danzatrice. La musica di questo pezzo, netta e definita, esigeva del pari una coreografia corrispondente, semplice e facilmente comprensibile. Ma qui ancora Nižinskij, pur comprendendo il carattere drammatico della danza, non seppe renderne l'essenza in modo intelligibile e, per incapacità o per mancanza di comprensione, la complicò. E infatti, non è segno di incapacità il rallentare incoscientemente il tempo della musica per poter comporre passi complicati i quali in seguito diventavano ineseguibili al tempo prescritto? Molti coreografi cadono nello stesso difetto ma non ne ho conosciuto alcuno che peccasse al punto di Nižinskij.

 
Leggendo ciò che scrivo intorno al Sacre, forse ci si meraviglierà nel constatare che io parlo poco della mia musica. Me ne sono astenuto di proposito. Mi sento assolutamente incapace di ricordarmi, dopo vent'anni, dei sentimenti da cui ero animato quando componevo questa partitura. Ci si può ricordare dei fatti, degli incidenti con maggiore o minore esattezza. Ma come ricostruire quei sentimenti che si sono provati un tempo, senza rischiare di snaturarli sotto l’influenza di tutta l’evoluzione successivamente prodottasi in noi? La mia interpretazione odierna dei sentimenti di allora potrebbe essere inesatta e arbitraria non meno che se fosse operata da un estraneo. Avrebbe lo stesso carattere di una intervista abusiva con me stesso, del genere di quelle che mi è capitato troppo spesso di leggere.
Ricordo un fatto di tale specie verificatosi proprio a proposito del Sacre. Tra i frequentatori delle prove vi era Ricciotto Canudo, persona per altro piacevole, appassionato a tutto ciò che fosse vivamente attuale. Egli pubblicava una rivista intitolata Montjoie. Mi chiese un'intervista che gli accordai con piacere. Purtroppo la fece apparire sotto forma di una dichiarazione sul Sacre, magniloquente e nello stesso tempo ingenua e, contro ogni aspettativa, recante la mia firma. Non mi ci riconoscevo. Una tale deformazione delle mie parole e persino delle mie idee mi addolorò molto, tanto più che lo scandalo del Sacre aveva contribuito alla vendita del foglio e tutti consideravano autentica la dichiarazione. Ma essendo ammalato non mi fu possibile ristabilire la verità.
Non potei neppure assistere alle altre rappresentazioni del Sacre, così come a quelle della Kovànščina, perché pochi giorni dopo la prima caddi seriamente ammalato dl una febbre tifoide che mi costrinse a rimanere sei settimane in clinica.
(Igor Stravinskij, Cronache della mia vita, pagine 46-48 ed. Feltrinelli 1979, traduzione dal francese di Alberto Mantelli.)


Alla mia prima visione del film mi ero segnato questo appunto, che mi sento di confermare in pieno:
"Coco Chanel e Igor Stravinskij", film del 2009 diretto dal franco-olandese Jan Kounen è una fantasia tratta da un romanzo di Kyssaki che ha una sola sequenza davvero interessante, quella iniziale in cui si ricostruisce lo "scandalo" della prima rappresentazione di "Le sacre du printemps". Film di buona confezione ma con grossolani errori, primo fra tutti la scelta dei protagonisti, entrambi fuori ruolo. Mads Mikkelsen non ha niente di Stravinskij e Anna Mouglalis non somiglia in niente a Coco Chanel (potrebbe però essere una sua modella). Detto questo, ho detto tutto; e del vedere le terga di Igor mentre fa sesso con Coco non m'importa assolutamente niente ma qui c'è, pare che la scena di sesso spinto sia diventato qualcosa di obbligatorio. Nel film ci sono tutti, Diaghilev, Nijinskij, la moglie incinta di Stravinskij e i loro figli, ma tutti resi quasi irriconoscibili e affidati ad attori improbabili (per questi ruoli, s'intende). Da conservare la parte iniziale, quantomeno per i costumi e per la ricostruzione della coreografia; il resto è da dimenticare velocemente.


Le musiche di Stravinskij che si ascoltano nel film:
Le sacre du printemps (Berliner Philharmoniker dir. Simon Rattle, e arr. Marek Tomaszewski)
Sinfonia per strumenti a fiato (dir. Christophe Bukudjian )
Sonata (interprete non indicato)
Les Cinqs Doigts (Christophe Bukudjian)
Cinque pezzi facili (interprete non indicato)
Ragtime (arr. Marek Tomaszewski)
Canti tradizionali: Avi ceni, Ia milogo, canto nuziale da "Chants des peuples de Russie" (1994, Ekaterina Dorokhova e Tamara Pavlova); musiche dei Popol Vuh, di Gabriel Yared, e altri.

 

mercoledì 19 aprile 2017

Pia de' Tolomei (1941)


 
Pia de' Tolomei (1941) Regia di Esodo Pratelli. Soggetto di Luigi Bonelli, tratto dall'opera di Donizetti e Cammarano. Dialoghi di Rosso di San Secondo. Fotografia di Arturo Gallea. Musiche di Francesco Mander (non di Donizetti). Interpreti: Germana Paolieri, Carlo Tamberlani, Nino Crisman, Cesco Baseggio, Carlo Romano, Lauro Gazzolo, Achille Majeroni, Emilio Baldanello, Lydia Simoneschi Durata: 78minuti

"Pia de' Tolomei", film del 1961 con regia di Esodo Pratelli, sviluppa una storia presa dalla Divina Commedia, solo accennata da Dante nel Purgatorio; le notizie storiche sul personaggio sono poche e non si è nemmeno sicuri che la Pia citata sia veramente questa. Si tratta quindi di un film di fantasia, probabilmente basato sull'opera di Donizetti. I versi di Dante sono questi:
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via -
seguitò il terzo spirito al secondo -
ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fè, disfecemi Maremma;
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sue gemma.»
(canto V del Purgatorio, vv 130-136)

Il film è stato scritto da Luigi Bonelli, con dialoghi del commediografo Rosso di San Secondo, ma data la mancanza di fonti storiche precise è più che probabile che il modello di riferimento sia stato proprio l'opera di Donizetti, o comunque una fonte comune. Nel volume su Donizetti di Piero Mioli (edizioni Eda 1988) si fa cenno a Giacinto Bianco e Carlo Marenco, alla novella in versi di Sensini del 1822 e al melodramma di Luigi Orsini, tutti nomi e opere più che dimenticati. Donizetti mise in musica "Pia de' Tolomei" su libretto di Salvatore Cammarano; la prima dell'opera fu a Venezia nel febbraio 1837, al teatro Apollo. Si tratta di una delle tante opere più o meno "dimenticate" di Donizetti, compositore molto prolifico (settanta melodrammi, più o meno). Sono opere che vengono riprese in teatro di tanto in tanto ma che non sono mai entrate definitivamente in repertorio. "Pia de' Tolomei" è preceduta di due anni (anche meno) dalla "Lucia di Lammermoor" (settembre 1835); verrà seguita da "Roberto Devereux", "Maria de Rudenz", "Poliuto", "La figlia del reggimento" (1840), "La favorita", e altre ancora.

 
Pia de' Tolomei viene accusata di aver tradito il marito Nello, l'accusa è falsa ma condurrà comunque a un finale tragico. Il cattivo che l'accusa nell'opera di Donizetti si chiama Ghino degli Armieri (tenore) e nell'adattamento di Luigi Bonelli diventa Ghino di Tacco, un personaggio realmente vissuto che nel film è presentato come un nobile ma che le fonti storiche definiscono brigante. Ghino visse a Radicofani, e nel Decameron è definito "brigante buono", una specie di Robin Hood. Anche Ghino è nominato da Dante, ma non è direttamente presente nella Divina Commedia. Il Ghino del film è però solo un vilain respinto nei suoi approcci, che calunnia Pia e infine la spinge a morte facendola cadere dal balcone nel tentativo di sottrarsi al suo abbraccio.
Nell'opera di Donizetti in effetti i personaggi sono gli stessi del film di Pratelli; qualche nome è però cambiato e ci sono delle modifiche qua e là: Ghino degli Armieri (tenore) invece di Ghino di Tacco, Piero è un eremita e il fratello di Pia si chiama Rodrigo e non Piero.
Germana Paolieri è Pia; Carlo Tamberlani è suo marito Nello, che dubita di lei e conoscerà la verità solo quando lei muore. Nino Crisman è Ghino (muore nel finale), Cesco Baseggio è Matteo e Carlo Romano è Leone, entrambi servitori fedeli e armati di Nello e di Pia. Lauro Gazzolo è il frate, Achille Majeroni è il conte padre di Pia, Lydia Simoneschi è la voce narrante, il servo fedele Momo è Emilio Baldanello. Si tratta di attori famosi e importanti: Cesco Baseggio fu grande interprete del teatro veneziano e di Carlo Goldoni, Carlo Romano è una delle voci più famose nel doppiaggio (Fernandel in Don Camillo e Eli Wallach nei film di Sergio Leone, per citare solo due dei tanti film che ascoltiamo comunemente con la sua voce). Lauro Gazzolo, attore e doppiatore, è anche il padre di un altro attore molto bravo e famoso, Nando Gazzolo. Esodo Pratelli, romagnolo, 1892-1983, fu pittore oltre che regista; al cinema si ricordano soprattutto i suoi film con i fratelli De Filippo.
Il film è stato girato alla fortezza di Montalcino e dintorni; ci sono le battaglie dei senesi dove muore Piero, fratello di Pia. Bella la fotografia in bianco e nero di Arturo Gallea, pellicola Ferrania Sincro. Il film è prodotto dalla Anonima Manderfield, che lo presenta come "un film di sua produzione". Le musiche sono di Francesco Mander, un po' invadenti e che ricordano Mascagni. Niente Donizetti, quindi: le musiche che si ascoltano sono tutte di Mander.
Il film di Pratelli non è brutto ed è sempre un piacere ascoltare e vedere attori così bravi, però la narrazione è poco chiara e si rischia di perdersi se già non si conosce il soggetto. Dispiace, perché poteva uscirne un film importante.
PS: esiste un altro film con lo stesso titolo, degli anni 50, con Jacques Sernas, Ilaria Occhini e Arnoldo Foà, regia di Sergio Grieco: la storia è presentata in modo diverso, Pia è innamorata di Ghino ma va in sposa a Nello. Lo guarderei per due sole ragioni: per Ilaria Occhini (bellissima) e per Arnoldo Foà, magnifico cattivo e attore di bravura fuori dal comune.


lunedì 17 aprile 2017

Quartet (Dustin Hoffman)



Quartet (2012) Regia di Dustin Hoffmann. Scritto da Ronald Harwood. Fotografia di John de Borman. Musiche di Verdi, Puccini, Sullivan e altri, arrangiate da Dario Marianelli. Interpreti: Tom Courtenay, Maggie Smith, Billy Connolly, Pauline Collins, Michael Gambon, Gwyneth Jones, Durata: 1h38'

Il quartetto del titolo è quello del Rigoletto, dall'ultimo atto, che comincia con le parole: "Bella figlia dell'amore"; quindi un quartetto vocale, e non musica da camera. Si tratta di una commedia, scritta per il teatro da Ronald Harwood (autore di "Servo di scena", "Il pianista", e molto altro ancora) e girata per il cinema da Dustin Hoffman. Hoffman è alla sua prima regia in assoluto, e non recita nel film. Protagonisti sono quattro cantanti d'opera (immaginari) che sono stati molto famosi e che, ormai anziani, sono ospiti di una casa di riposo per artisti. Il film però non è triste, ma è anzi divertente e piacevole da vedere. Una commedia, per l'appunto.
All'inizio del film vediamo tre dei quattro protagonisti già ospiti della casa di riposo, in buon accordo tra di loro; metterà scompiglio l'arrivo di una nuova ospite, un'altra celebre cantante, del tutto inaspettata. Nel corso del film scopriremo il perché dello scompiglio: la nuova arrivata è stata moglie di uno di loro, molti anni prima; e ora lui non ne vuole sapere di rivederla. Ci sono diverse incomprensioni, ma alla fine tutto si appianerà.
Il film è prevedibile nel suo svolgimento, ma è ben recitato e molto ben fatto, quindi vale la pena di vederlo anche perché gli attori sono tutti molto bravi. Nel dettaglio, un tenore (Tom Courtenay) e un soprano (Maggie Smith) erano stati sposati molti anni prima, si sono amati molto ma il matrimonio è durato pochissimo a causa dell'infedeltà di lei; lui non si è più risposato, lei sì. Ma tutto questo ormai appartiene al passato: o forse no?

Il baritono (Billy Connolly) e il mezzosoprano (Pauline Collins) sono molto bravi e danno una notevole carica di simpatia al film, ma si può dire che per quanto attiene alla narrazione siano due figure di spalla: lui ha avuto un ictus e adesso sta bene ma a causa dell'ictus è diventato sboccato (o fa finta? questo dettaglio sembra preso dai libri di Oliver Sacks), il mezzosoprano sta bene ma ogni tanto si perde con la testa, probabilmente un Alzheimer agli inizi. Tutti insieme, tanti anni fa, avevano interpretato un famoso Rigoletto, e anche un Barbiere di Siviglia, e altro ancora: capitava infatti spesso, e capita ancora, che alcuni cantanti si trovino spesso insieme in diverse produzioni, e anche in tournée. Uscendo dal campo della finzione ed entrando nella vita reale, potrei fare i nomi di Mirella Freni, Nicolai Ghiaurov, Piero Cappuccili e Placido Domingo; o magari quelli di Giuseppe Di Stefano, Maria Callas, Giulietta Simionato, Ettore Bastianini... si potrebbero ricostruire diversi "quartetti", volendo. Il film è quindi abbastanza realistico nelle sue premesse, anche se poi prevale il gioco del teatro, i diversi caratteri, insomma si parte da un dato che potrebbe essere reale ma poi il film va avanti per conto suo.
La famosa cantante (Maggie Smith) ha deciso di non cantare più, ma la si vorrebbe coinvolgere in una recita necessaria per trovare fondi per tenere aperta la casa di riposo. E' irremovibile, e anzi si offende molto quando gli altri glielo chiedono; ma poi un suo gesto brusco nei confronti della fragile mezzosoprano (Pauline Collins) provocherà una crisi di rimorso, e da qui in avanti si va verso il finale lieto, il concerto si farà e il quartetto verrà eseguito come tanti anni prima.
Sulle note di "Bella figlia dell'amore", dal Rigoletto, si chiude il film: l'edizione che si ascolta sui titoli di coda è quella, famosa e riconoscibilissima, con Luciano Pavarotti e Joan Sutherland.

La casa di riposo si chiama "Beecham House", intitolata al grande direttore d'orchestra sir Thomas Beecham (1879-1961), al suo arrivo a Maggie Smith tocca una pessima battuta sul suo conto che Harwood avrebbe fatto bene a tralasciare. Il concerto che si prepara è per il centenario della nascita di Verdi, quindi si parla del 2013; nel concerto del finale non ascoltiamo solo Verdi, ma anche Puccini (Tosca), Gilbert & Sullivan (The Mikado), e altro ancora. Alla fine si dimenticano di dirci se poi la casa di riposo sarà salva; la trama è come si diceva molto prevedibile, ma il film è ben recitato e ben diretto quindi lo si vede volentieri.
Gli attori: Tom Courtenay (il tenore) è un ottimo attore che ha avuto il culmine della sua carriera negli anni '60, nel cinema inglese. Maggie Smith (soprano) è una delle attrici di punta del teatro e del cinema inglese. Billy Connolly (baritono) è un comico televisivo; Pauline Collins (mezzosoprano) è un'attrice brillante televisiva. Un altro attore importante, soprattutto in teatro, è Michael Gambon: l'ex direttore artistico che si aggira vestito piò meno all'africana. Tutti gli altri attori che si vedono nel film (sono molti) hanno un passato più o meno importante come musicisti o come attori di teatro: l'elenco completo è nei titoli di coda, con i loro ritratti di ieri e di oggi. Ha una parte consistente la gallese Gwyneth Jones, star internazionale, soprano famosa soprattutto per Wagner e per Richard Strauss (esegue "Vissi d'arte" nel finale). Di mio ho un ricordo lontano del contralto Nuala Willis, all'Autunno Musicale di Como negli anni '80; gli altri musicisti orchestrali, con parti da solista in orchestre importanti, e poi cantanti, attori di vaudeville, attori di teatro di prosa. Dario Marianelli cura le musiche per il film e nei titoli di testa c'è scritto che la musica è sua, ma di proprio suo non so quanto ci sia nel film, così a orecchio direi niente.

Mi sono segnato questa definizione dell'opera lirica, fatta al minuto 28 da Tom Courtenay: la domanda è "che cos'è l'opera", posta da un ragazzo nero (un rapper hip hop):
- All'inizio erano le persone come voi che andavano all'opera, con i vestiti normali; si portavano da mangiare, bevevano alcolici, tiravano cose (sul palcoscenico)... Comunque questo succedeva molto tempo fa, poi i ricchi si impadronirono del mondo dell'opera con i loro abiti da sera e le tolsero l'anima, facendola diventare una cosa che non è. Ma che cosa è? Già, che cos'è... Nell'opera una persona viene pugnalata alle spalle e invece di sanguinare canta. A me sembra (...) che il rap è quando uno viene pugnalato alle spalle e invece di sanguinare parla, ritmicamente e con sentimento. Ma poiché il rap è parlato, il sentimento è come se fosse trattenuto, c'è solo una nota (con cui esprimersi). (...) Nell'opera cantiamo ciò che sentiamo e il canto, quel salire e scendere della musica, rende libere le nostre emozioni. Alla vostra domanda io rispondo che l'opera è semplicemente riversare all'esterno quel fiume di emozioni che ognuno di noi tiene chiuso dentro di sè.
Non è proprio così, dal punto di vista storico (l'opera nasce in ambiente di corte, a Mantova agli inizi del '600: l'Orfeo di Monteverdi) ma è una definizione che trovo abbastanza appropriata perché nell'Ottocento e nel Novecento, soprattutto, era proprio così: all'opera andavano tutti, operai, artigiani, e magari tiravano "cose"(ortaggi o fiori?) sul palcoscenico, proprio come viene detto nel film, quando erano d'accordo o quando protestavano. L'opera era una cosa viva, insomma: e aveva un'anima. Oggi come siamo messi?

L'elenco delle musiche, diviso per autore:
- Giuseppe Verdi, La traviata (brindisi atto primo, arrangiamento di Carmen Dragon, e una Fantasia su temi dell'opera, per clarinetto, eseguita da Colin Bradbury); Il coro da "Libiamo nei lieti calici" è eseguito da Léon Charles, Nuala Willis, John Rawnsley, Melodie Waddingham, Cynthia Morey, Jennifer Adams-Barbaro, Cherith Millburn-Fryer, Justin Lavender, Richard Lea, Geoffrey Newman, Gregor Kowalski, John Farrington, Ian Jones, Sylvia Jones, Jenny Hill, Ann Mabey, Vivienne Ross, Miriam McLeod, Eileen Hamilton, Zoë Haydn, John Winfield, Martin Nelson, Patricia Varley (Justin Lavender è un tenore di oggi, in carriera)
- Giuseppe Verdi, Rigoletto: arrangiamento da La donna è mobile (Morgan Pochin); Bella figlia dell'amore in un arrangiamento per tromba di Dario Marianelli; Caro nome (Ileana Cotrubas, Wiener Philharmoniker diretti da Carlo Maria Giulini); Bella figlia dell'amore (John Georgiadis, Ita Herbert, Graeme Scott, John Heley, James Morgan, Ronnie Hughes); Bella Figlia dell'Amore (Renato Bruson, Edita Gruberova, Neil Shicoff, Brigitte Fassbaender, Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia dir Giuseppe Sinopoli); Bella figlia dell'amore (Joan Sutherland, Huguette Tourangeau, Luciano Pavarotti, Sherrill Milnes, Martti Talvela, London Symphony Orchestra direttore Richard Bonynge)
- Gioacchino Rossini, Il barbiere di Siviglia: Ah qual colpo inaspettato (Gianna D'Angelo, Renato Capecchi, Nicola Monti, Bayerischen Rundfunks Orchester dir Bruno Bartoletti )
- Vittorio Monti, Czardas (John Georgiadis e Colin Bradbury, clarinetto)
- Franz Schubert, "Who is Sylvia" (Colin Bradbury, clarinetto)
- Giacomo Puccini, da Tosca: "Vissi d'arte "Tosca (Gwyneth Jones, Adrian Müller )
- Johann Sebastian Bach, Toccata e Fuga in re minore (Léon Charles); idem nella trascrizione di Ferruccio Busoni (arrangiata da John Georgiadis: esecutori Léon Charles, John Georgiadis, Ita Herbert, Graeme Scott, John Heley )
- Camille Saint-Saëns, il cigno da "Carnevale degli animali" (John Heley e Léon Charles)
- Gilbert & Sullivan, "The Mikado" : Flowers that Bloom in the Spring (Cynthia Morey, Melodie Waddingham, Nuala Willis, John Rawnsley) "So, Please You Sir, We Much Regret" (Cynthia Morey, Melodie Waddingham, Nuala Willis, John Rawnsley, James Morgan, John Georgiadis);
Three Little Maids from School (Cynthia Morey, Melodie Waddingham, Nuala Willis, Adrian Müller); Titwillow (John Rawnsley, James Morgan)
- Luigi Boccherini Minuetto dal Quintetto Op. 11, no. 5
- Franz Joseph Haydn, minuetto dalla Sinfonia N.100 'Militare' (Philharmonia Hungarica, Antal Doráti); da "Piano Time Pieces 3" con clarinetto obbligato (arr. Colin Bradbury; eseguito da Esme Penry-Davey e Colin Bradbury ); Quartetto per archi op. 76 n.4 (arr. Barney Pilling e Yann McCullough, eseguito da John Georgiadis, Ita Herbert, Graeme Scott, John Heley)
- "Go Tell Aunt Rhody" (Traditional, eseguito da Isla e Iona Mathieson)
- "Are You Havin' Any Fun" (Sammy Fain e Jack Yellen, eseguito da David Ryall, Trevor Peacock, Léon Charles, Ronnie Hughes)
- "Underneath the Arches" (Bud Flanagan e Chesney Allen, eseguito daTrevor Peacock, David Ryall, Jack Honeyborne)

PS: Esiste un altro film intitolato "Quartet" del 1981 con la regia di James Ivory; ha lo stesso titolo ma non c'entra con la musica. Il soggetto è di Jean Rhys.

 

sabato 15 aprile 2017

A late quartet (Una fragile armonia)


A late quartet (Una fragile armonia, 2012). Regia di Yaron Zilbermann. Scritto da Yaron Zilbermann e Seth Grossman. Fotografia di Frederick Elmes. Musiche di Beethoven, Bach, Haydn, Sarasate, Korngold, Johann Strauss. Musica per il film di Angelo Badalamenti. Interpreti: Christopher Walken, Mark Ivanir, Philip Seymour Hoffmann, Catherine Keener, Imogen Potts, Anne Sofie von Otter, Wallace Shawn, Nina Lee. Durata: 106 minuti
Un quartetto d'archi di fama internazionale, "The Fugue Quartet" (nome d'invenzione, come tutto il film) è al centro di questo film, scritto e diretto da Yaron Zilbermann. Si parte da Christopher Walken, che interpreta il personaggio di un violoncellista, fondatore del quartetto: più anziano degli altri tre, dopo un quarto di secolo di successi e tremila concerti in tutto il mondo scopre di avere il morbo di Parkinson. Sono solo i primi sintomi, ma la diagnosi è certa e tra qualche tempo non potrà più suonare. Questa sua malattia metterà in dubbio non solo la sopravvivenza del quartetto, ma le stesse relazioni personali fra i suoi componenti. Ci sarà però un lieto fine, un bel finale dove Walken all'ultimo concerto, tra gli applausi del pubblico, lascerà il suo posto a una giovane violoncellista dai tratti orientali, interpretata dalla vera concertista (non attrice come gli altri quattro) Nina Lee.
Gli attori: Mark Ivanir interpreta il primo violino: è lui che propose, 25 anni prima, al violoncellista appena rimasto vedovo di cominciare una nuova avventura. La nascita del Quartetto Fugue consentirà al violoncellista di superare il suo personale trauma, e porterà a un grande successo in tutto il mondo. Mark Ivanir è molto bravo, non lo conoscevo. Philip Seymour Hoffmann è il secondo violino, sposato da molti anni con la viola del quartetto (Catherine Keener); i due hanno una figlia adulta, violinista (Imogen Potts) che va a lezione dal primo violino (Mark Ivanir) e avrà una breve ma intensa relazione con lui. In più, Philip Seymour Hoffmann ha un breve flirt con una ragazza incontrata facendo jogging (Liraz Charhi, piccola e bruna); verrà scoperto dalla moglie e rischia di saltare il matrimonio, e di conseguenza tutto il Quartetto Fugue.
C'è anche una piccola parte per il mezzosoprano svedese Anne Sofie von Otter, che nei flashback è la moglie di Walken. Nina Lee, concertista affermata, interpreta la nuova violoncellista.
"A late quartet" ha lati positivi e aspetti così così, la vita all'interno di un famoso quartetto d'archi poteva ispirare qualcosa di più, qui ci si ritrova con le solite situazioni e dialoghi di altri telefilm e film già visti e rivisti: le corna, la ragazza giovane con l'insegnante quarantenne, gelosie varie, eccetera. Forse ciò che si poteva davvero evitare è la storiella del secondo violino che vorrebbe diventare primo violino al posto del primo violino, dopo venticinque anni da secondo violino. A me sembra un po' una scemenza, però chissà può darsi. Bisognerebbe chiedere ai concertisti veri, si è mai verificata una situazione simile? Io so che nella musica da camera la dizione "primo violino" e "secondo violino" non indica delle gerarchie, ma è solo un sistema per indicare le rispettive parti da suonare; non sono un musicista e potrei sbagliarmi, ma prendere questa dizione per un desiderio di fare carriera mi sembra un po' riduttivo, pensando a Schubert, a Schumann, a Brahms, Haydn, Mozart... Chissà quanti violinisti pagherebbero qualcosa per poter essere secondo violino in un grande quartetto d'archi. In estrema sintesi, direi che si tratta di un film alterno, con buoni momenti alternati ad altri più modesti; non spiacevole, ma che si poteva pensare meglio.
In Italia è stato cambiato il titolo, che si riferisce agli ultimi quartetti di Beethoven (molto complessi, grandi capolavori non per modo di dire ma - per una volta almeno - nel senso letterale dalla parola) che è diventato molto più banale, "Una fragile armonia".

Si suona l'opera 131 di Beethoven (che non prevede pause: problema in più per il violoncellista malato); si dice che Schubert volle ascoltare l'op.131 sul suo letto di morte, e che Beethoven ragazzo veniva svegliato di notte dal padre perché doveva suonare per divertire gli amici (ubriachi) del papà, tutte informazioni da verificare.
Le musiche che si ascoltano nel film:
- Beethoven, Quartetto n.14 op.131 (Brentano String Quartet )
- Haydn, Quartetto op.20/5, il terzo movimento (Brentano String Quartet )
- Pablo de Sarasate, Zigeunerweisen (Gypsy Airs), Op.20 (Mark Steinberg)
- Johann Sebastian Bach, Suite per violoncello No.4, Preludio e Allemanda (Nina Lee)
- Johann Strauss jr, Il Danubio blu (tema principale, Mark Steinberg al violino)
- Erich Wolfgang Korngold, da "Die Tote Stadt": canzone di Marietta (Anne Sofie von Otter, mezzosoprano)
- City Nights (Uri Caine)
- Bulerias Del Encuentro (Cristian Puig, Rebeca Tomas)
- Salty Air (Jonathan Dagan)



martedì 11 aprile 2017

Lina Cavalieri


La prima cosa da dire su Lina Cavalieri (1874-1944) è che si tratta di un personaggio fuori dal comune, prima ancora che di una cantante d'opera; riassumere la sua vita in poche righe è un'impresa e ci provo meglio che posso. Nata a Viterbo nel 1874 con il nome di Natalina Cavalieri, si impone giovanissima come interprete di canzoni napoletane, prima a Napoli al Salone Margherita e poi, con crescente successo, a Parigi nelle Folies Bergères. Oltre che brava, è anche molto bella e ha modi eleganti e raffinati; il suo successo è immediato e le apre anche le porte dell'opera lirica. Nel 1900, al San Carlo di Napoli, debutta nella Bohème di Puccini, opera nuovissima (la prima è del 1896, a tutti gli effetti musica contemporanea). Le cronache dicono che la voce non è eccezionale, ma comunque piace e da qui in avanti inizia per Lina Cavalieri una carriera di soprano leggero di tutto rispetto, in Europa e in America, al fianco di cantanti importanti come Enrico Caruso, Francesco Tamagno, Giuseppe De Luca.
Insieme al successo artistico arriva anche la notorietà mondana: Lina Cavalieri colpisce per la sua bellezza, e con una vera e propria operazione di marketing la sua immagine, sotto forma di fotografie, di cartoline postali e di gadget, fa il giro del mondo. La quantità esistente di foto e di ritratti di Lina Cavalieri è impressionante, ne porto qui qualche esempio ma ci si potrebbe riempire un libro intero. Il culmine di questo vero e proprio culto personale (ben orchestrato) sono probabilmente i ritratti a lei dedicati da grandi artisti come Giovanni Boldini, Cesare Tallone, Vittorio Corcos (qui a fianco), Tito Corbella e altri pittori di punta del suo tempo.

Nel 1914 Lina Cavalieri lascia il teatro, e inizia la sua carriera per il cinema (che esisteva da meno di vent'anni) ma senza ripetere il successo che ebbe in teatro. Nel 1920 si ritira definitivamente a vita privata, commentando «mi ritiro dall'arte senza chiasso dopo una carriera forse troppo clamorosa». Si sposò cinque volte, il principe russo Baryatinski per lei fece follie ma non durò a lungo. Tra i suoi mariti anche Giovanni Campari (nel 1927), famoso per la fabbrica di bevande; negli anni precedenti un altro dei suoi mariti, Lucien Muratore, le fece lasciare il teatro. Morirà a Firenze in tempo di guerra, vittima dei bombardamenti. (tutte queste notizie le ho prese da www.wikipedia.it).

Dal sito straordinario di Internet Movie Database (www.imdb.com ) prendo invece la lista dei suoi film, purtroppo non reperibili in rete. Su youtube è invece possibile ascoltare la voce della Cavalieri.
1914 - Manon Lescaut, regia di Herbert Hall Winslow, con Lucien Muratore (suo marito)
1915- Sposa nella morte! , regia di Emilio Ghione, autore anche del soggetto. Emilio Ghione è uno dei grandi registi degli inizi del cinema. Con lei recitano Ida Carloni Talli, Diomira Jacobini, e ancora Lucien Muratore.
1916- La rosa di Granata, soggetto e regia di Emilio Ghione. Con Ida Carloni Talli, Lucien Muratore.
1917- The eternal temptress, regia di Emile Chautard, soggetto di Madame de Gresac. Il personaggio di Lina Cavalieri si chiama "princess Cordelia".
1918- Love's conquest, regia di Edward Josè su soggetto di Sardou (Gismonda): Lina Cavalieri è Gismonda, parte che fu scritta per Sarah Bernhardt. Il regista belga Edward Josè è autore anche dei film con Enrico Caruso, realizzati nello stesso periodo.
1918- A woman of impulse, regia di Edward Josè, soggetto di Louis Anspacher. Lina Cavalieri è Leonora "la Vecci".
1919- The two brides, regia di Edward Josè, soggetto Alicia Ramsey. Lina Cavalieri è "Diana di Marchesi".
1920- L'idole brisée, regia di Maurice Mariaud, soggetto di Albert Dieudonné.
Lina Cavalieri appare anche in due documentari, datati 1916 e 1921; è rimasto famoso (fu un grande successo al botteghino) un film liberamente tratto dalla sua vita, "La donna più bella del mondo", produzione americana del 1955, regia di Robert Z. Leonard, con Gina Lollobrigida, Vittorio Gassman, Robert Alda, Gino Sinimberghi.
 
 
(Lina Cavalieri, ritratto di Cesare Tallone)

(Lina Cavalieri, ritratto di Giovanni Boldini)