venerdì 31 marzo 2017

Hadewijch


 
Hadewijch (2009) Regia di Bruno Dumont. Scritto da Bruno Dumont. Fotografia di Yves Cape. Musiche di J.S.Bach (arrangiamenti del gruppo "La Mathilde", e un brano dalla Passione San Matteo) e di André Caplet. Interpreti: Julie Sokolowski, Karl Sarafidis, Yassine Salime, David Dewaele, Brigitte Mayeux-Clerget, Michelle Ardenne, Sabrina Lechene, Marie Castelain, Luc-François Bouyssonie. Durata: 1h40'

"Hadewijch", del francese Bruno Dumont (nato nel 1959) è uscito nel 2009 e racconta di una ragazza molto giovane, Céline (Julie Sokolowski) che vorrebbe farsi monaca ma viene messa fuori dal monastero perché non mangia, esagera con le mortificazioni, "sei la caricatura di una religiosa" le viene detto, ed è probabilmente vero. La invitano quindi a prendersi una pausa, "le porte per te sono sempre aperte".
Nel finale del film, Hadewijch viene indicato dalla protagonista come "il posto dove sono nata" il che farebbe pensare a una località precisa; una ricerca in rete dà invece risultati diversi:
Hadewijch (fine XII secolo – inizio XIII secolo) è stata una mistica e poetessa fiamminga, vissuta probabilmente nel ducato di Brabante. Legata al nascente movimento delle beghine, fu tra le principali figure della letteratura volgare europea sviluppatasi in quel periodo. Scrisse anche opere in prosa. (da www.wikipedia.it)
Quindi, non una località ma probabilmente un luogo dell'anima, probabilmente il monastero stesso e l'identificazione di Céline con la mistica brabantina.


Lasciato il monastero, vediamo quindi Céline nella sua vita normale: è figlia di gente benestante e con posizione sociale importante, non ha problemi economici. Incontra poi un ragazzo della sua età, musulmano, di origine libanese; a lui dice che si è dedicata a Cristo, ma fanno comunque amicizia; il ragazzo le fa conoscere suo fratello maggiore, un predicatore islamico che tiene corsi su "Dio invisibile" che è tra di noi. Dice che la Francia è una democrazia, si vota, e quindi ognuno è responsabile anche del male fatto al suo prossimo (anche in Libano, per esempio) perchè mandando certe persone invece di altre nei posti di comando si decide comunque della sorte delle persone, di quelle a noi vicine ma anche di quelle da noi lontane fisicamente.
Insieme, i tre giovani vanno a un concerto all'aperto con una band giovane; poi Céline da sola è in chiesa e ascolta un brano di Johann Sebastian Bach, dalla Passione secondo san Matteo. Il brano è il numero 51, "rendimi il mio Signore": è l'aria che commenta il pentimento di Giuda (Matteo 27, 1-6), i trenta denari d'argento privi di ogni valore, che Giuda getta via e che i sacerdoti non giudicano degni di far parte del tesoro del Tempio.
La ragazza appare serena e pensosa, rimane però molto confusa, e si suiciderebbe (come la Mouchette di Robert Bresson) se il giovane predicatore non arrivasse a salvarla. Il film, che dura 1h40', termina con il loro abbraccio, nell'acqua di un fiume.
Probabilmente il modello era proprio Bresson, soprattutto "Mouchette" e "Il diavolo probabilmente", ma Dumont pur avendo un'ottima padronanza del mezzo non è sempre all'altezza del soggetto e il film si perde molto spesso in immagini un po' troppo cercate (bei panorami) e ha diversi difetti di sceneggiatura; per esempio con la sola visione del film, senza internet e senza wikipedia non avrei mai capito chi era Hadewijch, e sarebbe stato un peccato. Il silenzio, poi, è tra le cose più difficili da rendere al cinema.
Si tratta comunque di un bel film, da conoscere.
In "Hadewijch" ci sono due bei momenti musicali, entrambi dedicati a Johann Sebastian Bach: una Arte della Fuga molto bella anche se quasi irriconoscibile, suonata da cinque ragazzi molto giovani ("La Mathilde") con ritmica tra jazz e rock e solisti fisarmonica (Elliott Simon) e sax (Julien Jadczak), molto interessante e di piacevole ascolto; è il concerto al crepuscolo a cui Céline va con i due fratelli libanesi. Gli altri componenti di "La Mathilde" sono Guillaume Pera, Olivier Boulanger e Yoan Bassinet.
Poi, in chiesa, dalla "Passione secondo Matteo" il numero 51, "Gebt mir meinem Jesu wieder" (il lamento di Giuda pentito: "Rendetemi il mio Gesù") con un bel gruppo di giovani musicisti. Il gruppo è composto da tre ragazze e due giovani uomini: due violini, viola, contrabbasso, baritono. I loro nomi sono François Mulard (baritono), Anissa Amrouche, Anne France Dumoulin, Benjamin Colosimo, Bérengère Scheppler, Angélique Naccache; notevole è anche la resa dal punto di vista visivo.
Nel finale c'è anche un brano sinfonico di André Caplet (1878-1925), "Le Miroir de Jésus" eseguita dall'Orchestre des Pays de Savoie, direttore Mark Foster.
(dicembre 2013)


mercoledì 29 marzo 2017

Elvira Madigan

 

Elvira Madigan (1967) Regia di Bo Widerberg. Scritto da Bo Widerberg. Fotografia di Jörgen Persson. Musica: andante dal concerto n.21 K467 di Mozart. Musiche per il film di Ulf Björlin. Interpreti: Pia Degemark, Thommy Berggreen, Lennart Malmer, Cleo Jensen, Nina Widerberg. Durata: 1h30'

Penso che tutti conoscano l'andante dal Concerto n.21 in do maggiore per pianoforte e orchestra K467, il secondo movimento; chi non lo conosce farà bene ad andarlo a cercare perchè è tra le composizioni più belle di tutta la storia della musica, e non solo di Mozart. In ogni caso, basteranno poche note per risvegliare la memoria. Io l'ho ascoltato per la prima volta da bambino, e per molto tempo ho creduto che facesse parte della colonna sonora di "2001 Odissea nello Spazio" di Stanley Kubrick; quando alla fine sono riuscito a vedere il film per intero (a quei tempi non era facile, bisognava aspettare che lo programmassero nei cinema) questo brano mi mancava, e in effetti avrebbe benissimo potuto entrare nella colonna sonora di quel film.
Poi mi è successo questo: citando quel brano di Mozart, trovavo persone che mi dicevano, con la massima sicurezza e naturalezza, "ma sì, Elvira Madigan". Il fatto è che il nome Elvira Madigan non si trovava sulle copertine dei dischi, e non viene citato nei libri che parlano di Mozart. Ci sono altri concerti per pianoforte di Mozart che hanno un nome, per esempio il concerto n.9 K271 Jeunehomme, dove Jeunehomme (alla lettera "giovane uomo") è il cognome di una famosa pianista (donna) contemporanea di Wolfgang Amadeus. Il nome "Jeunehomme" è di attribuzione incerta, le notizie storiche su questa concertista sono davvero poche, ma è comunque un nome che accompagna da sempre il concerto n.9. Invece di Elvira Madigan non c'erano tracce, e solo con molta fatica avevo scoperto che si trattava di un film. Essendo appassionato di cinema, ho cercato a lungo notizie su questo film, che immaginavo famoso e visto da tutti, tranne che da me. Poi ho scoperto che non era così, e anzi ho dovuto aspettare fino a oggi, fino all'epoca di internet e di youtube, per trovarne notizie certe e anche per vederne qualche sequenza (il film intero ancora mi manca).
 

"Elvira Madigan" è un film svedese, girato nel 1967, con regia di Bo Widerberg. Racconta la storia di una giovane acrobata che si innamora di un ufficiale, a fine 800; è una storia vera, con finale tragico.Purtroppo il film intero su youtube non c'è, ci sono solo degli spezzoni
Il fatto avvenne nel 1889: la giovane acrobata di circo Elvira Madigan ebbe una relazione tempestosa con un ufficiale di cavalleria, il tenente Brendt Sixten Sparre; i due fuggirono insieme, vissero insieme per qualche tempo, ma alla fine furono trovati entrambi morti. La versione più probabile è che Sixten Sparre abbia ucciso Elvira, e poi si sia ucciso; ma la verità completa non è mai stata chiarita. Elvira si chiamava Hedvig Antoinette Jensen, genitori danesi e norvegesi, vissuta fra il 1867 e il 1889; fu acrobata nel'American Circus di John Madigan, suo patrigno (sposò sua madre in seconde nozze). Elvira aveva ventun anni, l'ufficiale 34; la loro storia colpì l'opinione pubblica anche perché era molto simile a quella di Mayerling, la tragica storia di Maria Vetsera e Rodolfo d'Asburgo, in Baviera. Su questo soggetto esistono altri due film, uno del 1943 e uno del 1967 (lo stesso anno).

Dagli spezzoni disponibili su youtube, il film sembra molto bello sia come immagini che come recitazione; del regista Bo Widerberg non so nulla, e dovrò rimediare. Francamente, non riesco a capire le scelte dei funzionari tv: trasmettono e replicano film dozzinali e ciofeche inimmaginabili, ma per questo e altri film belli (ce ne sono tanti) non c'è mai stato spazio. O, meglio, sapendo da che scuola vengono (pubblicitari, tv commerciali, radio deejay...) capisco perfettamente le ragioni di queste scelte.
Rimane anche da chiedersi come mai tutti citino immediatamente per il concerto di Mozart questo film, praticamente invisibile, mai stato famoso e, nonostante gli elogi del 1967, visto da pochi. Un altro mistero, insomma, ma di quelli piccoli.
L'andante del K467 nel film è suonato da un'orchestra diretta da James Last, che viene dalla musica leggera e quindi non è che sia il massimo della vita, ma al cinema abbiamo ascoltato di peggio, e quindi viva Mozart.
(qui sotto, la vera Elvira Madigan, da www.wikipedia.it )
 

domenica 26 marzo 2017

Colonne sonore


L'ultima volta che mi è successo è stato con un film recente: "Maraviglioso Boccaccio" dei fratelli Taviani. Sui titoli di testa c'è scritto "musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia", ma quello che si è ascolta è Verdi, Rossini, Puccini. Impossibile non riconoscere il Macbeth di Verdi, la scena del sonnambulismo, le streghe, la citazione anche in immagini del fantasma di Banco nella scena del banchetto (il primo episodio, la giovane donna creduta morta). Il Macbeth è la colonna portante del film, si ascolta per tutti gli episodi. Nell'episodio di Calandrino c'è anche Rossini: il Barbiere di Siviglia, se non sbaglio (non ho qui il film per controllare); nel racconto del falco si ascolta Puccini, uno degli intermezzi (Manon Lescaut, Le Villi?) o magari il Preludio in la maggiore; avrei voluto controllare con maggior cura ma anche sul sito www.imdb.com non viene riportata la lista completa della colonna sonora, segno che nessuno si è preoccupato di farlo. E, infine, il pessimo vizio dei funzionari televisivi di tagliare i titoli di coda mi impedisce di capire se, almeno in fondo in fondo, vengono citati i nomi dei veri autori delle musiche che si ascoltano. Poi, certo, qualcosina degli autori citati nei titoli di testa c'è: un motivo che sembra ripreso da Allonsanfan, e poco più.
E' un vizio antico, antico come il cinema sonoro: quante volte mi è capitato di vedere "musica di" e intanto si ascoltava Beethoven, o Wagner, o Verdi, o Mahler... Mi si obietterà: sono musiche famose, la gente le conosce. Ma non è così, per esempio io a diciott'anni non le conoscevo ancora; e non sapendo si pensa: ma come è bravo questo autore della colonna sonora! (invece no, era Rossini, era Mahler, era Beethoven...)
Ci sono delle musiche che non vengono mai citate nei titoli di testa o di coda, tutti le conoscono ma sarebbe anche bello metterlo bene in chiaro: i matrimoni, per esempio. Wagner o Mendelssohn, il coro del terzo atto di "Lohengrin" o le musiche di scena per "Sogno di una notte di mezza estate". Elsa di Brabante, oppure Oberon e Titania? Avrei voluto dedicare un post alla musica per il matrimonio, ma mi sono accorto che ci sarebbe voluta un'enciclopedia in ventinove volumi...
E poi c'è Rossini, con in primissima fila l'ouverture dal "Guglielmo Tell", un pezzettino alla volta ma la conoscono tutti, e ancora oggi molti associano la "cavalcata" finale al cartoon di Lone Ranger, ormai è musica universale. Chissà se Rossini ne sarebbe contento; di sicuro chiederebbe le royalties, era uno che stava molto attento ai suoi diritti.
Una serie di film della RKO, negli anni '40, si apriva con le prime note della Quinta di Beethoven: non ho mai visto nessuna indicazione in merito. Ma, fin qui, siamo alla citazione più o meno integrale e letterale, e posso anche farmi andare bene la scusa che ho già scritto cominciando questo ragionamento, sono musiche famose e forse è perfino superfluo indicarne l'autore.
Quello che invece mi dispiace sempre è quando si "attinge" dalla grande musica ma non lo si dice. Metto qui sotto qualche esempio (la lista completa sarebbe infinita), non senza aver prima detto che qui ci vorrebbe un musicista di professione, uno che abbia studiato composizione e che sia in grado di spiegare bene cosa succede; da parte mia, andando a orecchio, posso dire che:
1) il coro al minuto 12:40 di Dumbo, quando si costruisce il tendone sotto il temporale, è molto simile al coro dei fantasmi da "L'Olandese Volante" di Wagner.
2) Ryuichi Sakamoto, musiche per Il piccolo Buddha di Bertolucci; se non ricordo male ci vinse l'Oscar. Il film è sempre bello, il finale è toccante. Quanto a Sakamoto, ecco cosa ho trovato: Parsifal, Tristano, Charles Ives (The unanswered question), Arvo Part (requiem for Benjamin Britten), e soprattutto la Quinta di Shostakovic (mancava solo la celesta). Forse è un record, chissà.
3) l'ottimo Alex North, musicista di fiducia di John Huston, in "L'onore dei Prizzi" fa largo uso delle musiche di Puccini, soprattutto del "Gianni Schicchi".
4) Michael Nyman divenne famoso con le musiche per i film di Peter Greenaway, poi riprese in sigle tv, stacchetti, pubblicità. Penso che tutti abbiano ascoltato almeno una volta Nyman, anche se non ne conoscono il nome. Poi mi capita di ascoltare Michael Nyman per tv, in un documentario tutto celebrativo con interviste, in cui impiega un'ora per dire "ho messo delle finestre con Haendel e Purcell" (e Mozart, aggiungo io): no, non sono finestre, sono stanze, arredi, mobilio, appartamenti interi, facciate, fondamenta... anche il tetto, vien da dire. In particolare, la scena del freddo (l'inverno) dal King Arthur di Henry Purcell: è identica.
5) Spiace dirlo, perchè Maurice Jarre mi è sempre piaciuto, ma la colonna sonora per "Lawrence d'Arabia" è presa di peso da Carl Nielsen, "Aladdin - suite per orchestra", perfino l'orchestrazione è molto simile. (Bella invece, in "Lawrence d'Arabia", la canzone "I'm the man who broke the bank of Montecarlo", dal music hall dell'anno 1892, scritta da Fred Gilbert)
6) Bernard Herrmann, fedele collaboratore di Hitchcock, in "Vertigo" (La donna che visse due volte) si appoggia molto a Prokofiev e a Wagner. Herrmann è molto bravo, lo fa con garbo e a tempo, ma è impossibile non pensare al Tristano a 1h24 dall'inizio, quando James Stewart ritrova la macchina verde che fu di Kim Novak. A 1h34, quando Kim Novak rivede la sequenza sulla torre, ci si ricorda molto di Wagner, il tema dei giganti Fafner e Fasolt, "L'oro del Reno". E, per il tema conduttore (quello che apre il film) consiglio di ascoltare Prokofiev, "L'angelo di fuoco" oppure la Terza Sinfonia. Herrmann, insomma, fa un po' quello che fa Gustav Mahler nella sua Prima Sinfonia con il tema di Fra Martino Campanaro: agli scettici che non lo conoscono consiglio di ascoltare bene, Mahler lo porta in tonalità minore e poi fa delle variazioni da maestro. Così, insomma, ci può anche stare: ma Wagner e Prokofiev (e Mahler) sono ben dentro al lavoro di Bernard Herrmann.
7) La musica della caccia alla volpe nel film di Huston "The list od Adrian Messenger" (in Italia "I cinque volti dell'assassino") è firmata da Jerry Goldsmith, ma è un calco abbastanza sfacciato dai Troiani di Berlioz. Bella e appropriata, ottimo gusto: ma è un vero ricalco, leggermente virato al gaelico.
  8) James Last firma come suo il tema da "Elvira Madigan" (1967): complimenti! E' di Mozart, il Concerto n.21 per pianoforte e orchestra.
9) il motivo di "Stranger in paradise", famosa canzone anni '50 di Tony Bennett, è ripreso tale e quale dall'inizio delle danze polovesiane di Borodin (l'opera è "Il principe Igor").
10) Il "Concierto de Aranjuez" di Joaquin Rodrigo, e le musiche di Ennio Morricone in "Per un pugno di dollari" e gli altri film di Sergio Leone.

Alla lista va aggiunto George Fenton, che in "The Lady in the van" (2015, regia di Nicholas Hytner) riesce a spacciare per suo nientemeno che il valzer più famoso di Dimitrij Shostakovich, quello che apre "Eyes wide shut" di Stanley Kubrick, per intenderci, e che è parte delle "Suites per orchestra jazz". Il valzer è riconoscibilissimo, ma nei titoli di coda non se ne fa la minima menzione.
Teo Usuelli, che ha scritto belle colonne sonore per Marco Ferreri, nel "Michele Strogoff" di Eriprando Visconti (1970) fa largo uso della Quinta Sinfonia di Mahler, del Tristano e Isotta di Wagner, e di altro ancora, in una colonna sonora peraltro bruttina. Dai titoli di testa apprendo che a dirigere queste musiche c'era Alberto Zedda, grande musicologo rossiniano e direttore d'orchestra importante nei decenni successivi.



 
Per me, concludo, questo più o meno piccolo "furto" non è una novità: tra i più grandi successi degli anni in cui sono cresciuto c'erano i dischi dei Procol Harum: Bach e Haendel neanche tanto nascosti. E poi Emerson Lake and Palmer: "Pictures at an exhibition" è di Modest Petrovic Mussorgskij, e in "Brain salad surgery" c'è la "Sinfonietta" di Leos Janacek. E molto altro ancora, più o meno dichiarato. Se volete ascoltare Bach e non sapete da dove cominciare, potete cominciare dai Procol Harum: su youtube ci sono tutte le loro canzoni più belle, "A whiter shade of pale" (in Italia divenne "L'ora dell'amore") per esempio, o magari "Homburg". Tanto, i grandi musicisti non ci sono più da tanto tempo, e non possono pretendere i diritti d'autore; e nemmeno gli Oscar, a dirla tutta.
 
PS: "L'arte sta in questa massima: rubar con garbo, e a tempo": è di Giuseppe Verdi, nel Falstaff (1893, libretto di Arrigo Boito)
(dall'alto in basso: Airplane - L'aereo più pazzo del mondo; Notorious di Alfred Hitchcock; Scrappy farm, un cartoon del 1933; Peter O'Toole in Lawrence d'Arabia; The list of Adrian Messenger; James Last alias Amadé; ancora The list of Adrian Messenger, e ancora Airplane; un'immagine di Harold Feinstein)
 
 
 
 

venerdì 24 marzo 2017

Maggio musicale ( Gregoretti )


Maggio musicale (1990) Scritto e diretto da Ugo Gregoretti. Fotografia di Pierluigi Santi. Musica di Puccini (La Bohème). Musica per il film di Fiorenzo Carpi. Interpreti: Malcolm Mc Dowell (voce di Giancarlo Giannini), Elisabetta Pozzi, Chris Merritt, Shirley Verrett, Roberto Frontali, Guido Pasella, Carlo Del Bosco, Mario Benotto, Carmelo Caruso, Will Humburg, Maria Prosperi, Salvatore Ragonese, Pierandrea Baglioni, Benedetta Buccellato, Orsetta Gregoretti, Durata: 100 minuti

Ugo Gregoretti ha diretto molti film che mi sono piaciuti: al primo posto metto la sua versione tv del "Circolo Pickwick" di Dickens, vista quand'ero bambino, decisamente ben riuscita e divertente ancora oggi. Poi "Le uova fatali", che mi spinse a leggere Bulgakov (ringraziamenti infiniti!); "Omicron"; un Campanile molto ben fatto, "Ma che cosa è questo amore" con Roberto Benigni nel ruolo del pensatore. E tanto altro ancora, così che quando mi trovai davanti a un film come "Maggio musicale" ero molto ben disposto, e invece mi è arrivata una grossa delusione. Così ne scrivevo nei miei appunti: «“Maggio musicale” di Ugo Gregoretti è pieno di buone intenzioni ma è bruttino, direi che si salva solo l’allestimento di Bohème. Il ragazzo protagonista è decisamente antipatico, tutto l’insieme è abbastanza stupido e stupisce che l’autore di tanti bei film e sceneggiati si sia perso in questo modo, compreso l’autoincensamento come autore di Omicron (che però era davvero un buon film). Malcolm Mc Dowell è comunque un ottimo protagonista, la Verrett e Merritt sono divertenti e divertiti, Elisabetta Pozzi la si vede sempre volentieri (mio appunto del 1991)»
E' un film difficile da ritrovare, come se fosse scomparso, cancellato dai palinsesti, ed è un peccato perché sarebbe in ogni caso interessante da rivedere. Ma sappiamo tutti la condizione dei film italiani in tv: anche recentissimi e in prima visione, anche con registi importanti, vengono programmati solo a notte fonda. Capita anche con Montaldo, con i Taviani, direi che è a tutti gli effetti una specie di censura. Una censura praticata da programmisti stupidi e ignoranti, perché non c'è proprio nessun motivo per oscurare questi film, e soprattutto perché in "prima serata" passano film scadenti o repliche di film mediocri già replicati all'infinito.
Ripensandoci oggi, è interessante la presenza di Chris Merritt, grande interprete rossiniano che in quel periodo era uno dei tenori più importanti fra quelli in attività; qui rifà se stesso, sia pure con un altro nome e seguendo il personaggio inventato da Gregoretti. Nel film duetta con Shirley Verrett, una delle più grandi cantanti degli anni '60-80'. Nel cast anche il baritono Roberto Frontali, altra stella dell'opera. I bassi Pasella e Del Bosco erano molto presenti sui palcoscenici di quegli anni; Orsetta Gregoretti è una delle figlie del regista.
Tra gli attori, Malcolm Mc Dowell è il celebre protagonista di "Arancia Meccanica" (quasi vent'anni dopo), Elisabetta Pozzi è ben conosciuta agli appassionati di teatro, e ha recitato anche in molte produzioni televisive e al cinema.
 

 

mercoledì 22 marzo 2017

Casa lontana


Casa lontana (1939) Regia di Johannes Meyer. Soggetto di M.W. Kimmich. Fotografia di Werner Brandes. Musiche di Gounod, Cilea, Giordano; canzoni napoletane; musiche per il film di Franco Casavola. Interpreti: Beniamino Gigli, Livia Caloni (soprano per Donizetti e Gounod), Kirsten Heiberg, Hilde Körber, Elsa Wagner, Werner Fütterer, E.F. Fürbringer, Friedrich Kayssler, Oretta Fiume. Durata: 84 minuti

"Casa lontana" è un film girato a Cinecittà con attori tedeschi, a guerra già in corso (non ancora da noi). Si inizia in tribunale, dove il povero Gigli (che qui si chiama Franchetti) è un tenore famoso accusato di omicidio; in realtà il losco impresario Kennedi (con la i finale) ricattava sua moglie Maria tramite una cambiale falsa. Ci sarà un lieto fine quando si scoprirà che l'omicidio è stata legittima difesa, anzi un colpo partito per caso durante una colluttazione. La storia che ha portato a tutto questo viene raccontata in flashback: il famoso tenore è in teatro, dove tra le ballerine discinte incontra Maria, che poi sposerà nonostante il parere negativo del suo agente. Tra i personaggi troviamo l'impresario Kennedi (con la i) losco figuro e ricattatore, il bel coreografo (per una volta non omosessuale) che corteggia Maria ma si spaventa e la respinge quando viene a sapere che ha mollato Gigli per lui; finale con riconciliazione totale, lieto fine con la "Canzone a Maria" (che non è poi una gran canzone, ma la si ascolta per tutto il film). Sono poco interessanti gli attori tedeschi, vista da oggi appare piuttosto legnosa soprattutto la protagonista Kirsten Heiberg; si fa notare invece invece Oretta Fiume nella scena finale del processo.
 
Molta la musica, con lunghe riprese in teatro, in scena e con il coro e altri cantanti, dove Beniamino Gigli canta "verranno a te sull'aure" dalla Lucia di Lammermoor di Donizetti, e una scena intera dal "Romeo e Giulietta" di Gounod con lunghi estratti: l'aria di Giulietta e la scena del balcone (il soprano è Livia Caloni per entrambe le opere). L'Arlesiana di Cilea, in teatro, viene usata con riferimento alla moglie che se ne è andata ("lei, sempre lei mi parla al cuor, fatale vision": il Lamento di Federico dall'Arlesiana). "Amor ti vieta" dalla "Fedora" di Giordano è cantata da Gigli durante una festa; è di Zandonai la canzone del clown che dà il titolo al film, "Casa lontana". Il direttore d'orchestra è Luigi Ricci. Inoltre, Gigli canta "Funiculì funiculà" alla festa in cui chiede in sposa Maria, un'altra canzone napoletana che non ho riconosciuto (una di quelle tristi) quando è in incognito in America, nel bar.

 
Le musiche swing sono di Franco Casavola; "Canzone a Maria" di Ernesto de Curtis è il leitmotiv del film ("tu sei per me la vita, e questa vita io la dono a te"); Franz Grothe scrive la canzone tedesca interpretata da Kirsten Heiberg.  In conclusione, non è un gran film ma ha il merito di mostrarci molte scene con Beniamino Gigli in teatro, nella sua vera professione.


sabato 18 marzo 2017

La Traviata (1982, Zeffirelli)


La traviata (1983) Regia di Franco Zeffirelli. Musica di Giuseppe Verdi. Direzione musicale: James Levine. Metropolitan Chorus and Orchestra. Fotografia di Ennio Guarnieri. Scene di Franco Zeffirelli. Costumi di Piero Tosi. Coreografie di Alberto Testa. Interpreti: Teresa Stratas, Plàcido Domingo, Cornell Mac Neill, Maurizio Barbacini, Ferruccio Furlanetto, Pina Cei, Allan Monk, Axelle Gall, Renato Cestiè, e molti altri. Ballerini: Ekaterina Maximova, Vladimir Vassiliev. Durata: 109 minuti

Sulla "Traviata" incombe lo stesso equivoco nato intorno all'Aida, e cioè che siano opere che necessitano di scenografie imponenti e costose, di costumi sfarzosi, gioielli, diamanti, ambienti clamorosamente ricchi e grandi. In realtà, ed all'ascolto è evidente, si tratta di due drammi intimi e raccolti, dove prevalgono i sentimenti personali, l'amore, la gioia, il dolore. Poi, certo, ci sono le scene "grandi", con il coro e con tanti interpreti: il trionfo nell'Aida e le feste nella Traviata. Qui ci si può e ci si deve sbizzarrire, ma sempre con un minimo di attenzione e di senso del limite. E' questo senso del limite che è mancato spesso a Zeffirelli, anche in teatro: regista tra i più grandi, ogni tanto sembra essere colto da una specie di "horror vacui" e riempie la scena di una gran quantità di cose e di personaggi, anche non previsti. Ricordo in teatro una sua "Cavalleria Rusticana" (Mascagni) dove c'era chi commentava che case così perfette potevano essere smontate e spedite là dove ce ne era bisogno e una "Turandot" (Puccini) così strapiena di gente e di oggetti da far sembrare piccolo il palcoscenico della Scala (che non è affatto piccolo), con il boia che roteava la sua scure (enorme, la scure) e migliaia di comparse a riempire ogni minimo spazio, un "horror vacui", per l'appunto, degno delle pagine domenicali del grande Jacovitti.
Detto questo, Zeffirelli è senza ombra di dubbio un grande regista e di grande tecnica, padrone completo di ogni aspetto della messa in scena; ma esagerare non va mai bene e troppo spesso Zeffirelli esagera. Se ci fosse stato ancora Luchino Visconti, suo maestro riconosciuto ("Senso", del 1954, vide Zeffirelli fra i suoi collaboratori) un po' di sobrietà gliela avrebbe suggerita, magari con i toni bruschi che gli erano soliti.
Il film di Zeffirelli tratto da "La traviata" è più o meno così, con tutto il bene che se ne può dire e con tutti i difetti caratteristici di Zeffirelli. Il mio parere, per quel che vale, è che si tratta di un'illustrazione corretta di quello che succede nell'opera, e può sicuramente piacere soprattutto in tempi come questi in cui i registi si impegnano a fondo per non far capire niente di cosa succede in un'opera lirica.
Plàcido Domingo qui è ancora giovane e in piena forma, uno dei migliori per questo ruolo. Teresa Stratas nel fisico ricorda molto Maria Callas (un po', non tanto), ed era all'inizio degli anni Ottanta famosa più per il repertorio contemporaneo (ebbe grande successo nella "Lulu" di Alban Berg) che non in Verdi e Puccini, ma svolge bene il compito che le è richiesto. Il baritono è Cornell Mac Neill, vecchia gloria verdiana. Direttore d'orchestra è James Levine, alla guida della sua orchestra, quella del Metropolitan di New York. Nel corpo di ballo, i solisti sono i ballerini del Bolscioi di Mosca Ekaterina Maximova e Vladimir Vassiliev, il coreografo è Alberto Testa. Tra gli attori si può far notare il nome di Renato Cestiè, che qui interpreta un facchino ma che è stato da bambino uno dei divi più richiesti del cinema italiano. Il tenore Maurizio Barbacini e il basso Ferruccio Furlanetto erano molto presenti nei teatri d'opera di quel periodo, anche in parti da protagonisti.
Nella scena del brindisi ho avuto l'impressione di vedere un bicchierino da grappa, cosa che sarebbe stata davvero curiosa: rivedendo le foto dal film, probabilmente la mia impressione deriva da come vengono tenuti i calici, il gambo del bicchiere quasi non si vede e l'idea di un brindisi fatto con un grappino mi aveva fatto allegria, ma purtroppo così non è. Del resto, il film è visibile su youtube e quindi ognuno potrà controllare e verificare facilmente quanto le mie impressioni corrispondano al vero; e se mi sono permesso qualche libertà di troppo è stato soltanto per affetto, quindi spero che Zeffirelli possa darmi "l'assolvenza", per dirla con Puccini (Gianni Schicchi). Quantomeno, io ci spero... (gennaio 2013)



giovedì 16 marzo 2017

Musica per signora



Musica per signora (1937) Regia di John G. Blystone. Scritto da Robert Harari e Gertrude Purcell. Fotografia di Joseph H. August. Musiche di Leoncavallo, Donizetti, Wagner, Mendelssohn; canzoni americane; musiche per il film di Nathaniel Shilkret. Interpreti: Nino Martini, Joan Fontaine, Alan Mowbray, Billy Gilbert, Alan Hale, e altri. Durata: 80 minuti

"Musica per signora" è un film su misura per il tenore veronese Nino Martini, che cantò per diverse stagioni al Metropolitan e con molto successo; confesso che ne ignoravo l'esistenza prima di vedere questo film. Ad ascoltarlo qui (ma un film è poco attendibile per dare un giudizio) si direbbe una buona voce, forse non eccezionale, ma si capisce il perché della sua degna carriera. Qui canta "Vesti la giubba" dai Pagliacci di Leoncavallo, un'aria da "L'elisir d'amore" di Donizetti, e molte canzoni americane scritte per il film. Si ascoltano anche Wagner (ouverture dal Tannhäuser, coro dal terzo atto del Lohengrin), Mendelssohn (scherzo da "Sogno di una notte di mezza estate"). Con Nino Martini recita Joan Fontaine, qui ventenne, destinata a una luminosa carriera: tre anni dopo arriveranno i grandi ruoli con Hitchcock, "Rebecca" e "Il sospetto". La regia è di John G. Blystone, un bravo professionista di Hollywood.
Il soggetto vede il protagonista coinvolto in una storia a lieto fine di ladri e di furti, nella quale viene contrapposto a un altro tenore, uno spagnolo (parte da caratterista); lo scioglimento della vicenda è legato al riconoscimento della voce, e non c'è dubbio su chi sia il vero tenore. Questo equivoco di per sè triste avrà un risvolto utile, perché lo porterà al successo: un Grande Direttore (l'attore Alan Mowbray, che fa la caricatura di Stokowski) lancerà alla radio il giovane tenore, oltretutto con una canzone scritta dalla bella del film (Joan Fontaine, non una qualunque). In definitiva, una cosa da poco, girato un po' frettolosamente, che però ha fatto aggiungere qualche tassello alla mia personale storia del teatro d'opera al cinema.
Il regista Blystone ha al suo attivo un film con Stanlio e Ollio, "Serenata a Vallechiara" (nel 1938, un anno dopo) e questo basta e avanza per renderlo molto simpatico.
 

martedì 14 marzo 2017

Lily Pons

Alice Josephine Pons, 1898-1976, francese di nascita, fu per molti anni una delle star del Metropolitan, e divenne famosissima in America. Aveva voce piccola ma molto bella, nitida, con agilità e acuti formidabili; oltre a questo, era molto bella anche di persona, e non poteva passare inosservata nel cinema di Hollywood.
A suo merito bisogna anche aggiungere che Lily Pons fu un’antifascista molto attiva, e in USA ebbe un ruolo importante per perorare la causa di De Gaulle, che era capo della Resistenza (De Gaulle era un uomo di destra, ma fu capo della Resistenza: anche da noi molti uomini di destra parteciparono alla Resistenza, sarà il caso di ricordarlo ai distratti).
Il sito www.imdb.com riporta per Lily Pons questi titoli come attrice:
- I dream too much (Notte di carnevale, 1935 regia John Cromwell con Henry Fonda, Lucille Ball, Mischa Auer)
- That girl from Paris (La ragazza di Parigi 1936 regia Leigh Jason con Jack Oakie, Gene Raymond)
- Hitting a new high ( Una donna in gabbia, 1937 Raoul Walsh, EE Horton, Jack Oakie, John Howard)
- Carnegie Hall (Sinfonie eterne 1947) EG Ulmer dove Lily Pons interpreta se stessa. Nel film, che purtroppo non ho mai visto, compaiono anche Bruno Walter, Gregor Piatigorsky, Rise Stevens, Artur Rodzinsky, Artur Rubinstein, Jan Peerce, Ezio Pinza, Jascha Heifetz, Leopold Stokowski, Leonard Rose. Gli attori intorno a cui ruota il film sono Marsha Hunt e William Prince.
- Four star review, tv serie 1950, episodi da un’ora per la tv, con attori famosi
 
Sono riuscito a vederne addirittura tre su quattro, grazie a Raitre (non quella del 2016-17, quella di prima); mi ero scritto qualche appunto, che trascrivo in attesa di rivedere tutto con calma:
- Hitting a new high ( Una donna in gabbia, 1937 regia di Raoul Walsh, EE Horton, Jack Oakie, John Howard) Divertente il film di Lily Pons del 1937, quello con EE Horton e Jack Oakie-Benzino Napaloni dove lei fa la bird-girl. Film “con il cervello di un uccellino” scrive www.imdb.com , ed è proprio vero; però la Pons anche vicina ai quarant’anni sembra ancora una diciottenne, può permettersi  non solo il bikini (che non c'era ancora) ma anche gli hot pants e scollature notevoli. Meno belli i due precedenti, quello del 1935 con Henry Fonda e quello del 1936 dove Horton non c’era. Meritevoli di lode gli addestratori degli animali: in "Hitting a new high" il leone fa davvero l’attore (vedere per credere) e gli uccellini non volano via dal dito di Lily, ma recitano magnificamente anche loro. Film visti per pura curiosità, che si sono rivelati una piacevolissima sorpresa; la Pons era davvero straordinaria, l’unico appunto che le si può muovere è che canta tutto allo stesso modo, l’aria del passerottino e la scena della follia dalla Lucia di Lammermoor diventano praticamente uguali, ma questo era lo stile di canto di quasi tutti i soprani d'agilità prima che arrivasse la "rivoluzione" chiamata Maria Callas (febbraio 2006)
 
Aggiungo qualche nota esplicativa a questi miei vecchi appunti, in attesa di ritornare sull'argomento: “Hitting a new high” è la storia di un tizio che durante una vacanza (o un naufragio?) trova su un’isola lontana una fanciulla che canta come un usignolo: si chiama “Oogahunga”, the bird-girl, e verrà ribattezzata Suzette per farne una star in America. Dato il soggetto, è anche un’occasione per mostrare Lily Pons in abiti molto ridotti, e direi che ne valeva la pena. Jack Oakie è un comico americano all’epoca molto famoso, che si ricorda oggi più che altro per il ruolo di “similduce” nel Grande Dittatore di Charlie Chaplin; Edward Everett Horton è un attore brillante di cui sono da sempre un grande ammiratore, immancabile in molti film di quegli anni, con Frank Capra, o magari al fianco di Fred Astaire in “Cappello a cilindro”. Nella foto qui sotto, Lily Pons è con Edward Everett Horton (in abiti settecenteschi) e con l'ottimo regista Raoul Walsh (con la benda sull'occhio, purtroppo non per esigenze di spettacolo).
 
 

domenica 12 marzo 2017

Ruggero Raimondi

Il basso bolognese Ruggero Raimondi, già affermato sui palcoscenici internazionali, divenne famoso in tutto il mondo nel 1979 interpretando per il cinema il "Don Giovanni" di Losey; anch'io lo conobbi grazie a quel film, e subito me lo ritrovai davanti sul palcoscenico della Scala nel Boris Godunov diretto da Claudio Abbado, dove interpretava due ruoli (Varlaam alla prima, il protagonista in alcune repliche). Ruggero Raimondi in palcoscenico è da vedere, oltre che da ascoltare; è un ottimo attore e non stupisce che sia stato richiesto anche da grandi registi. Dopo quel "Don Giovanni" Raimondi ebbe aperte le porte del cinema, ma non ne approfittò più di quel tanto perché la sua agenda teatrale era già pienissima, e continua ad esserlo ancora oggi.

Nel dettaglio, questi sono i film di Ruggero Raimondi girati per il cinema, da www.imdb.com :
1978 "Six personnages en quete d'un chanteur" di Maurice Béjart, per la tv francese
1979 "Don Giovanni", regia di Joseph Losey (ne ho già scritto su questo blog)
1982 "La truite", regia di Joseph Losey. Protagoniste di questo film sono Jeanne Moreau e Isabelle Huppert, il personaggio di Raimondi è un ospite a una festa.
1982 "La vita è un romanzo", regia di Alain Resnais, un film a più protagonisti, con Vittorio Gassman, Fanny Ardant, Geraldine Chaplin, Sabine Azema, e molti altri tra cui Cathy Berberian; il personaggio di Raimondi è "il conte Michel Forbek".
1984 "Carmen", regia di Francesco Rosi; un altro film tratto da un'opera lirica, dove ovviamente Raimondi è Escamillo (ruolo baritonale)
1985 "Faust", l'opera di Gounod con regia di Ken Russell; da Vienna, dirige Erich Binder. Francisco Araiza è Faust, Gabriela Benackova è Marguerite, Ruggero Raimondi è Mefistofele.
1989 "Boris Godunov", l'opera di Mussorgskij con regia di Andrzej Zulawski. Dirige Rostropovic; Ruggero Raimondi è Boris Godunov (è il suo quarto film tratto da un'opera lirica).
1997. "I colori del diavolo", regia di Alain Jessua; con W.Stanczak e Isabelle Pasco. Il personaggio di Raimondi si chiama Bellisle, il soggetto è tratto da un romanzo di Gilles Blunt.
2008 "Le sanglot des anges", film di 90 minuti per la tv francese 2008. Ruggero Raimondi è il protagonista, che si chiama Carlo Di Vanelli.
Molte le registrazioni di opere per la tv: si comincia con "La Favorita" di Donizetti (1971), poi "Nabucco" (1979), un'altra Carmen, un altro Boris, Le Nozze Figaro, un altro Don Giovanni, "IlViaggio a Reims" di Rossini (la bellissima edizione diretta da Claudio Abbado con regia di Ronconi), poi Tosca (altro ruolo baritonale), Il Turco in Italia, I racconti di Hoffmann, Don Basilio nel Barbiere di Siviglia, "Don Pasquale" di Donizetti, Falstaff di Verdi, "Assassinio nella cattedrale" di Ildebrando Pizzetti (da T.S. Eliot), e infine un "Rigoletto a Mantova" nel 2010, regia di Marco Bellocchio. Intanto, la carriera in teatro continua con ottimi esiti. Se non fosse stato per il grande successo in teatro, penso che le porte del cinema si sarebbero davvero spalancate per Ruggero Raimondi, che sarebbe stato (per esempio) un magnifico cattivo nei film fantasy (Harry Potter?) o in quelli di James Bond o di Schwarzenegger, o magari in un Batman; ma Raimondi ha preferito continuare la carriera di cantante d’opera e francamente non so dargli torto.