lunedì 30 gennaio 2017

Terra di fuoco


 
Terra di fuoco (1939). Regia di Giorgio Ferroni e Marcel L'Herbier. Scritto da GB Angioletti, Georges Auriol, Jean Sarment. Fotografia di Robert Lefebvre. Musiche di Massenet e Gounod. Musiche per il film di Umberto Mancini. Interpreti: Tito Schipa, Mireille Balin, Marie Glory, Jean Servais, André Lefaur, Luisa Carletti, e molti altri. Durata: 90 minuti

"Terra di fuoco" è un film del 1939 con Tito Schipa, qui più attore che cantante (ma doppiato da Gualtiero de Angelis), diretto a due da Giorgio Ferroni e da Marcel L'Herbier. E' un film pieno di difetti e di tare, e per di più Schipa canta poco e quel poco è spesso coperto da dialoghi e spezzettato; per ascoltare in parte un'aria dal Werther bisogna arrivare agli ultimi cinque minuti, quando ormai non ci si sperava più. Schipa interpreta un tenore che in teatro durante una recita uccide veramente il baritono con la spada, in un duello. Per questo verrà processato, a Buenos Aires, e condannato a dieci anni, con attenuante la gelosia. Vediamo quindi Schipa da forzato, col pigiama, deriso e ferito, che però poi riesce a risollevarsi e canta un'Ave Maria (che non ho riconosciuto) per il funerale dell'uomo che in carcere lo aveva deriso e ferito. Il luogo di prigionia è nell'estremo sud dell'Argentina, da qui la "terra di fuoco" del titolo. Viene infine rimesso in libertà; torna in Europa, a Parigi, dove lavora in un night e sotto falso nome canta canzoni napoletane e altre canzoni che non direi memorabili. Qui scopre che la "vedova" del baritono che ha ucciso è una poco di buono, ma ritrova anche il piacere di cantare e un amico (Jean Servais) che lo riporta a Roma e poi a Milano, dove potrà infine riabbracciare moglie e figlia. Tornerà a riprendere il suo vero nome, ormai riabilitato, e torna anche al successo con il Werther.
Il tutto è un po' troppo raffazzonato, sia pure con qualche scena ben girata; Marcel L'Herbier è in effetti uno dei grandi registi del periodo a cavallo tra la fine del cinema muto e l'inzio del sonoro, e probabilmente è sua la scena del night, molto ben preparata. Alcuni appunti presi durante la visione: 1) con i baffetti, Schipa somiglia davvero ad Alfredo Kraus, suo erede artistico; si direbbe un Kraus un po' in sovrappeso ma la somiglianza è notevole. 2) nel dialogo con Jean Servais si dice che i toni medi non sono il suo forte e vanno rinforzati, probabilmente stava scherzando. 3) la figlia del protagonista canta l'aria mozartiana di Cherubino "Voi che sapete", da "Le Nozze di Figaro". Protagoniste femminili sono Mireille Balin e Marie Glory, che con Jean Servais completano il terzetto di attori che fanno da spalla a Schipa: si tratta infatti di una coproduzione italofrancese. In conclusione, per quel che può servire, il mio parere è che si tratta di uno tra i film più noiosi che io abbia visto, anche se non si può dire che sia brutto.


(di questo film ho trovato una sola immagine in rete, ringrazio chi l'ha resa disponibile)

domenica 29 gennaio 2017

Vento di primavera (1959)


 
Vento di primavera (1959). regia di Giulio Del Torre e A.M.Rabenalt. Scritto da Aldo De Benedetti con Gina Falckenberg. Musiche di Bellini, Donizetti, Meyerbeer. Canzoni di Bixio, de Curtis, e altri. Fotografia (a colori) di Oskar Schnirk e Augusto Tiezzi. Interpreti: Ferruccio Tagliavini, Sabine Bethmann, Lauretta Masiero, Massimo Giuliani, Erich Winn, Rudolf Vogel, Valeria Fabrizi. Durata: 103 minuti

"Vento di primavera" è un film del 1959 che ha per protagonista il tenore Ferruccio Tagliavini; è a colori, dura quasi due ore e probabilmente aveva qualche ambizione quando fu progettato, ma visto oggi si rivela come un fotoromanzone molto convenzionale. Anche Tagliavini è utilizzato male, ci sono pochissime riprese in teatro e fasulle nell'aspetto, con tante canzoni e poca musica, molti spezzoni, qualche aria appena accennata, quasi nulla si ascolta per intero.
Si tratta di una coproduzione italo-bavarese con attori italiani e tedeschi, girato in Eastmancolor a pieni colori (tipo Ferrania, per chi si ricorda le pellicole fotografiche degli anni '40 e '50). Il film a tratti diventa quasi una cartolina da Roma, con panorami, scorci, il Colosseo, Frascati, e molto altro ancora; sotto questo aspetto ha un suo interesse documentario, anche se va detto che nel 1959 Roma a colori era già più che documentata. La regia è divisa a metà fra Giulio Del Torre e A.M. Rabenalt (indicato con le sole iniziali nei titoli); il soggetto è di Aldo De Benedetti con Gina Falckenberg Del Torre.
La giovane tedesca Elisabeth (Sabine Bethmann) trova un impiego a Roma dove conosce il grande amore della sua vita, un ingegnere tedesco impiegato nella stessa ditta; però lui ha una relazione con una soubrette (Lauretta Masiero) che alla notizia del fidanzamento lo lascia senza patemi ma poi, perfida, si vendica facendo credere alla giovane tedesca chissà che cosa. Lei, sconvolta, torna a Berlino; dove però, complice un bambino con cui fa amicizia, figlio del grande e famoso tenore, si sposerà con Ferruccio Tagliavini, che nel film è presentato come vedovo. Da qui inizia una vita da sogno, ma poi durante una tournée tornano a Roma e lei reincontra il grande amore, l'ingegnere; i due si spiegano e la tentazione di ricominciare è forte ma alla fine lei rimane in famiglia, con il marito tenore e con il bambino, rinunciando alla fuga d'amore. Sipario. Tutto questo sulle note di "Non ti scordar di me" (che non è "Tu che m'ha preso il cuor" di Lehar, mi sono sbagliato per tutto il film ma gli arrangiamenti canzonettistici italiani si somigliano tutti). Il vero protagonista è il bambino di sei anni, che è Massimo Giuliani qui in versione mostriciattolo sdolcinato (I'm sorry) ma già somigliantissimo all'attore e doppiatore come sarà da adulto.
Gli attori tedeschi, oltre a Sabine Bethmann, si chiamano Erich Winn e Rudolf Vogel, e tutti e tre sono abbastanza inespressivi. Nel cast italiano, oltre a Lauretta Masiero (attrice brillante in teatro, e in quel periodo famosissima per le sue apparizioni in tv) che da splendida seduttrice quarantenne inizia il film in bikini ma verrà poi lasciata per la ventenne tedesca, c'è anche Valeria Fabrizi, altra attrice importante in teatro (dove in quegli anni interpretava la Cleopatra di Shakespeare). Tagliavini somiglia molto a Pavarotti nei primi piani, è doppiato da Giuseppe Rinaldi e canta quasi solo canzoni molto banali, direi scontate: Torna a Surriento, Volare di Modugno (che era una novità, nel '59), eccetera, compresa la ninna nanna al figliuolo. Ascoltiamo anche frammenti da Bellini (Sonnambula), Donizetti (Elisir d'amore), Meyerbeer (O Paradiso, da "L'Africana"). In definitiva, un film deludente ma onesto, che si lascia guardare. Belli soprattutto gli scorci romani, l'appartamento con terrazza panoramica, gli esterni. Regia diligente, da sufficienza. Una curiosità: tutti gli attori e le attrici sono doppiati, praticamente nessuno nel film parla con la propria voce, italiane e italiani compresi.


mercoledì 25 gennaio 2017

Don Chisciotte ( III )


 
Don Quixote (1933) Regia di Georg Wilhelm Pabst. Dal romanzo di Cervantes. Sceneggiatura di Alexandre Arnoux , Paul Morand, Georg W. Pabst. Fotografia di Nicolas Farkas e Paul Portier. Montaggio di Hans Oser. Musiche di Jacques Ibert (con un’aria di Dargominsky). Interpreti della versione inglese: Fiodor Scialiapin, George Robey (Sancho Panza), Oscar Asche, René Donnio, Frank Stanmore , Miles Mander , Wally Patch, Sidney Fox (Maria), Emily Fitzroy (moglie di Sancho) Renée Valliers (Dulcinea), Andreas Malandrinos (oste), Lydia Sherwood, Vladimir Sokoloff . Durata: 73 minuti

Nei primi anni del cinema sonoro è frequente trovare due o tre versioni dello stesso film, girate quasi in contemporanea: invece di doppiare il film, lo si girava in diverse lingue tenendo fermi gli attori principali e cambiando il resto del cast. Può sembrare strano, ma è così: per esempio esistono due versioni del "Mabuse" di Fritz Lang, così come esistono due versioni del "Don Chisciotte" e di un altro film di Pabst, "L'opera da tre soldi" (quest'ultimo da Brecht e Weill).
Se il Mabuse di Fritz Lang è quasi perfettamente identico nelle due edizioni, con i diversi attori che eseguono come una partitura le indicazioni del regista, i due film di Pabst presentano invece numerose differenze, anche importanti. Dell'Opera da tre soldi scriverò più avanti, qui provo a elencare brevemente le differenze tra i due "Don Chisciotte" di Pabst.
 
 
Il protagonista è sempre Fiodor Scialiapin, e non poteva essere diversamente; gli altri attori sono tutti cambiati, Sancho compreso.
Nella versione inglese anche le canzoni sono in inglese; Scialiapin canta e recita in inglese. L'impressione è che la versione inglese sia meglio recitata nel complesso, ma quella francese ha più musica, e le canzoni in francese (cioè nell'originale, come le ha pensate Ibert) sono più belle; in inglese sembrano diventare delle ballate ma comunque non dispiacciono e Scialiapin è sempre molto bravo.
 
L'attore che interpreta Sancio (un comico di lingua inglese molto popolare a suo tempo) è peggiore di quello francese, peccato. A fargli difetto è soprattutto la mimica: il modo in cui abbraccia l'asino nel finale è da dimenticare, direi che come Sancho è proprio nel ruolo sbagliato. Il francese Dorville probabilmente non è l'interprete ideale, ma rende comunque credibile il personaggio.
Nella versione inglese viene rovinata la magnifica sequenza finale, quella del libro che rinasce dalle ceneri: tutto viene coperto dal testo in inglese, che nasconde completamente l'immagine. Forse non si fidavano della pronuncia inglese di Scialiapin?

 
Nella versione francese manca però la sequenza del teatrino di Maese Pedro, dove Don Chisciotte irrompe sul palcoscenico contro le marionette, che è quasi identica a quella che poi girerà (ma ambientata in un cinema) Orson Welles, e nel vederla ci si convince che Welles conosceva bene il Quichotte inglese di Pabst.
Molto bello anche l'inizio della versione inglese, le grandi maschere del carnevale che Don Chisciotte scambia per giganti. In definitiva, come tutto Pabst, un misto di capolavoro e di sequenze tirate via; e fa perfino rabbia.
 


 
(Le due versioni sono entrambe disponibili su youtube, per chi volesse fare confronti.)

martedì 24 gennaio 2017

Don Chisciotte ( II )


Don Quixote (1933) Regia di Georg Wilhelm Pabst. Dal romanzo di Cervantes. Sceneggiatura di Alexandre Arnoux , Paul Morand, Georg W. Pabst. Fotografia di Nicolas Farkas e Paul Portier. Montaggio di Hans Oser. Musiche di Jacques Ibert (con un’aria di Dargominsky). Con Fiodor Scialiapin, Georges Dodane (Dorville), Renée Valliers, Mady Berry, Mireille Balin, René Donnio, Jean de Limur . Durata: 73 minuti

2.
In Cervantes c'è molta musica. Don Chisciotte stesso suona e canta in più di un'occasione: ecco come ce lo descrive Cervantes.
CAPITOLI XLIV-XLVI
Della strana avventura che nel castello accadde a don Chisciotte
(...) Arrivate le undici di sera, don Chisciotte trovò una vihuela nella sua stanza. La provò, aprì la grata e sentì che camminava gente nel giardino. Dopo avere percorso con le dita i tasti della vihuela e averla accordata come meglio seppe, sputò e tossì, quindi, con una voce un po' roca ma intonata. cantò la seguente romanza che egli stesso aveva composta quel giorno:
Romance: Soglion le forze d'amore - Antonio de Ribera / Cervantes
Soglion le forze d'amore fare impazzire le anime (....)
(eccetera.)
La vihuela è un antico strumento ad arco, uno degli antenati del violino e del violoncello; va ricordato che Cervantes visse fra il 1500 e il 1600 (morì nel 1616, come Shakespeare). Così la definisce la Garzantina: «la vihuela è un antico strumento cordofono spagnolo, distinto nei due tipi “de arco” e “de mano”. Con la definizione “vihuela de arco” nei secoli XIII-XV si indicava la “viella” medievale (fibula) mentre nel secolo XVI diventò sinonimo di “viola da gamba”. La “vihuela de mano” invece, nata probabilmente alla fine del ‘400, a corde pizzicate e su fondo piatto (fino a sei corde, di cui cinque doppie) ebbe larga diffusione presso la società elegante spagnola, dove raggiunse una notorietà pari a quella che ebbe il liuto in altri paesi europei (...)»
 

Nella colonna sonora del film si ascoltano però soltanto strumenti moderni, dato che la musica fu composta per l’occasione da Jacques Ibert (francese, 1890-1962). Ibert è un ottimo compositore, e sono molto belle le sue canzoni (in tedesco sarebbero “lieder”) composte per il film e cantate da Scialiapin. I testi sono del poeta francese Alexandre Arnoux (1884-1973) che penso che siano ancora sotto copyright; perciò ne riporto solo uno, quello finale della morte di Don Chisciotte: chi ha visto il film e ha ascoltato Scialiapin capirà perché.
Chanson de la mort de Don Quichotte
Musica di Jacques Ibert, testo di Alexandre Arnoux (1884-1973)
Ne pleure pas Sancho, ne pleure pas, mon bon...
Ton maître n'est pas mort,
il n'est pas loin de toi :
Il vit dans une île heureuse
Où tout est pur et sans mensonges,
Dans l'île enfin trouvée
où tu viendras un jour...
Dans l'île désirée,
o mon ami Sancho!
Les livres sont brûlés
et font un tas de cendres;
Si tous les livres m'ont tué
il suffit d'un pour que je vive.
Fantôme dans la vie,
et réel dans la mort :
tel est l'étrange sort
du pauvre Don Quichotte.
 

Per le musiche di questo film fu in origine contattato Maurice Ravel, che scrisse tre canzoni ancora oggi nel repertorio dei maggiori cantanti; poi fu scelto Ibert ma non so bene come siano andate le cose, e d'altra parte oggi sarebbe poco più di una curiosità. Le tre canzoni di Ravel sono state registrate molte volte, probabilmente l’interpretazione di riferimento è quella del baritono francese Gérard Souzay. A me piacciono moltissimo, anche per i testi, e a dire il vero ci sono molto affezionato perché si tratta di uno dei miei primissimi ascolti, quelli che mi fecero decidere ad esplorare il pianeta della vocalità operistica. Le canzoni di Ibert, quelle che ascoltiamo nel film cantate da Scialiapin, sono sempre molto belle; ma va detto che Ibert era un “soltanto” un ottimo compositore, mentre la musica di Ravel appartiene alle sfere celesti.
Nel film si ascolta anche un’aria di Aleksandr Dargominskij (1813-1869), probabilmente scelta da Scialiapin stesso: si intitola “Sierra Nevada”.

 
Dato che è Cervantes stesso a far interpretare molta musica a Don Chisciotte, non stupisce quindi, al di là della statura dell'interprete (un Don Chisciotte così perfetto che rende difficile immaginarsene un altro) che per il film di Pabst sia stato scelto un grande e famoso cantante, il russo Fiodor Scialiapin, nato a Kazan nel 1873 e morto a Parigi nel 1938, cinque anni dopo l’uscita di questo film. Di Scialiapin, grande basso operistico, si diceva che in quel periodo (cent'anni fa) lui, Titta Ruffo ed Enrico Caruso fossero i padroni di New York: nel senso che i loro ingaggi erano così elevati che avrebbero ben potuto comperarsene una parte cospicua. I suoi dischi, così come quelli di Caruso, diedero grande impulso alla nascente industria fonografica; ascoltati oggi, rivelano una voce splendida e seducente ma anche un interprete molto approssimativo; lo stesso discorso vale per Enrico Caruso. La cosa non deve sorprendere: quando l’opera era una cosa viva capitava spesso che i cantanti d’opera si prendessero molte libertà, alle volte approvate dagli stessi compositori, alle volte no. Il Filippo II di Verdi (dall’opera “Don Carlos”) che ascoltiamo nelle registrazioni di Scialiapin si può definire per metà di Verdi e per metà opera del cantante stesso, e si tratta probabilmente di incisioni fatte in maniera poco professionale, ma quelli erano i tempi e questi documenti sono comunque preziosi.
 

Le foto di scena di Scialiapin, in teatro, sono impressionanti in ogni ruolo interpretato; e i resoconti delle sue apparizioni sul palcoscenico lo sono ancora di più. Del resto, guardando questo suo “Don Chisciotte” non si fatica a credere a questi racconti: il vero Scialiapin, nella sua vita quotidiana, non assomigliava affatto al Cavaliere Errante di Cervantes, nel film invece l’identificazione è totale, indimenticabile e perfetta. Il vero Scialiapin  era un uomo alto e robusto, un bel tipo di russo così come siamo abituato ad immaginarci i russi; e nel film ogni tanto si intravvede questa sua robustezza fisica, ma l’interpretazione e il trucco sono talmente perfetti che si ha l’impressione di avere davanti il vero Don Chisciotte, e non un attore che lo recita.
 

PS 1: la trascrizione dei nomi russi, scritti nell’alfabeto cirillico, è sempre una cosa che mi mette in seria difficoltà. Ho scelto la vecchia trascrizione italiana, Scialiapin (con l’accento sulla seconda a, Scialiàpin), per mia comodità personale; ma chi volesse cercare informazioni può scegliere tra Féodor Chaliapine (alla francese: così compare nei titoli di testa del film), Shalyapin, Schaljapin, e quant’altro ancora. Avrei potuto usare la trascrizione ufficiale, scientifica, ma richiede caratteri appositi che non tutti i computer riescono a leggere.
PS 2: le musiche originali citate nel libro di Cervantes sono state pubblicate pochi anni fa, per festeggiare i 400 anni del libro, in una bella edizione, due cd con un libro accluso. Ne riporto i dati per chi volesse cercarla: Hesperion XXI direttore Jordi Savall, cd AliaVox AVSA 9843.




(segue)

lunedì 23 gennaio 2017

Don Chisciotte ( I )


Don Quixote (1933) Regia di Georg Wilhelm Pabst. Dal romanzo di Cervantes. Sceneggiatura di Alexandre Arnoux , Paul Morand, Georg W. Pabst. Fotografia di Nicolas Farkas e Paul Portier. Montaggio di Hans Oser. Musiche di Jacques Ibert (con un’aria di Dargominsky). Con Fiodor Scialiapin, Georges Dodane (Dorville), Renée Valliers, Mady Berry, Mireille Balin, René Donnio, Jean de Limur . Durata: 73 minuti

1.
Un film dove i libri vengono bruciati, perché ritenuti pericolosi. Se questo fosse un quiz, la risposta più probabile e immediata sarebbe "Fahrenheit 451", di Truffaut, tratto dal romanzo di Ray Bradbury. Invece sto parlando di Georg Wilhelm Pabst, e del suo Don Chisciotte, un film "antico" dei primi anni del sonoro, con uno straordinario Fiodor Scialiapin per protagonista, e con le musiche per lui scritte da Jacques Ibert.
Due sono le scene da antologia: la sequenza dei mulini a vento, con Scialiapin-Don Chisciotte che rimane appeso alla pala così come capiterà (ma in un altro modo) a Gregory Peck, vent'anni dopo, nel "Moby Dick" di Melville firmato da John Huston; e la sequenza finale, con il mesto ritorno a casa e la morte di Don Chisciotte.
Di questo finale, è impressionante l'interpretazione di Scialiapin, di una verità incredibile; ma Pabst fa finire il film in questo modo: dal rogo dei libri rinasce il Don Chisciotte. Ed è una sequenza commovente, girata con un trucco da poco: la pellicola viene proiettata al contrario, e dalla cenere rinasce lentamente il libro prezioso. A ordinare il rogo dei libri è stato il Duca, su suggerimento degli "amici" di Don Chisciotte: i libri sono stati la causa della sua follia e dei danni che ne sono derivati; e dunque siano puniti i libri, e non il povero gentiluomo ormai pazzo. Ma i libri sono la vita stessa di Don Chisciotte: alla vista del rogo, il Cavaliere dalla Triste Figura si sente mancare, e poco dopo muore. Solo Sancio, alla fine, riesce a capire la grandezza del suo padrone, lui che di libri non ne ha mai letto nemmeno uno...
 

Le immagini sono ancora oggi bellissime e nitide, soprattutto quelle in esterni, che rimandano in modo inaspettato a “Que viva Mexico” di Eisenstein e Tissé, un film che verrà girato dieci anni dopo. Va detto anche che se l’ultimo quarto d’ora è un capolavoro assoluto, tutto il resto è un po’ invecchiato; avendo in casa il dvd, e dando per conosciuto il romanzo di Cervantes, si può anche cominciare dal finale, dalla scena dei mulini a vento.
Pabst e i suoi sceneggiatori ovviamente tagliano molto, perché il romanzo è molto lungo e il film ne può contenere solo una piccola parte; e rimontano il Don Chisciotte facendo in modo che la grande scena dei mulini a vento, che nel romanzo è all’inizio, venga a trovarsi alla fine del film, e porti alla conclusione con il rogo dei libri e la morte del cavaliere. Direi che si tratta di un lavoro ben fatto, soprattutto grazie alla grande bravura tecnica e narrativa e all’interpretazione magistrale di Scialiapin. Degli altri interpreti, molto belle le scene all’aperto con i contadini e pastori, e gli animali; Sancio è reso molto bene dall’attore francese Georges Dodane (in arte Dorville), gli altri attori sono invece molto datati e anche i loro costumi sembrano piuttosto goffi e poco adatti alle loro persone. Insomma, sembra una recita con costumi improvvisati: ed è un peccato, perché di fianco a un attore grandissimo come Scialiapin avremmo voluto qualcosa di meglio, e si poteva fare.


Rivedendo il film, e ripensando al capolavoro di Cervantes, viene da pensare che forse i veri Don Chisciotte, e cioè i pazzi, siamo noi che ancora ci ostiniamo a leggere, ad informarci, ad andare dietro ai nostri sogni; o, almeno, così ci ritiene il mondo, la gente che ci circonda... Molto più facile andare dietro all'onda della superficialità, della cialtroneria dilagante, delle finte assicurazioni che tutto va bene. Anch'io, ad essere sinceri, questa sera sono scappato dalla realtà e mi sono rifugiato in un vecchio film: avevo dei pensieri tristi e un po' mi sono passati, e quindi ringrazio tutta questa gente che non è più tra di noi da un pezzo: ringrazio Pabst, ringrazio il grande cantante russo, ringrazio Jacques Ibert, e soprattutto ringrazio l'antico Cervantes.



(segue)

domenica 22 gennaio 2017

Il pranzo di Babette


“Il pranzo di Babette” (1987) regia di Gabriel Axel, da un racconto di Karen Blixen. Fotografia di Henning Christiansen. Musiche originali di Per Norgard. Interpreti: Stephane Audran; Brigitte Federspiel e Vibeke Hastrup (Martina), Bodil Kjer e Hanne Stensgaard (Philippa); Jarl Kulle e Gudmaw Wivesson (il generale); Jean Philippe Lafont (Papin); Bibi Andersson (signora svedese); Poul Kern (pastore) e molti altri.
Durata: 102 minuti

"Il pranzo di Babette" è un film danese che ebbe notevole successo alla sua uscita, e va detto che si tratta di un successo più che meritato. Il soggetto (da un racconto di Karen Blixen) è questo: siamo nel 1871, che in Francia è ricordato come l'anno della Comune di Parigi. Una giovane donna, Babette Hersant, è costretta a fuggire dopo la fine di quell'avventura piena di speranze ma che ebbe breve durata; sappiamo che il marito e il figlio sono stati uccisi durante la violenta repressione governativa ad opera del generale Mac Mahon, che provocò ventimila morti e altrettante deportazioni ed incarcerazioni. Babette, grazie all'aiuto di un amico, giunge in Danimarca e trova rifugio in un piccolo villaggio nella casa di due anziane sorelle, che sono figlie del pastore luterano che fu a capo della chiesa locale e quindi molto rispettate in paese. Un po' alla volta veniamo a conoscere la storia non solo di Babette, ma anche quella delle due sorelle, che vediamo da giovani in numerosi flashback. In uno di questi flashback, molto ben fatti, veniamo a conoscere anche l'amico che ha mandato Babette dalle due sorelle: si tratta di un cantante d'opera, un francese che frequentò a lungo la loro casa e che poi a Parigi conobbe Babette nella sua professione di cuoca in un ristorante di alto livello. Nel finale, per sdebitarsi con le due sorelle, Babette preparerà un pranzo da grandi occasioni, pagato con i suoi soldi derivanti da un'inattesa vincita a una vecchia lotteria di quand'era a Parigi. Babette prepara un pranzo davvero sontuoso, e per questo motivo rimane praticamente senza soldi; resterà nel villaggio, anche perché in Francia non ha più nessuno ad attenderla.
 

Per questo film devo ringraziare l'amica Marisa che sull'altro blog me ne ricordò l'esistenza (l'avevo visto quando era uscito ma mi ero dimenticato della sua parte dedicata alla musica) con questo commento: « Non ho visto citato un film per me bellissimo e in cui l'opera ha un ruolo importante, addirittura ne segna il destino. Parlo del “Pranzo di Babette” e del ruolo centrale del duetto Don Giovanni-Zerlina. Tutto il film è una splendida risposta a come si possa rifiutare la tentazione di Don Giovanni e trovare il piacere di vivere senza sentirsi frustrati. » (Marisa Rainer, 2011)


Questo è l'elenco delle musiche presenti nel film:
Johannes Brahms, valzer in la bemolle Op.39 No.15, arrangiamento per orchestra
Wolfgang Amadeus Mozart, due brani dal Don Giovanni: il duetto "Là ci darem la mano" e la breve aria di Don Giovanni "Finché han del vino / calda la testa..."
Georg Neumark, Were Nur Den Lieben Gott, su testo in danese di autore ignoto
più diversi corali luterani che non vengono menzionati da www.imdb.com
 
A livello di impressioni personali, non amo molto la cucina francese (troppe salse, troppo elaborata) e soprattutto le cailles en sarcophage mi hanno fatto una brutta impressione: non so se le avrei mangiate, già il nome mi sembra sinistro ("quaglie nel sarcofago": la pasta intorno al cadavere della quaglia simula un sepolcro). Ma il film rimane comunque bello, e tutto sommato non credo che queste mie impressioni "da tavola" possano essere utili a qualcuno. Di notevole, oltre alla qualità della recitazione (molto alta) e alla bellezza della messa in scena (location, costumi...) l'allestimento del pranzo, la musica dai corali luterani al Don Giovanni, l'impianto storico, la luce, e molto altro ancora.
Protagonista è la francese Stéphane Audran, gli altri attori e attrici sono danesi, tutte e tutti di alto livello; nel finale c'è anche Jarl Kulle, uno degli attori preferiti di Ingmar Bergman, nei panni dell'ex ufficiale (ora generale) che corteggiò una delle due sorelle; nel cast anche Bibi Andersson e il francese Jean Philippe Lafont, che impersona il cantante (ospite e corteggiatore dell'altra sorella, molti anni prima).


Infine, una curiosità da appassionati di cinema, presa da wikipedia:
"In una breve sequenza la vedova (Lisbeth Movin) e il capitano (Preben Lerdorff Rye) rievocano il loro amore giovanile consumato quando la donna era già sposata. Nel 1943 gli stessi attori erano stati protagonisti del film Dies irae di Carl Theodor Dreyer, dove interpretavano i ruoli del figlio e della seconda moglie del pastore innamoratisi l'uno dell'altra."

venerdì 20 gennaio 2017

Lauritz Melchior

Lauritz Melchior, danese, vissuto fra il 1890 e il 1973, è stato uno dei più grandi tenori wagneriani, forse il più grande nella storia del disco. La sua carriera è in gran parte inglese e americana, anche se fu presente a Bayreuth, a Vienna e in altri teatri europei, comunque prima del 1933. Melchior cantò al Metropolitan di New York dal 1926 al 1950, senza interruzioni; aveva una voce scura, da tenore baritonale, che gli permise di affrontare al meglio non solo Wagner ma anche l’Otello di Verdi, e tutti i ruoli di tenore “scuro”.
Melchior gira sei film a Hollywood, tra il 1945 e il 1963. In “The stars are singing” (Il cammino delle stelle, in Italia) del 1953 è al fianco di Rosemary Clooney, zia di George. In “Ti avrò per sempre” (1947, This time for keeps) è diretto da Richard Thorpe, e recita al fianco di Esther Williams e Jimmy Durante, con l’orchestra di Xavier Cugat. Con Esther Williams, campionessa di nuoto e attrice molto famosa, Melchior gira anche “Luna senza miele” (Thrill of romance, 1945) sempre per la regia di Richard Thorpe, con Van Johnson come protagonista.
 
Di Melchior ho visto un film solo, “Crociera di lusso” del 1948, regia di tal Richard Whorf (non me lo sono inventato), dove appare nel ruolo di un “famoso tenore svedese” (in realtà era danese) su una nave da crociera. Se la cava benino anche come attore, il film è tutto sommato piacevole, quasi un Powell-Pressburger ma un po’ sciocchino (nel senso che è un film di genere, fatto per mettere insieme tanta gente famosa senza troppo impegno). Nel 1995 mi ero segnato questo breve appunto: «Buone le inquadrature, i colori, le atmosfere. Protagonisti George Brent e Jane Powell, c’è anche Xavier Cugat, col cagnolino ma senza Abbe Lane, che era ancora troppo giovane (gennaio 1995)»
 
Un altro film con Melchior che potrebbe essere interessante è “Two sisters from Boston” del 1946 , regia di Henry Koster, con June Allison, Kathryn Grayson e Jimmy Durante, un comico molto popolare in America, riconoscibile ovunque per via del suo naso davvero imponente; qui sotto, un'immagine di Lauritz Melchior con Jimmy Durante.
Gli altri filmati con Lauritz Melchior citati su www.imdb.com   sono cose per la tv, serie tv, talk show, concerti dove era chiamato come ospite. Questo è l'elenco completo:
1945 Thrill of a romance (Luna senza miele) dir. Richard Thorpe con Van Johnson, Esther Williams
1946 Two sisters from Boston dir. Henry Koster Kathryn Grayson, June Allison
1947 This time for keeps (Ti avrò per sempre) dir. Richard Thorpe con Esther Williams, Jimmy Durante
1948 Luxury liner (Crociera di lusso) dir. Richard Whorf con George Brent, Jane Powell
1953 The stars are singing (Il cammino delle stelle) dir. Norman Taurog, Rosmery Clooney, AM Alberghetti
1959 Make room for daddy (tv)
1963 Here's Edie (tv)

mercoledì 18 gennaio 2017

Anna Moffo


Anna Moffo (1932-2006), italo americana, fu un soprano vero, di grande talento; ha un curriculum di tutto rilievo in palscoscenico e ha lasciato molte registrazioni importanti di opere intere. Ricevette da subito proposte dal cinema, per via della sua bellezza e del suo portamento. Anna Moffo non aveva proprio niente da invidiare alle star di Hollywood, quanto a bellezza fisica; ma l'avventura cinematografica, purtroppo, non porterà a film di rilievo e di questo va data colpa anche al cinema italiano di quegli anni, che per le donne non prevedeva grandi possibilità. Le parti migliori andavano a Monica Vitti o a Claudia Cardinale, magari a Paola Pitagora; il resto dei ruoli erano poco più che di contorno, mogli e amanti, non molto di più. Alcune attrici, anche molto brave, sono riuscite a ritagliarsi ruoli di rilievo anche in quei ruoli, non è che sia tutto da buttare insomma; ma probabilmente dal cinema ci si aspetta qualcosa di più, quando si è una stella del palcoscenico come fu Anna Moffo.

La carriera al cinema di Anna Moffo comincia nel 1960 con un Napoleone ad Austerlitz diretto da Abel Gance, regista francese attivo fin dagli anni '20 che già realizzò un memorabile kolossal dedicato a Napoleone nel 1925, rimasto famoso anche per le scene con lo schermo panoramico diviso in tre parti. Il film di Anna Moffo del 1965 è diretto da Franco Indovina, regista di indubbio talento che purtroppo morì molto giovane. I film di Michele Lupo fanno parte della routine del cinema italiano, così come quelli di Tonino Valerii. Di questi film, tutti girati fra il 1969 e il 1970, ho voluto guardare per intero "Il divorzio", dove Anna Moffo interpreta la moglie di Vittorio Gassman; il film non vale molto, ha un regista mediocre ed è invecchiato subito, anche perché appena dopo essere stato girato il divorzio stava per diventare una cosa normale anche in Italia, solo un paio d'anni dopo sarebbe arrivata la legge, e poi il referendum nel 1974 che ne confermò per sempre la possibilità. Gassman ripete il modello di marito che interpretava di solito in quel periodo, e quindi non varrebbe la pena di parlarne se non fosse per Anna Moffo, che non è soltanto molto bella ma ha anche personalità di attrice. Un peccato, quindi, che il cinema non le abbia offerto di più. Negli anni '70 Anna Moffo parteciperà ancora a riprese tv di spettacoli d'opera e operetta.
(tutte le immagini di questo post vengono da "Il divorzio", tranne la prima in alto).


Entrando un po' di più nei dettagli, Anna Moffo comincia a farsi vedere in tv con le riprese di tre opere per la Rai, a metà anni '50: Butterfly, Sonnambula, Falstaff. Il primo ruolo non operistico, e al cinema, è del 1960: “La battaglia di Austerlitz” , con regia di Abel Gance. Abel Gance, francese, è stato uno dei primi grandi registi nella storia del cinema, famoso soprattutto per il kolossal “Napoleon” del 1925, ma con una carriera lunghissima e di grande successo, con film come “La tour de Nesle” del 1952, e molto altro ancora. Nel film su Austerlitz, ad Anna Moffo spetta la parte di Giuseppina Grassini, una cantante importante vissuta fra il 1773 e il 1850 che fu una delle conquiste di Napoleone Bonaparte.
Nel 1965 Anna Moffo è protagonista di “Menage all’italiana” con Ugo Tognazzi. La regia è di Franco Indovina, uno dei nostri migliori registi, purtroppo morto molto giovane. Indovina è rimasto famoso, al di fuori del cinema, per la sua relazione con la bellissima Soraya, ex moglie dello scià di Persia.
Nel 1969 arriva “The adventures”, regia di Lewis Gilbert, dove la Moffo ha un ruolo di fianco accanto a protagonisti come Candice Bergen, Charles Aznavour, Ernest Borgnine, Delia Boccardo, Olivia de Havilland, Fernando Rey.
Nel 1970 Anna Moffo gira tre film: Una storia d’amore (regia di Michele Lupo), La ragazza di nome Giulio (regia di Tonino Valerii, protagonista Silvia Dionisio) e soprattutto “Il Divorzio”, regia di Romolo Guerrieri, dove è protagonista con Vittorio Gassman. Nel film, Gassman è suo marito: come al solito, va in cerca di avventure con ragazze molto più giovani, ma non è sicuro che lasciare una moglie così bella sia proprio conveniente. In questo film la Moffo è molto elegante e recita molto bene, e non sapendo di chi si tratti viene da chiedersi chi è questa attrice così bella e brava, che recita alla pari con un mostro di bravura come Gassman. Vedendo questo film, tutt’altro che memorabile, dispiace che ad Anna Moffo non siano arrivati ruoli migliori.
Sempre del 1970 è “Concerto per pistola solista” regia di Michele Lupo, con Gastone Moschin; l’ultimo film della Moffo è del 1975, una versione di “La belle Helene” di Offenbach per la tv tedesca.
Questi i film e le riprese tv in cui appare Anna Moffo:
1956 tre opere per la Rai: Madama Butterfly, Sonnambula, Falstaff (Nannetta)
1960 Napoleone ad Austerlitz (La battaglia di Austerlitz), regia di Abel Gance (1960)
1962 La serva padrona
1965 Menage all'italiana, regia di Franco Indovina
1965 Adieu 1965 Hello 1966 (show per la fine dell'anno)
1967 The Bell Telephone hour
1968 La traviata
1969 Wien nacht noten
1969 Una storia d'amore, regia di Michele Lupo
1969 L'ultimo avventuriero, regia di Lewis Gilbert
1970 Concerto per pistola solista, regia di Michele Lupo
1970 Il divorzio, regia di Romolo Guerrieri
1970 La ragazza di nome Giulio, regia di Tonino Valerii
1970 Schwarzer Peter
1971 Lucia di Lammermoor
1971 La principessa delle csardas
1975 La bella Elena



domenica 15 gennaio 2017

Song of summer (Frederick Delius)


 
Song of summer (1968) Regia di Ken Russell. Tratto dalla biografia di Frederick Delius a cura di Eric Fenby. Sceneggiatura di Eric Fenby e Ken Russell. Musiche di Frederick Delius. Fotografia di Interpreti: Max Adrian (Delius), Maureen Pryor (Jelka Rosen), Christopher Gable (Eric Fenby), David Collins (Percy Grainger), Geraldine Sherman (la vicina di casa), Elizabeth Ercy (Pauline), Roger Worrode (Brüder), Norman James (il dottore), Ken Russell (un prete). Durata: 1h12'. Produzione BBC
 
Frederick Delius (1862- 1934), compositore inglese nato nello Yorkshire da padre di origine tedesca, fu amico di Edvard Grieg; studiò musica a Lipsia, abitò in Norvegia (patria di Grieg), in Florida, e infine in Francia a Grez sur Loing, nei pressi di Fontainebleau. Scopritore del talento di Delius fu il grande direttore d'orchestra Thomas Beecham, che iniziò a programmare in concerto i suoi lavori a partire dal 1907. Nei suoi ultimi anni di vita fu gravemente invalido, pur conservando sempre grande lucidità e possibilità di parola. A Delius accade il contrario di ciò che accadde sempre in quegli anni a Maurice Ravel, che stava bene fisicamente ma non riusciva più a scrivere; Delius invece era distrutto nel fisico (e cieco) ma mente e parola funzionarono benissimo fino all'ultimo. Assistito da un infermiere e dalla fedele compagna di vita Jelka, ebbe bisogno di un assistente per trascrivere la sua musica, che continuava a comporre mentalmente. Questo assistente fu il giovane inglese Eric Fenby, ospite di Delius per cinque anni, che lo aiutò a terminare "The song of summer", la composizione che dà il titolo al film del 1968, con regia di Ken Russell.


Due anni dopo la morte di Delius, avvenuta nel 1934, Eric Fenby pubblicò un libro sulla sua collaborazione con il compositore inglese, intitolato "Delius as I knew him"; da questo libro è tratto il film, in bianco e nero e della durata di 70 minuti, che fa parte di un ciclo che comprende altri film biografici, sempre per la BBC e sempre con la regia di Ken Russell. (qui sotto, Eric Fenby con Delius)

 
"Song of summer" è un bel film, molto intenso, intimo e rigoroso, molto ben recitato, che parla di musica, della Natura, e che tratta in modo esemplare il tema della malattia e dell'invalidità. Ken Russell, negli anni seguenti, si sarebbe invece fatto notare per uno stile completamente opposto, molto colorato per usare un eufemismo, continuando a dirigere biografie (Mahler, Ciaikovskij, Rodolfo Valentino) ma con uno stile votato all'eccesso e con una maniera molto meno rigorosa, ponendo l'accento sulla vita sessuale dei suoi protagonisti e prendendosi molte libertà, e girando anche film non biografici che diedero scandalo, come "I diavoli" e altri ancora. Confesso di preferire di gran lunga il film su Delius ai successivi di Ken Russell, anche se trovo molto bello "Isadora" (biografia di Isadora Duncan, con Vanessa Redgrave).
Il film inizia con Eric Fenby in Inghilterra, giovane musicista in cerca di una sua strada, che va a cercare i suoni della Natura e si mantiene suonando nei cinema: per i film di Laurel & Hardy, come specificherà lui stesso davanti a un esterrefatto Delius, nel giorno del loro primo incontro. Forse Delius si aspettava qualcun altro, ma va detto che anche Dimitri Sciostakovic suonò per il cinema muto, più o meno negli stessi anni; ovviamente Delius all'inizio degli anni '30 non poteva saperlo, e nemmeno Eric Fenby. Gli inizi a casa Delius, per Fenby, non sono dei migliori; Delius ha un carattere molto duro e spesso sprezzante, peggiorato dalla grave invalidità. Però c'è Jelka, la compagna di vita degli ultimi anni di Delius, a rincuorare il giovane inglese e a convicerlo a rimanere; con un po' di pazienza, la collaborazione sarà proficua e sfocerà in una sincera amicizia. La sequenza in cui Fenby, in Inghilterra, suona il piano per i film di Stanlio e Ollio è stata in effetti girata da Ken Russell, ma poi tagliata nel montaggio finale.

Nel film compare anche un altro musicista importante di quegli anni, l'australiano Percy Grainger (1882-1961), estroverso e atletico, che fu amico e collaboratore di Delius e che ora non lo abbandona durante la malattia, tornando spesso a trovarlo. Nel film, Grainger rappresenta la nota comico-brillante; porta Fenby a fare estenuanti corse (alle quali il giovane inglese non è abituato), e migliora l'umore di Delius portando vita nell'ambiente doloroso della malattia. Insieme, Fenby e Grainger metteranno Delius su una portantina e lo porteranno in cima alla collina che ha tanto amato; è una delle scene più belle del film, e con loro c'è anche Jelka, commossa. (qui sotto, il vero Percy Grainger)

Gli attori sono tutti poco noti ma molto bravi: Delius è Max Adrian (che ha una vaga somiglianza con Carlos Kleiber), Fenby è Christopher Gable, Jelka è Maureen Pryor, Percy Grainger è affidato a David Collins. L'infermiere tedesco, chiamato Brüder (fratello, in tedesco), è Roger Worrode: quando ce ne è bisogno trasporta in spalla Delius, inerte come un sacco, in un gesto che è da considerarsi abituale sia per il malato che per l'infermiere. La scena, che si ripete diverse volte nel film, è resa molto bene sia da Worrode che da Max Adrian. Brüder sembra non interessare per niente a Ken Russell: per il regista è come se fosse una macchina, la cosa sorprende un po' e a tratti disturba, ma porta alla memoria una sequenza analoga in "Arancia Meccanica" di Kubrick, che è di qualche anno posteriore. Brüder non ha i muscoli dell'aiutante dell'uomo che fu vittima di Alex, ma è probabile che ne sia l'ispirazione. Pauline, la domestica (giovane e bella, parla francese) piace ma ha pochissime battute; l'attrice si chiama Elizabeth Ercy. Il medico è affidato a Norman James; il prete è Ken Russell stesso, che si riserva una breve inquadratura e nessuna parola.

 
Alcuni appunti presi durante la visione: 1) Delius trova "troppo lunghi" i movimenti sinfonici di Beethoven, Mahler, etc; dice di cercare i suoni della Natura, si altera quando Eric accenna alla musica inglese ("esiste una musica inglese??"), detesta gli oratori (compresi Elgar e Parry) e la musica religiosa. Si fa leggere Edgar Wallace in tedesco (da Brüder), e tutto Mark Twain in inglese (da Eric), e anche Nietzsche (Così parlò Zarathustra). 2) In un momento di buon umore, Delius fa mettere a Jelka il disco di "Old man river", ricordando l'amicizia con i musicisti negri in Florida dove ebbe per maestro l'organista Thomas Ward, che ricorda con affetto e ammirazione 3) Percy Grainger arriva al minuto 38 4) al minuto 48 Jelka piange ricordando i comportamenti di Delius quando era in salute, dopo l'ennesimo maltrattamento verbale; ma lei è innamoratissima di Delius. 5) Fenby passa cinque anni in casa di Delius, poi torna in Inghilterra, dove si ammala e ha tempo di guarire; poi gli arriva un telegramma, Jelka deve essere operata (ha un tumore) e gli chiede di tornare per assistere Delius. Jelka torna a casa dopo l'operazione, ma Delius sta morendo e Fenby lo assiste nei suoi ultimi giorni.
 

Nel film ha grande importanza il contrasto religioso: Fenby è cattolico e devoto, invece Delius è ateo e sprezzante nei confronti della religione. Nei primi giorni, Jelka consiglia a Fenby di non dire a Delius che è cattolico e che ha intenzione di recarsi alla Messa. Fenby non si fa domande sulla vita privata di Delius, lo accetta così come è (un malato grave da accudire, oltre che un compositore da ammirare), e rimarrà sconvolto dalle rivelazioni di una vicina di casa, ancora giovane e bella, che gli parlerà della vita dissoluta che si conduceva in quella casa quando Delius stava bene. Non solo: il parroco locale era parte di quel giro di sesso e donne. Le parole della vicina troveranno conferma in Jelka, disperata dopo uno dei consueti scoppi di malumore di Delius: la casa in cui vivono era un via vai continuo di donne di ogni tipo, e Delius andava spesso a Parigi, facile immaginare per che cosa. Il cattolico e devoto Fenby è scandalizzato dalle rivelazioni della giovane vicina di casa, e poi di Jelka; si chiede come sia possibile fare musica così eterea, "lovely music", pur comportandosi in quel modo. Solo all'ultimo, quando il compositore sta per morire, Fenby viene a sapere dal medico che la malattia che ha portato all'infermità Delius è la sifilide.
 
Alcune delle composizioni di Delius riguardanti il film, oltre a "The song of summer": "Appalachia" (Variations on an old slave song, per baritono, coro e orchestra) è frutto del suo soggiorno in Florida; "A Mass of Life", oratorio profano su testi di Nietzsche, da "Così parlò Zaratustra" è del 1909. "On hearing the first cuckoo in spring" è quasi una manifestazione di intenti, la Natura come principale fonte di ispirazione per Delius, così come "In a summer garden" e la stessa "The song of summer". Delius scrisse anche opere liriche: "A Village Romeo and Juliet" (1910), "Koanga", "Margot la Rouge", "Fennimore und Gerda". C'è spazio anche per un "Requiem", cosa che può soprendere viste le posizioni filosofiche di Delius (ma non poi tanto, a pensarci bene).