venerdì 29 dicembre 2017

Fëdor Šaliapin


 
Fiodor Ivanovic Scialiapin (Kazan 1873-Parigi 1938) è stato uno dei cantanti d'opera più famosi ed ammirati; oltre alla bellezza della sua voce di basso-baritono si parla ancora molto delle sue grandi capacità di attore, ben testimoniate dalle foto di scena e soprattutto dal suo Don Chisciotte in film, girato nel 1933 per la regia di Georg Wilhelm Pabst. Scialiapin fu coinvolto nella Rivoluzione: dapprima accolto trionfalmente, lasciò poi per sempre la Russia nel 1922, diventando sempre più celebre nei teatri europei e americani. I suoi dischi presentano una voce indubbiamente bella e un interprete notevole, anche se ascoltati oggi disturbano non poco le molte libertà che si prende rispetto alla musica così come è stata scritta; d'altra parte, va detto che queste "libertà" (spesso vere e proprie storpiature di Mozart, Verdi...) erano molto comuni in quei tempi e Scialiapin non era certo l'unico a prendersele. 
Del "Don Quichotte" di Pabst, girato in tre versioni (due in francese e una in inglese: si era agli inizi del sonoro e il doppiaggio non era ancora pratica comune, si preferiva girare ex novo il film) ho parlato qui già da tempo; la musiche sono di Jacques Ibert e l'interpretazione di Scialiapin è straordinaria ancora oggi. Il film è discontinuo ma ha sequenze da capolavoro assoluto, su tutte i mulini a vento e il finale (straordinario).
Prima del cinema sonoro, Scialiapin aveva già girato due film: "Ivan il Terribile" nel 1915 e "Aufruhr des Blutes" nel 1929.
"Tsar Ivan Vasilevich Groznyy" ha la regia di Aleksandr Ivanov-Gai, Scialiapin vi interpreta lo zar.
"Aufruhr des Blutes" ha la regia di Victor Trivas, oltre a Scialiapin (indicato nei titoli come "Fedor Salin") vi recitano Vera Voronina, Jan Sustak, Oskar Lepka; difficile trovare indicazioni su questo film.
Scialiapin ebbe un figlio attore, Feodor Chaliapine jr, nato nel 1905 a Mosca e morto a Roma nel 1992. Chaliapine jr ha al suo attivo ben 54 film, dal 1926 al 1992, tutti come caratterista. E' un volto che abbiamo visto spesso, magari senza memorizzarlo perché (come il padre) specialista nel cambiare volto e nel mascheramento fisico. Alcuni titoli dei suoi film, i più famosi: "Per chi suona la campana" (1943), La settima vittima (1943), Ziegfeld Folies, Arco di trionfo (sempre negli anni '40), Buffalo Bill (1965), "Roma" di Fellini (1972), "La colonna infame" di Nelo Risi (è il cardinal Federico), "Il nome della rosa" (1986), il Rossini di Monicelli (1991, interpreta il barone Rothschild), e molto altro ancora.
 

Scialiapin, Richard Tauber, Beniamino Gigli
 

mercoledì 27 dicembre 2017

Katia Ricciarelli


 
La prima volta che mi capitò di pensarci fu a metà degli anni '80 con un giornalista del TG2, Alberto Castagna, conduttore giovane e molto stimato delle principali edizioni quotidiane, che a un certo punto scelse di lasciare il mestiere per fare il presentatore di spettacoli leggeri, quiz e talk show, musica leggera. Poi capitò anche con altri, come Michele Cucuzza, tra i fondatori di Radio Popolare. Mi chiedevo, meravigliato, come mai si potesse abbandonare il giornalismo serio, come fosse possibile desiderare di diventare un presentatore, desiderare di essere un Pippo Baudo avendo davanti grandi persone come Enzo Biagi e Sergio Zavoli. Fare il giornalista era una professione era un mestiere importante, una missione civile, e invece questi qui lasciavano il giornalismo perché il loro desiderio intimo e segreto erano Canzonissima, il festival di Sanremo e i contenitori tv del pomeriggio. Per carità, ognuno fa le sue scelte e probabilmente i guadagni erano superiori, ma forse è da queste cose che ha avuto origine la deriva (e poi la degenerazione definitiva odierna) della professione giornalistica. Per fare un esempio recente, è difficile pensare a una Milena Gabanelli quarantenne che lascia Report per andare a presentare un talent show o l'isola dei famosi. Ma a questi giornalisti piaceva, ci tenevano, si sentivano realizzati così, mentre probabilmente nel fare il giornalista si sentivano in gabbia. Ammetto di essere ancora oggi molto perplesso in proposito.

 
La stessa cosa mi è successa, sempre a metà anni '80, con Katia Ricciarelli: che a un certo punto da soprano affermato e apprezzato in tutto il mondo scelse la via più facile della celebrità televisiva un tanto al chilo. Di fatto, la sua carriera di cantante terminò lì, con la notorietà televisiva seguita al matrimonio con un popolare e onnipresente presentatore di quiz e canzonette. Sulla vita privata niente da dire, ovviamente; ognuno fa le sue scelte. Sull'abbandono dell'opera, invece, per di più ancora molto giovane, qualcosa si potrebbe dire ma mi astengo (penso di aver già detto fin troppo). Era quello a cui aspirava, dunque: sognava Nilla Pizzi e Rita Pavone, ma le è toccato fare il soprano. Troppa fatica? Troppo impegno? Troppo sacrificio? Non lo saprò mai, e del resto non è certo a me che deve rendere conto delle sue scelte. Sta di fatto che Mirella Freni è ancora in attività a ottant'anni, così come accadde ad Elisabeth Schwarzkopf e a tante altre, la Ricciarelli invece (di loro molto più giovane) dai quarant'anni in su ha scelto di andare in giro per i talk show. Non resta ormai che prenderne atto, così è andata e pazienza.

 
Le registrazioni d'opera di Katia Ricciarelli, da www.imdb.com:
1974 "Un ballo in maschera" di Giuseppe verdi, con Claudio Abbado, Placido Domingo, Piero Cappuccilli, Reri Grist.
1976 "Simon Boccanegra" di Giuseppe Verdi, dal Giappone, dirige Oliviero de Fabritiis. Con Piero Cappuccilli, Nicolai Ghiaurov, Giorgio Merighi.
1979 "Luisa Miller" di Giuseppe Verdi, con Lorin Maazel, Placido Domingo, Renato Bruson.
1980 Live from Metropolitan, tv americana, brani da "Un ballo in maschera" di Giuseppe Verdi.
1980 "Carmen" di Bizet, come Micaela. Carmen è Teresa Berganza, don Josè è Placido Domingo, il direttore d'orchestra non è indicato.
1981 "Un ballo in maschera" di Giuseppe Verdi, dirige JeanClaude Casadesus, con Josè Carreras e Leo Nucci.
1981 "Tancredi" di Rossini, come Amenaide, con Marilyn Horne nel ruolo del titolo, dirige Ralf Weikert.
1982 "Lucia di Lammermoor" di Donizetti, da Vienna. Dirige Lamberto Gardelli, con Josè Carreras e Leo Nucci.
1982 "Falstaff" di Giuseppe Verdi al Covent Garden, dirige Carlo Maria Giulini, protagonista Renato Bruson, con Lucia Valentini Terrani e Barbara Hendricks.
1983 "Turandot" di Puccini, nel ruolo di Liù. Dirige Lorin Maazel, Turandot è Eva Marton, il principe è Josè Carreras
1986 "Otello" di Giuseppe Verdi, il film di Zeffirelli con Domingo e Justino Diaz.
Qui per Katia Ricciarelli termina la carriera di cantante d'opera, di fatto. Continuerà ancora a cantare, ma questo Otello segna un po' il confine tra la Katia Ricciarelli soprano e la Katia Ricciarelli che è venuta dopo.


I film come attrice Katia Ricciarelli li ha fatti tutti da ex cantante e da personaggio tv; molti titoli a partire dal 2001, quasi tutti per la tv tranne "La seconda notte di nozze" di Pupi Avati, con Antonio Albanese (2005).
Nel "Giamburrasca" del 2001 la Ricciarelli è mamma Stoppani; poi è in alcuni episodi del "Don Matteo" del 2004 accanto a Terence Hill. Seguono titoli come "Ma chi l'avrebbe mai detto" 2007, "Un dottore quasi perfetto" 2007, "Bianco e nero" 2008, "Carabinieri" 2008, "Gli amici del bar Margherita" 2009, "Il ritmo della vita" 2010, "Faccia d'angelo" 2012 (madre del boss), "La sedia della felicità" 2013, "Un matrimonio" tv 2013, "Un'amicizia" 2014, "Un passo dal cielo" 2011-2015, "Infernet" 2016.
Ammetto di essere poco o per niente interessato a questi telefilm, magari chi passa di qui se ne ricorda qualcuno.
 

 

domenica 24 dicembre 2017

Il Messia ad Alessandria d'Egitto


 
Un ricordo di Paolo Terni:
Ho goduto del privilegio di partecipare al rito forse più esclusivo della vita alessandrina: l’ascolto natalizio integrale in dischi del Messiah di Handel in casa del Comte Patrice de Zogheb.
La cerimonia avveniva nel tardo pomeriggio della vigilia. Si prendeva posto in un salone scuro, stretto e lungo, seduti di fronte a una sorta di pedana-palcoscenico, arredata da due grammofoni a manovella (detti pick-up), poggiati su due mobili uguali posti simmetricamente, ai due lati, gli altoparlanti rivolti al pubblico. Sedute, una per grammofono, ciascuna col proprio abat-jour a stelo, due creature britannicissime: magre, secche, scarpe nere con bottone di madreperla,« permanenti» fitte fitte, abito di sera imprimée (possibilmente con piccoli disegni bianchi su fondo bleu-marine), talvolta uno scialletto di angora. Disponevano, ciascuna, di una sedia Thonet nera e, a fianco, di un tavolino ottomano intarsiato ov’erano poggiati gli album con i dischi a 78 giri, ovviamente in doppia copia, una per tavolino.
A un certo punto il Conte - alto, magro e calvo - emergeva da non si sa dove per salutare i suoi ospiti dalla pedana. Solo in quel momento si potevano distinguere un po’ meglio, nella penombra, gli ospiti d’onore: due vecchissime persone, marito e moglie, poste anch'esse à pendant, uno di fronte all’altra, nello spazio tra il palcoscenico e la prima fila, in certe bergères a piccolo punto messe di traverso alle sedie, scomodissime, di noialtri ospiti ordinari. Lui era un lord irlandese, vecchio vecchio, elegantissimo, pallido e chino sulle mani giunte. Lei sembrava molto più vecchia di lui, sul punto di spegnersi, in tulle verde, collana di perle, truccatissima, un viso lievemente caprigno. Ci fu un cambio di luce: al buio gli ospiti; illuminate le due attendenti inglesi sul palcoscenico; due piccoli abat-jour suppletivi evidenziavano - in un diffuso chiarore roseo arancione - gli ospiti d’onore.
La procedura rituale era la seguente: mentre andava la prima facciata sul grammofono di sinistra, a destra, in piena luce, l’altra britannica vestale faceva girare una lucida manovella con gesto immaginatosi ieratico ma che non celava del tutto un che di rudemente sportivo, automobilistico o da regata navale. Dopo aver preso in mano il disco venivano inforcati occhialini dorati appesi al collo per controllare il numerino sull'etichetta prima del caricamento, Poi, agguantato il braccio metallico del grammofono e tiratolo verso destra, avviava il piatto. A quel punto rimaneva pochissimo tempo per poggiare la puntina - evitando rumori incongrui - e far partire il suono senza pausa, come finiva la prima facciata, curata dalla prima vestale sul primo grammofono. La continuità musicale era perfetta ma, calcolando in un’ora e mezza, più o meno, la durata del Messiah e in pochissimi minuti quella di una facciata di disco a 78 giri, è facile immaginare il numero iperbolico di queste operazioni.
E noi, seduti su seggiole lignee, marroni, striminzite, non sapevamo più dove guardate: se la miss esausta, momentaneamente adagiatasi sulla Thonet di sua pertinenza in apparente, provvisoria estasi musicale, o quell’altra, febbrilmente intenta alle mansioni che ormai conoscevamo a memoria e seguivamo in un clima di reale suspense. Il lord e consorte recitavano divinamente la massima trasfigurazione mistica con garbo e piccoli cenni di assenso che male riuscivano a celare - all’occhio perfidamente esperto - un concreto letargo.
Alla fine del primo tempo, prima della Pastoral Symphony, le porte in fondo al salone venivano fatte scorrere, rivelando un rude buffet, del tutto estraneo alle raffinatissime usanze alessandrine (e quindi assai deriso nelle conversazioni del giorno dopo), a base di caffellatte caldo e sandwich al formaggio cheddar o al prosciutto cotto.
Ripresa la cerimonia per il secondo tempo, a poche battute dall’avvio del Hallelujah!, gli incartapecoriti ospiti d’onore si alzavano in piedi assumendo una postura regale: assai volgare invece il disordinato tramestio, come a Messa, di tutti gli altri. Debbo confessarlo: quel solenne e forse un po’ ridicolo atto reverenziale mi impressionò alquanto e mi procurò un brivido di commozione. Era una manifestazione formale di rispetto per una partitura musicale e solo per essa: quale altro gesto così preciso e allo stesso tempo così astratto possiamo invocare in onore della musica? Era facile peraltro il paragone con quel doversi alzare, tra annoiato e distratto, all’inizio di ogni spettacolo cinematografico, alla proiezione dell'immagine sbiadita - color seppia - del giovane re Faruk e al suono di una marcia reale delle più improbabili, improntata com’era all’andazzo delle peggiori operette italiane cui si era maldestramente ispirato l'italianissimo compositore.
(Paolo Terni, numero diciannove da "In tempo rubato", ed. Sellerio)

 
(lo storico della musica Paolo Terni crebbe ad Alessandria d'Egitto, ai tempi di re Faruk, quando in quella città esisteva ancora un numerosa comunità cosmopolita)
 
 
(dall'alto: un dipinto di Lecomte Vernet; due pubblicità di trent'anni precedenti ai ricordi di Paolo Terni - ma è probabile che il grammofono fosse quello; un fotogramma dal film su Delius con regia di Ken Russell; un dipinto di George Harcourt)

venerdì 22 dicembre 2017

Nicolai Ghiaurov


Cantante fra i più amati e ammirati, personificazione esemplare dell'uomo grande e buono per eccellenza, Nicolai Ghiaurov non è mai davvero cattivo nemmeno quando impersona Mefistofele (Gounod e Boito). Magari fa impressione o soggezione (tutti i grandi bassi sanno come si fa) ma non paura, anzi desta curiosità con la sua bonomia di fondo e in questo modo si capisce meglio perchè Faust si fidi di lui invece di fuggire terrorizzato. Di conseguenza, il suo Boris Godunov (Mussorgskij) e il suo Filippo II (Verdi, Don Carlos) non sono tiranni duri e sanguinari (interpretazione più che legittima) ma sempre molto umani, sfaccettati. E' un cantante che certo non ha bisogno di presentazione, e a livello personale posso dire di averlo ascoltato molte volte e sempre con piacere. Impossibile dimenticare il suo Banquo nel Macbeth di Verdi (quel suo "è morto assassinato il re Duncano", che dà il via a quel finale d'atto straordinario), il suo Fiesco nel Simon Boccanegra (sempre Giuseppe Verdi), nelle edizioni dirette da Claudio Abbado con regia di Strehler.
Alla Scala Nicolai Ghiaurov era di casa, per anni non ha mai saltato una stagione e io sono contento di averlo potuto vedere e ascoltare tante volte e in ruoli diversi. Sempre a livello mio personale (in questo caso, personalissimo) l'affetto per Ghiaurov nasce anche dall'aspetto fisico: la corporatura, e quel naso, quasi lo stesso di un mio carissimo zio, me lo rendono ancora più vicino e mi piace pensare di avere qualche tratto di DNA in comune. Non la voce, purtroppo.
Ghiaurov nasce in Bulgaria nel 1929, ma si trasferisce presto in Italia e diventerà con gli anni cittadino italiano. La pronuncia giusta del cognome, come raccontava lui stesso, sarebbe Ghiaùrov, ma tutti in Italia dicono Ghiàurov e ormai ci si era rassegnato. Ghiaurov è stato marito di Mirella Freni, un bel matrimonio a quello che si racconta: ed è facilissimo crederci, basta guardare qualche immagine di loro due insieme. Ghiaurov ci ha lasciati nel 2004, e ci manca moltissimo.

Nicolai Ghiaurov non ha girato nessun film come attore, ma esistono moltissime sue registrazioni d’opera, per nostra fortuna.
Questo è l'elenco che ho trovato su internet movie database ( www.imdb.com):
- "Sluchaen konzert", film bulgaro del 1960 di Kosta Naumov, che ruota intorno alla ricerca di un basso in grado di cantare nel Faust.
- Don Carlos di Verdi, 1965, direttore Georg Solti; Ghiaurov protagonista, poi Carlo Bergonzi, Renata Tebaldi, Grace Bumbry, Dietrich Fischer Dieskau
- un documentario sul Requiem di Giuseppe Verdi, 1967
- La Messa di requiem di Giuseppe Verdi,1970, orchestra Rai direttore Claudio Abbado, con Marilyn Horne, Luciano Pavarotti e Renata Scotto
- Faust di Gounod, 1973 in Giappone, dir. Paul Ethuin, con Alfredo Kraus, Lorenzo Saccomani, Renata Scotto
- "Le grand echiquier" 1975, programma della tv francese in cui appare Ghiaurov
- Macbeth di Verdi, 1976, l'edizione scaligera con Claudio Abbado, Piero Cappuccilli e Shirley Verrett.
- Simon Boccanegra di Verdi, due edizioni, 1976 e 1978, una con Abbado in Giappone con la Ricciarelli, una a Parigi con Mirella Freni.
- La forza del destino, di Verdi, anno 1978 alla Scala. Dirige Giuseppe Patanè, con Montserrat Caballé, Josè Carreras, Piero Cappuccilli
- Seneca nell'Incoronazione di Poppea di Monteverdi, 1978 a Parigi. Con Gwyneth Jones, Jon Vickers, Christa Ludwig. Dirige Julius Rudel, è l'edizione orchestrata da Raymond Leppard
- Ernani di Giuseppe Verdi, 1982, l'edizione della Scala diretta da Riccardo Muti con Domingo, Freni, Bruson.
- "Live Metropolitan", tv americana 1983, Ghiaurov canta l'aria di Filippo II
- Eugenio Onegin di Ciaikovskij, nella parte di Gremin; anno 1984. Protagonista Mirella Freni, con Wolfgang Brendel e Peter Dvorsky, dirige Bruno Bartoletti
- Aida di Giuseppe Verdi, come Ramfis, 1985 alla Scala. Dirige Lorin Maazel, con Luciano Pavarotti, Maria Chiara, Ghena Dimitrova, Juan Pons
- Great Performances, tv americana, 1987. Ghiaurov interpreta Ramfis
- La Bohème di Puccini, 1988, edizione per il centenario dell'opera. Dirige Tiziano Severini, con Mirella Freni e Luciano Pavarotti
- un film dall'Eugenio Onegin,1988, regia di Petr Weigl. Recitano attori doppiati da voci registrate; Ghiaurov è come sempre Gremin, protagonista Bernd Weikl, entrambi solo in voce.
- Ivan Khovanskj nella "Chovanscina" di Mussorgskij, l'edizione 1989 con Claudio Abbado, a Vienna
- Faust di Gounod, anno 1989, con Alfredo Kraus e Mirella Freni (mancano altre indicazioni)
- Janacek, "Da una casa di morti", anno 1992, dirige Claudio Abbado
- Don Basilio nel "Barbiere di Siviglia" di Rossini, anno 2001, dirige Nello Santi. Con Vesselina Kasarova e il tenore Manuel Lanza
Così a occhio direi che è un elenco incompleto, non vedo per esempio la magnifica produzione del Requiem di Verdi alla Scala, con Herbert von Karajan, con Leontyne Price, Fiorenza Cossotto e Luciano Pavarotti (anni '60, Pavarotti senza barba e la Scala senza pubblico), e inoltre so per certo che ci sono molti sequenze di documentari e servizi tv, compreso un bellissimo servizio sulle prove del Simon Boccanegra alla Scala: Ghiaurov con Abbado, Mirella Freni, Piero Cappuccilli, Veriano Luchetti.



 

martedì 19 dicembre 2017

Il caso Kerenes (Child's pose)


Il caso Kerenes (Pozitia copilului, 2013) Regia di Calin Peter Netzer. Scritto da Calin Peter Netzer e Razvan Radulescu. Fotografia di Andrei Butica. Musiche di Donizetti (L'elisir d'amore), canzoni da ballo. Interpreti: Luminita Gheorghiu (la madre), Bogdan Dumitrache (il figlio), Ilinca Goia (Carmen), e altri attori romeni. Durata: 1h45'

Un giovane sui trent'anni investe un bambino e lo uccide; correva troppo, ha fatto un sorpasso che non doveva fare, l'auto andava almeno a 150 all'ora. Rischia la prigione, e la madre (una signora benestante) si dà da fare per evitarlo. Purtroppo, è qualcosa che succede spesso anche da noi; ma è raro trovare un film che parli di questo, e oltretutto il film di Netzer è molto ben fatto, intenso nella recitazione, così ben fatto e ben recitato che viene da chiedersi come mai da noi non si facciano più film così intensi e così ben recitati. Nel cinema italiano di oggi tutto appare televisivo, gli attori e le attrici magari si impegnano ma il risultato è quasi sempre appena sopra la sufficienza, scolastico.
Il titolo italiano del film è decisamente stupido e fuorviante, non è un thriller e non è spionaggio ma parla di rapporti fra le persone, rapporti interfamiliari soprattutto, poi di tentativi di corruzione, e tutto con molta partecipazione e notevole sensibilità anche nel descrivere i lati negativi delle persone. Non conoscendo il romeno, posso tentare di ricostruire il titolo originale dall'edizione inglese: "Child's pose", la posizione del corpo del bambino sull'asfalto, dopo l'investimento.


Protagonista è Luminita Gheorghiu, nei panni di una donna benestante (nel film si dice architetto e scenografa) senza problemi di denaro, sui sessant'anni, sposata con un marito remissivo e con un unico figlio che però non la ama e la respinge. Il figlio è interpretato da Bogdan Dumitrache, Ilinca Goia impersona la sua compagna di vita, ma è un'altra relazione fallita che sta per terminare.
Il regista Calin Peter Netzer, nato nel 1975, ha al suo attivo sei film in totale dal 1997 fino ad oggi, nessuno distribuito in Italia tranne questo, che è ben doppiato.



Il motivo per cui porto qui questo film, su un blog dedicato all'opera lirica, è la presenza nelle sequenze iniziali di una bella esecuzione dell'Elisir d'amore di Donizetti; non è una messa in scena vera e propria, ma quasi una prova generale al pianoforte, con due cantanti molto bravi e la loro insegnante. Non siamo su un palcoscenico ma in un piccolo teatro ricavato forse da una palestra, con spettatori intorno. La protagonista sta assistendo allo spettacolo quando viene chiamata da un'amica che le comunica l'incidente, ed esce in silenzio senza disturbare. Porto qui qualche fermo immagine, purtroppo non sono riuscito a risalire ai nomi degli esecutori, su www.imdb.com c'è scritto soltanto L'Elisir D'Amore, written by Gaetano Donizetti, performed by Ana Maria Samson-Crihana. Inoltre, la suoneria del telefono della protagonista si fa spesso sentire con le note di Johann Sebastian Bach, Suite per violoncello n.1 in sol maggiore BWV 1007 - Preludio.


 


 
 

venerdì 15 dicembre 2017

Lucia Valentini Terrani


Lucia Valentini Terrani, padovana, 1948-1998, è una dei cantanti a cui sono più affezionato perché era presente nel Boris Godunov diretto da Claudio Abbado nella stagione 1979-1980, vale a dire il mio primo spettacolo visto alla Scala. Il suo ruolo era quello di Marina Mnishek; doveva anche ballare oltre che cantare in russo (con ottima pronuncia, si diceva in loggione). Però Lucia Valentini Terrani è rimasta famosa soprattutto per il suo Rossini, in ruoli da contralto e non solo da mezzosoprano. Una cantante davvero grande e molto amata; e ancora oggi fanno impressione la rapidità e la durezza della malattia che ce l'ha portata via quando aveva ancora molto da dare.


Di Lucia Valentini Terrani (Terrani è il cognome del marito, l'attore Alberto Terrani) abbiamo diverse registrazioni d'opera, e un film del 1982, "Concierto barroco", tratto da un libro di Alejo Carpentier, regia di Josè Montes-Baquer, dove insieme a Lucia Valentini Terrani troviamo tra gli interpreti il tenore Alberto Cupido e il mezzosoprano Carmen Gonzales. Alejo Carpentier (1904-1980, cubano, nato a Losanna) fu anche musicista e appassionato di storia della musica; si parla di un incontro immaginario fra Antonio Vivaldi, Georg Friedrich Haendel e Domenico Scarlatti a Venezia, durante il Carnevale del 1709. Di più non so dire, è un film quasi introvabile.


L'elenco delle opere in video con Lucia Valentini Terrani su www.imdb.com per una volta appare incompleto, perché mancano di sicuro alcuni titoli che ho visto in passato sulla Rai, come il "Tancredi" di Rossini del 1986, da Torino, con direttore Bartoletti.
I titoli citati da Internet Movie Data Base sono questi:
1982- Falstaff di Verdi, diretto da Giulini, con Renato Bruson protagonista, nel ruolo di Quickly
1985- Maometto II di Rossini, diretto da Scimone, con Merritt e Ramey
1987- L'italiana in Algeri di Rossini, diretta da Gary Bertini, con Dara e Bruscantini
- Due edizioni del Viaggio a Reims, sempre come "marchesa Melibea", entrambe dirette da Claudio Abbado; una del 1988 e una del 1992 da Berlino.
Inoltre, un documentario del 1986 dove Lucia Valentini Terrani canta "Lux aeterna" dal Requiem di Verdi, diretta da Claudio Abbado.

 
(ho preso queste foto in rete, sono belle e ringrazio molto chi le ha rese disponibili;
spero che non ci siano difficoltà perché mi fa piacere ricordare così Lucia Valentini Terrani)
 

lunedì 11 dicembre 2017

Josè Carreras


 
Josè Carreras, all'anagrafe Josep Maria Carreras i Coll, nato nel 1948, non ha certo bisogno di presentazioni. Nei film si ascolta spesso la sua voce, presente in numerose colonne sonore; da noi si ricorda la sua interpretazione di "E lucevan le stelle", dalla Tosca di Puccini, in "Ecce Bombo" di Nanni Moretti (1980). La voce di Carreras è su un disco usato da Nanni Moretti e dai suoi amici per fare uno scherzo telefonico, non ho mai capito bene cosa succede in quella scena però si ascolta per intero "O dolci baci o languide carezze", ed è sempre un bell'ascolto. Probabilmente il merito è di Franco Piersanti, curatore delle musiche nei primi film del regista romano.
Carreras recita come attore in "Romanza final (Gayarre)", film biografico del 1986, regia di Josè Maria Forqué, insieme a Sidney Rome e Montserrat Caballé. Julian Gayarre (1844-1890) è stato uno dei più grandi tenori dell'Ottocento; sulla sua vita esiste un film precedente con Alfredo Kraus, uscito nel 1959. Sono due film purtroppo di difficile reperibilità.

Nel film "Top kids" del 1987 Josè Carreras impersona Enrico Caruso; la regia è di Michael Pfleghar. Si tratta di una storia dell'automobile vista da due bambini, con Niki Lauda (se stesso), e Jacques Perrin. Tra i personaggi Henry Ford, Chrysler, Benz.
Nel film opera "La Bohème" con regia di Comencini (1988), la voce è di Carreras ma a recitare è il tenore Luca Canonici, che dovette sostituire Carreras a causa degli inizi di una grave malattia che per fortuna è passata senza lasciare conseguenze (ma la preoccupazione all'epoca fu grande).

Queste le registrazioni operistiche, secondo www.imd.com:
1973 - La Traviata, 1976 - Adriana Lecouvreur, 1978 - La forza del destino, 1981- Tosca, 1981 - Un ballo in maschera, 1982 - Lucia di Lammermoor, 1982 - Live al Metropolitan (Bohème), 1983 - Turandot, 1984 - I lombardi alla prima crociata, 1985 - Andrea Chénier, 1985 - Erodiade di Massenet, 1986 - Don Carlo di Verdi, 1988 - La Bohème 1988 (film di Comencini, solo voce), 1999 - Medea di Cherubini, con Montserrat Caballé, 1992 - Te Deum di Berlioz, 1993 - Stiffelio di Verdi. E poi tante apparizioni come ospite in televisione, compresi i famosi concerti "dei tre tenori" con Domingo e Pavarotti, un concerto natalizio in Germania nel 1992, e molto altro ancora.

 
 
 
 

venerdì 8 dicembre 2017

Giovanni Martinelli


 
Giovanni Martinelli (1885 1969) è stato un tenore grandissimo che però in Italia ha cantato poco, diventando molto presto una "stella fissa" del Metropolitan di New York. A noi rimangono i suoi dischi, che testimoniano una voce straordinaria e un interprete di notevole livello. Martinelli nacque a Montagnana (Treviso) come Aureliano Pertile, altro tenore straordinario: il dettaglio curioso è che nacquero a pochissimi giorni di distanza l'uno dall'altro, quindi nello stesso luogo e quasi nello stesso giorno. 
Martinelli debutta nel 1910 a Milano (Teatro Dal Verme) , e nel 1913 è già in America dove trascorrerà quasi tutta la carriera. Dal 1913 al 1946 Giovanni Martinelli è sempre presente in tutte le stagioni d'opera del Metropolitan di New York; si ritirerà nel 1950, l'ultima esibizione è a Philadelphia. Tornerà a cantare in pubblico negli anni '60, mostrando una voce ancora notevole, come mostra l'incisione di arie dalla "Fanciulla del West" di Puccini datate aprile 1962.
Giovanni Martinelli non ha fatto film come attore, ma di suo esistono cinque scene d'opera, filmate agli inizi del sonoro e in parte visibili e ascoltabili su youtube. Secondo www.imdb.com :
- Pagliacci, di Ruggiero Leoncavallo (1926)
- Aida, di Giuseppe Verdi (1927)
- Lazarus, da La Juive di Ludovic Halévy (1927)
- Il Trovatore di Giuseppe Verdi (1930)
- Martha, di Friedrich von Flotow (1930)
Il sito riporta anche le apparizioni televisive di Martinelli:
- tv americana, narratore per "Opera Cameos" (1953)
- documentario su Fox tv (1959)
- Great Performances (1998)



lunedì 4 dicembre 2017

I Nibelunghi ( I )


Die Nibelungen (1924) Regia di Fritz Lang. Tratto da Die Nibelugenlied e dalle saghe nordiche Sceneggiatura di Fritz Lang, Thea von Harbou. Fotografia: Carl Hoffmann, Gunther Rittau e Walter Ruttmann (per la sequenza del "sogno del falcone"). Scenografia: Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht, ispirata in parte alle pitture di Arnold Böcklin; costumi: Paul Gerd Guderian, Anne Willkomm; armature, costumi e armi degli Unni: Heinrich Umlauff. Musica originale: Gottfried Huppertz.  I parte: Siegfried (La morte di Sigfrido); II parte: Kriemhilds Rache (La vendetta di Crimilde) Produzione Decla-Bioscop-Ufa. Prima proiezione, col sottotitolo Ein Deutsches Heidenlied (Un'epopea tedesca). Durata totale: 4 ore e 50 minuti
Interpreti: Paul Richter (Sigfrido), Margarete Schön (Crimilde), Rudolph Klein-Rogge (Attila-Etzel, re degli Unni) Georg August Koch (Ildebrando), Theodor Loos (Gunther), Bernhard Goetzke (Volker von Alzey), Hans Adalbert von Schlettow (Hagen Tronje), Georg John (Alberico e Blaodel), Gertrude Arnold (la regina Ute), Hanna Ralph (Brunilde), Rudolph Ritter (Rüdiger), Fritz Albert (Dietrich), Hans Carl Müller (Gerenot), Erwin Biswanger (Giselher), Hardy von Francois (Dankwart), Frieda Richard (lettrice, I), Georg Turowski (sacerdote, I), Iris Roberts (paggio, I) Grete Berger (Unno, II), Fritz Alberti (II), Rose Leichtenstein (II).

"I Nibelunghi" di Fritz Lang (1924), al di là dei luoghi comuni sul periodo del cinema muto, è davvero un film antico, arcaico, a tratti rudimentale; a tratti si pensa che potrebbe essere stato girato da Georges Méliès, che però anche nel 1897 sapeva essere più vivace e brillante. Tutto questo sorprende perchè è il film di Lang che viene subito dopo il primo Mabuse e precede di poco Metropolis, quindi nel 1924 Lang era già un autore sicuro dei propri mezzi, molto maturo e capace di capolavori che destano ancora oggi ammirazione; però qui appare spesso legnoso e rozzo. Il film può piacere ancora, e di sicuro nel 1924 sarà piaciuto molto, però va ricordato che nel campo del kolossal a quel tempo c'erano già stati Pastrone, Griffith, e anche Eisenstein era ben presente. E si potrebbero aggiungere Il monello di Chaplin, e Keaton, Murnau, Dreyer, Lubitsch... tutti più o meno contemporanei dei "Nibelunghi" di Lang.
 

La versione integrale dura 4 ore e 50 minuti, quasi cinque ore; la prima cosa da fare è dimenticarsi di Wagner, perchè Lang si attiene al racconto classico della saga dei Nibelunghi. Ed è un lavoro che merita attenzione, ma è anche l'occasione per rendersi conto del grande lavoro di rielaborazione fatto da Richard Wagner, che dà profondità e spessore al mito nibelungico. Qui, come nella versione originale della saga, e come nell'Edda, è tutto molto più schematico; certamente fascinoso (il drago!) ma anche molto più rozzo nella descrizione dei personaggi e dei temi. Die Nibelugenlied , dal punto di vista stilistico, è molto lontano dalla grandezza e dalla finezza dei miti greci o romani, e non ha l'ampiezza e la profondità filosofica del Mahabharata.


Il film è diviso in due parti: "Die Nibelungen" e "Kriemhilds Rache" (La vendetta di Crimilde), entrambe sopra le due ore di durata; chissà come lo si proiettava, nel 1924, e quale era la reazione degli spettatori ancora abituati alle comiche e ai film "da un rullo". La fonte è il poema del 1200, La Canzone dei Nibelunghi; non direi che ci sia molto dall'Edda, sicuramente siamo molto distanti da Wagner.
Ci sono molte curiosità nella scelta degli attori, per chi conosce il cinema di Lang: infatti molti attori ricorrono o ricorreranno negli altri suoi film. Sigfrido è Paul Richter, Crimilde è Margarethe Schön, Brunilde regina d'Islanda è Hanna Ralph (spesso simile a un personaggio di film di fantascienza, come il coevo "Aelita"). Nel "Dottor Mabuse", girato pochi mesi prima, Paul Richter (Sigfrido) era il ricco e giovane Hull che viene ipnotizzato all'inizio del film. Günther è Theodor Loos, Hagen è Hans Adalbert Schlettow (era l'autista del dottor Mabuse). Erwin Bisanger è Giselher, Bernhard Goetze è il bardo Volker (era il procuratore von Wenk nel Mabuse). Attila (re Etzel, Attila nelle didascalie inglesi) è Rudolf Klein-Rogge, cioè Mabuse stesso poi protagonista anche in Metropolis. Rüdiger è Rudolf Rittner.

Le musiche originali sono di Gottfried Huppertz; esistono copie con le musiche di Wagner che però a questo punto sono fuori luogo, questo film con Wagner ha poco a che vedere, quasi niente. La musica di Huppertz fu recuperata per caso nel 1994 dalla vedova del musicista; è piuttosto bella, un Hindemith più morbido, e meriterebbe un'analisi attenta anche perché qualcosa non torna nel rapporto fra musica e immagini (nelle ballate e nelle danze). Forse la colpa è anche dell'attore che interpreta il bardo, che più che suonare sembra tirare cazzotti al suo strumento, niente a che vedere con il toccare le corde (forse qualche conto in sospeso con la musica?). La stessa cosa si può dire per il giullare di Attila, che appare come un ballabiotto senza la minima musicalità. Difficile andare a tempo e mettere musica appropriata, con due attori come questi.

 
Su youtube sono visibili due o tre versioni differenti, per lunghezza e per colonna sonora, e anche per i colori (il virato del cinema prima del colore, ancora affascinante, non è presente in tutte le pellicole disponibili ma solo in alcune). Qui porto una mia sintesi personale, che definirei incompleta, ma che può servire per un primo approccio e per un paragone con il racconto wagneriano. Come sempre, ho indicato i minuti a cui si riferiscono le scene: spero che questa indicazione possa essere utile a qualcuno.
Basato in parte sul grande poema germanico degli inizi del tredicesimo secolo, che ispirò anche il ciclo operistico di Wagner, Der Ring des Nibelungen. La Decla-Bioscop si fuse con l’Ufa durante la lavorazione del film. Siegfried fu distribuito negli Stati Uniti dall’Ufa, in una versione di 2743 metri con la musica di Wagner diretta da Hugo Reisenfeld, il 12 settembre del 1925. In America non distribuirono la seconda parte fino alla fine del 1928; intitolata Kriemhild's Revenge, fu data anch'essa in una versione ridotta di 2743 metri. Nel 1933 l’Ufa preparò una versione tagliata di Siegfried (2258 metri), col sonoro, e la distribuì col titolo Siegfrieds Tod. Nell'ottobre del 1924 l’Ufa inviò Lang negli Stati Uniti; vi rimase per poco più di un mese per esaminare le tecniche di produzione a New York e a Hollywood. In dicembre ritornò a Berlino.
(da "Il cinema secondo Fritz Lang", intervista con Peter Bogdanovich, ed. Pratiche 1988)
L'inizio vede Sigfrido intento a forgiare una spada (siamo quindi lontanissimi dal Ring) e Mime o chi per lui ne saggia l'affilatura facendo cadere una piuma sul taglio; poi manda il giovane in bocca al drago, sperando che muoia o che gli riporti il tesoro. I Nibelunghi verranno più avanti, e non saranno nani abitanti nel sottosuolo ma una stirpe nobile e guerriera. Qui siamo piuttosto in una zona di tipo diorama preistorico, in netto contrasto con ciò che segue e cioè (minuto 10) una Messa cattolica in piena regola e con il lusso medievale del castello di Worms, dove regnano i Burgundi. Il re dei Burgundi è Günther, suo fratello è il truce Hagen (somiglia a Wotan), la loro sorella è Crimilde. L'attore che impersona Günther ricorda molto Osvaldo Valenti nella "Cena delle beffe", sia nel fisico che nel carattere del personaggio: un debole, che tradirà l'amico Sigfrido. "Mime" e i fabbri dell'inizio del film rimandano direttamente ai fabbri descritti da Mircea Eliade, vagamente demoniaci, rozzi e seminudi, vestiti di pelli, brutti, storti, pelosi.


Intanto Sigfrido si è messo in marcia col suo cavallo bianco, e lo ritroviamo al minuto 15 a confrontarsi con il drago, con tutto ciò che segue, foglia sulla spalla compresa (un dettaglio che in Wagner non c'è).
Al minuto 23 comincia il "secondo canto" (così nella didascalia) dove il bardo del castello di Worms canta le gesta di Sigfrido; Crimilde lo ascolta attenta. Il bardo suona uno strumento simile a una viola da gamba, con l'archetto grande che si vede nei dipinti rinascimentali. Il racconto del bardo viene alternato con le gesta di Sigfrido, che incontra Alberich e lo sconfigge (lo ucciderà in seguito); Alberich gli dà il copricapo magico, che non è un elmo ma una specie di retina per capelli che si tiene alla cintura. Il regno sotterraneo di Alberich, in questa scenografia, è evidentemente servito a Peter Jackson per il suo Tolkien, è quasi identico. Al minuto 34 Alberich e gli gnomi diventano di pietra, con un bell'effetto speciale. Da Alberich Sigfrido ottiene anche la spada magica, che qui si chiama Balmung.
 
Al minuto 40 il sogno di Crimilde; al minuto 43 vediamo Brunilde, regina guerriera d'Islanda, concupita dal debole Günther. Al minuto 44 c'è Hagen, poi Crimilde (qui simile alle icone bizantine); Brunilde ha un curioso elmo guerriero. Al minuto 50 l'oracolo, una donna in una grotta con incisioni di tipo camuno, forse rune ma incise in maniera un po' goffa.
La nave vichinga con Sigfrido salpa per l'Islanda, c'è il mare di fiamme, la scenografia rimanda a Böcklin ma è sempre un po' rozza. Al minuto 52 Brunilde vede Sigfrido arrivare sulla nave. Iniziano le prove per conquistare Brunilde, che sposerà il vincitore della gara, colui che la sconfiggerà nelle prove; Sigfrido vuole sposare Crimilde, e allora Hagen lo invita a usare il copricapo per diventare invisibile e aiutare Günther, così da poter avere il suo consenso al matrimonio. Così fanno e al minuto 60 c'è la tripla sfida: non un torneo medievale ma lancia, getto della pietra, eccetera; vincendo le tre gare ci si porta a casa Brunilde.
Sigfrido grazie al copricapo (una rete per capelli, e non l'elmo) è invisibile, ma si vede la sua ombra; combatte per Günther, che vincerà nonostante le sue mancanze. In realtà, è l'invisibile Sigfrido a gareggiare al posto di Günther. Brunilde è dunque sconfitta e non si capacita, non comprende l'inganno e dovrà comunque sposare Günther.


(1-continua)