venerdì 30 dicembre 2016

The Company (Robert Altman)


The company (2003) Regia di Robert Altman. Soggetto: Neve Campbell. Sceneggiatura: Barbara Turner. Fotografia: Andrew Dunn. Coregografie: Joffrey Ballet Chicago. Musica di Van Dyke Parks, e Funny Valentine di Rodgers e Hart. Interpreti: Neve Campbell, Malcolm McDowell, James Franco, e i componenti di The Joffrey Ballet Company (Chicago). Durata: 112 minuti.

"The company" è il penultimo film di Robert Altman, seguito soltanto da "Radio America". Girato con la Joffrey Company di Chicago, su suggerimento di Neve Campbell che ne è anche produttrice, racconta la vita quotidiana di una compagnia di danza, dalla progettazione fino all'allestimento di uno spettacolo. Neve Campbell (canadese, nata nel 1973) arrivava da un successo di pubblico con horror dozzinali, ma era in origine ballerina.
Insieme a Neve Campbell è protagonista Malcolm Mc Dowell, che interpreta il direttore della compagnia (il personaggio ha un nome italiano, "Alberto Antonelli") ed è molto credibile nella parte. Terzo attore di nome è James Franco, che non interpreta un ballerino ma il ragazzo di Neve Campbell.

Nel volume "Altman racconta Altman", ed. Feltrinelli 2010, Robert Altman passa in rassegna tutti i suoi film (l'intervistatore è David Thompson). Dedica molto spazio a "The company", l'intervista su questo film occupa il libro da pagina 210 a pagina 220; forse perché è un impegno recente, ma probabilmente perché si tratta di qualcosa di inusuale e di inaspettato, chi si sarebbe aspettato da Robert Altman un film di balletto? Altman stesso dice di essere stato colto di sorpresa, ma poi - conclude - "in fin dei conti non sapevo niente nemmeno della musica country, prima di girare Nashville..."
- Come è nato "The company"? Prima di allora il balletto classico non era mai entrato nel raggio del tuo radar...
- Dopo la serie dei film "Scream" Neve Campbell divenne molto ricercata. Da ragazzina aveva fatto parte del corpo di ballo della National School of Canada. Poi si presentò alla Warner Bros, dicendo: "Voglio fare un film sul ballo"; e loro commissionarono due o tre sceneggiature, ma erano tutte uguali e c'era sempre l'immancabile storia della ragazza povera che lotta per fare la ballerina e alla fine ce la fa. Lei invece voleva fare un film in cui sarebbe stata una delle tante ballerine; si rivolse quindi a Barbara Turner (...) e insieme scelsero la Joffrey Company di Chicago, con cui passarono tre anni. Barbara viaggiò insieme a loro, prese appunti, fece registrazioni e alla fine si ritrovò con un a gran quantità di materiale originale. Dopo aver scritto la sceneggiatura la mandarono alla Killer Films, una piccola società di produzione, che a sua volta la mandò a me perché io e Barbara siamo amici. Quello che le dissi però fu: "Barbara, io la leggo ma non farò mai questo film perché non ne so niente di danza e non capisco perché dovrei essere io a farlo." Quindi la lessi, ma non riuscivo a immaginarmi come sarebbe stato il film, e non facevo che ripetermi "non posso farlo". Cercai però di aiutarla il più possibile. In quel periodo dovevo scrivere una sceneggiatura con Paul Newman per la Miramax; ma poi Harvey Weinstein si inserì nel progetto: io avevo scritturato Naomi Watts e lui disse che avrebbe tolto dal budget tre milioni di dollari perché secondo lui era un'attrice insignificante. (...) in mezzo a tutto questo trambusto mi ritirai e decisi invece di fare il film sul mondo del balletto. Quello che pensai fu: "perché non tuffarmi nell'abisso? in fondo non sapevo niente neanche di musica country, ma ho fatto Nashville...". In realtà il film è di Neve, è lei la produttrice. Le dissi: "Lo faccio, ma mi limito a registrare quello che succede. Tu sarai una delle ballerine e non dovrai prevalere sugli altri membri del corpo di ballo". E così andò.
(da "Altman racconta Altman", a cura di David Thompson, ed. Feltrinelli, pag.211-212)


Neve Campbell è il nome vero dell'attrice, non uno pseudonimo; non so bene come vada pronunciato e penso che non abbia nessuna relazione con la nostra parola italiana (ma potrei sbagliarmi). Nel film fa una bella figura, ma è davvero una delle tante ballerine, si fa notare ma non è la protagonista in assoluto. Si vedono anche tutti i membri della Joffrey Company, nelle prove e nella loro vita quotidiana; non ne riporto i nomi perché sono davvero tanti, coreografi, scenografi, amministrativi, ballerini e ballerine, e sarebbe un peccato dimenticare o tralasciare un nome piuttosto che un altro. L'elenco completo è comunque su www.imdb.com , un database dove c'è tutta la storia del cinema (non finirò mai di ringraziare gli autori di questa iniziativa, che racchiude il vero spirito iniziale di internet: fornire informazioni e aumentare le nostre conoscenze).
Robert Altman è molto bravo nel realizzare questi film corali, dove non c'è un solo protagonista ma dove tutti i personaggi (e gli attori) concorrono alla costruzione della storia. Dai tempi di "MASH" a quelli di "Gosford Park", per terminare con "Radio America" e passando per "La fortuna di Cookie", o per "Nashville" e "Streamers", sono sempre film molto belli; richiedono un po' di pazienza e di collaborazione da parte dello spettatore, ma alla fine si è sempre ripagati dal piacere della visione.


Un film per gli appassionati di danza, dunque, ma anche molto bello da vedere per tutti gli appassionati di teatro, perché i balletti messi in scena sono belli da vedere, cosa che non capita spesso. Altman ha scelto una tecnica di ripresa molto semplice, che rispetta il punto di vista dello spettatore a teatro, con tutti i vantaggi della tecnologia digitale ma senza inutili zoom e primi piani (solo quelli che servono per davvero); il risultato è eccellente e perfino sorprendente, grazie anche all'ottimo lavoro di Andrew Dunn, direttore della fotografia.
- Le sequenze dei balletti sono molto belle da vedere.
- In genere ci siamo limitati a piazzare le macchine da presa dove era possibile. L'illuminazione è molto generale. Penso che il contributo di Andrew Dunn al film sia stato davvero grande, ma credo anche che se uno avesse preso contatto con venti operatori del suo calibro, diciotto non avrebbero accettato il lavoro. Non sanno cosa sia l'alta definizione e, in generale, le opinioni che circolano in proposito sono negative. C'è chi pensa che il video venga usato per fare un film in economia, ma non è vero. Io almeno non sono riuscito a trovare il modo di risparmiare soldi. Era una cosa del tutto nuova, e Andrew ci si tuffò dentro con passione dall'inizio alla fine. Tutti e due brancolavamo nel buio. Non avevamo idea di dove fosse il dirupo. Siamo andati alla carica sperando di non cadere, e lui di certo non è caduto; e neanche io, credo.
(da "Altman racconta Altman", a cura di David Thompson, ed. Feltrinelli, pag.217-218)


E' un film che ho sempre esitato a vedere, perché sono un ammiratore di Robert Altman e ho visto quasi tutti i suoi film, ma mi trovo nella sua stessa situazione prima di iniziare il film: non so quasi niente di balletto. Adesso però posso dire che è un bel film. Anche senza una vera trama, si fa vedere e i balletti sono belli. Qualche minima esperienza di balletto però ce l'ho, per le coreografie mi sento di fare rimandi a compagnie come Momix e Pilobolus, e lo stile del film mi ricorda molto Jacques Tati, "Playtime" ma anche "Il circo".
Van Dyke Parks, autore delle musiche, è stato collaboratore dei Byrds e dei Beach Boys; siamo quindi lontani dal balletto classico, ma la musica è comunque piacevole. Il motivo conduttore è la melodia di "Funny Valentine", una canzone famosa presa dai musical di Rodgers & Hart.

 

giovedì 29 dicembre 2016

Il merlo maschio


Il merlo maschio (1971) Regia Pasquale Festa Campanile. Soggetto di Luciano Bianciardi ("Il complesso di Loth"). Musiche di Rossini e Verdi. Musiche scritte per il film: Riz Ortolani. Interpreti: Laura Antonelli, Lino Toffolo, Gianrico Tedeschi, Lando Buzzanca, Luciano Bianciardi, Ferruccio De Ceresa, Elsa Vazzoler, e altri. Durata: 112 minuti

"Il merlo maschio", film tra i più brutti che io abbia mai visto in vita mia, trova il suo posto in un blog dedicato all'opera nel cinema per via dell'Arena di Verona, che fa da sfondo narrativo, con molte belle immagini sia dell'Arena che di Verona. Purtroppo, questi fotogrammi del film sono difficili da trovare in rete, come si potrà facilmente immaginare; dovrò quindi provvedere prima o poi a trovare le immagini giuste per questa mia breve recensione.
Il soggetto di partenza è di Luciano Bianciardi, scrittore di ottime qualità ("La vita agra") che però si guadagnava da vivere anche con collaborazioni (spero ben retribuite) a giornali e film di dubbia qualità. Bianciardi appare qui anche come attore, nel ruolo di Mazzacurati. (qui sotto, Lino Toffolo che fa finta di essere un orchestrale)
 

Non mi dilungo su ciò che succede nel film, anche perché il riassunto lo si può trovare facilmente in altri siti; i protagonisti maschili sono presentati come orchestrali dei teatri veronesi, dunque anche dell'Arena. Uno di loro si scopre compositore e, preso da furore creativo, scrive di getto un meraviglioso brano orchestrale: decide di chiamarlo "Il merlo maschio" e lo fa ascoltare a un collega d'orchestra (che è Lino Toffolo). Il collega gli dice che sì, è bello, ma non può mica chiamarlo con quel titolo: è infatti "La gazza ladra" di Rossini. L'ouverture dall'opera "La Gazza Ladra" di Rossini è un brano così famoso che quasi mi vergogno a scrivere la giustificazione che viene data nel film: "non l'ho mai ascoltata in vita mia". Si vuol far credere che un violoncellista di un'orchestra sinfonica non abbia mai ascoltato le ouvertures di Rossini? Mi sembra davvero una fesseria, e non è certo l'unica che si trova in questo film.
 

Ho visto questo film quando avevo tredici anni, al cinema del mio paese. Me lo ricordo bene perché era vietato ai minori di quattordici anni; ma io ne dimostravo di più e nessuno mi fece storie al botteghino. Mi ricordo che trovai Laura Antonelli immensamente bella e il film immensamente brutto, soprattutto per la presenza come protagonista di uno dei peggiori attori della storia del cinema italiano; è per questo che metto qui una foto di Laura Antonelli non con questo partner ma con quello che ebbe nella vita reale, Jean Paul Belmondo. Un piccolo risarcimento, in memoria.
 

Lando Buzzanca si è lamentato spesso delle recensioni negative ai suoi film, arrivando perfino a dire che "la sinistra" (i perfidi comunisti, insomma) lo aveva boicottato sapendolo destrorso. Vale la pena di fare l'elenco degli attori che erano attivi in quegli anni nel cinema italiano: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Alberto Sordi, Gian Maria Volonté, Giancarlo Giannini, Gabriele Ferzetti, Giulio Brogi, Enrico Maria Salerno, Gastone Moschin, Adolfo Celi, Franco Nero, e anche Jean Louis Trintignant, Lino Ventura, Michel Piccoli, Philippe Noiret, perfino Dustin Hoffman (in "Alfredo Alfredo"). Le parti maschili erano tutte per questi attori, davvero grandi. E bisognerà poi aggiungere Giuliano Gemma, Terence Hill, Lino Capolicchio, e l'elenco rischia di essere molto lungo ancora: erano ancora attivi Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, e scendendo a un livello più basso stavano per arrivare Celentano, Pozzetto, Villaggio... Che in quel periodo un mediocre caratterista come Lando Buzzanca abbia fatto dei film da protagonista è cosa che sorprende, e direi che Buzzanca dovrebbe ringraziare la sua buona stella per come è andata la sua carriera, invece di lamentarsi. Per maggiore chiarezza e maggiori dettagli, basterà guardare come recita Buzzanca in questo film, "Il merlo maschio".
 

Nel cast c'è anche Lino Tòffolo, veneziano, che a me è sempre piaciuto molto anche per la sua modestia. I suoi compagni di teatro, al Derby di Milano, dicono ancora oggi che era quello che faceva più divertire il pubblico; ma al cinema non ha avuto molta fortuna, la sua parte migliore è probabilmente quella dell'interprete universale nel "Brancaleone", accanto a Vittorio Gassman. Gianrico Tedeschi, altro bravo attore, qui se la sbriga con poco facendo la caricatura del direttore d'orchestra. Altro bravo attore di teatro è Ferruccio De Ceresa, che ho avuto la fortuna di vedere e ascoltare molte volte al Piccolo Teatro di Milano.

Sullo sfondo di questo pastrocchio c'è Verona, e l'Arena. Nella colonna sonora, oltre a qualche frammento dall'Aida di Giuseppe Verdi, ricordo l'ouverture da "La Gazza Ladra", che io tredicenne non avevo davvero mai ascoltato per intero, quindi ringrazio chi, nonostante tutto, mi fece prendere coscienza dell'esistenza di questa musica. Un anno dopo, sarebbe arrivato Stanley Kubrick con "A clockwork orange", dove Rossini ha parte consistente, e ancora con La Gazza Ladra.
E' da rimarcare in negativo anche il fatto che nei titoli di testa e nelle locandine del film si indichi la musica soltanto come opera di Riz Ortolani: un gran brutto vizio. Quello che rimaneva nelle orecchie, all'uscita del cinema, non era certo la musica di Ortolani: era Rossini, era Verdi. Poco dopo avrei compiuto i quattordici anni, e avrei cominciato ad allargare gli orizzonti: per fortuna, il mondo era grande e pieno di cose belle da conoscere.

 
 
(le immagini dell'Arena di Verona vengono da www.wikipedia.it ; le immagini di Laura Antonelli vengono da altri film)
 

lunedì 26 dicembre 2016

Alta Definizione


Accendo la tv e c'è in corso un dibattito, un'intervista su un tema importante e di grande attualità; in alto nell'angolo a destra dello schermo c'è una scritta bene visibile: "Impiccalo più in alto". Dev'essere un gran piacere, una vera soddisfazione per una persona che sta esponendo la sua tesi in tv su un argomento delicato, vedere la propria faccia con sopra scritto "Impiccalo più in alto" per tutta la durata della trasmissione. Capita ogni giorno, sulle reti Rai (servizio pubblico) e su tutti gli altri canali del digitale tv: una fetecchia inventata da chissà quale funzionario che ormai dilaga ovunque, cioè il titolo del film che trasmetteranno stasera "in prima serata", titolo che apparirà sempre ad ogni ora del giorno (pubblicità esclusa, però: la pubblicità non si tocca). Nel caso in questione, è un vecchio film con Clint Eastwood, datato 1968, regia di Ted Post, replicato in tv almeno un milione di volte; ma mi è capitato di vedere pubblicizzato Rambo di Pan Cosmatos (metà anni '70, replicato ogni tre mesi da vent'anni a questa parte, ormai un "must" nel senso che è obbligatorio vederlo), o i film di James Bond con Sean Connery (usciti mezzo secolo fa, quando io ero piccolo e non andavo ancora a scuola), e addirittura "Il colosso di Rodi": che ha la regia di Sergio Leone, ma prima di Per un pugno di dollari. Per intenderci, "Per un pugno di dollari" è del 1964; se "Il colosso di Rodi" è precedente al 1964, replicato un numero infinito di volte (fate un po' voi i conti).
Oppure, può apparire scritto (magari sul film che voi vorreste vedere in pace, e per tutta la durata) il richiamo alla trasmissione che trasmetteranno stasera, sempre "in prima serata". Chi se ne frega di quella trasmissione, viene da dire: a voi interessa il gioco dei pacchi, o la partita di coppa Italia del Milan con la Virtus Entella? Cavoli vostri, mi vien da dire. Io invece vorrei vedere come si deve un film che mi era piaciuto al cinema, anche per la bellezza delle immagini: bellezza che qui sparisce, perché oltre al richiamo su Milan-Virtus Entella (o era l'Avellino?) trovo un logo grosso in alto a destra, un bollino che ricorda che il film è vietato ai minori di 14 anni (figuriamoci, è roba di quarant'anni fa e in tv passano senza bollino rosso i telefilm con le autopsie e i serial killer...), e una scritta che scorre in basso e reclamizza che si può fare domanda per partecipare al Rischiatutto con Fabio Fazio. Manca solo un qualcosa proprio al centro, nel bel mezzo dell'immagine, e suppongo che arriverà presto. Che si fa? si spegne la tv e si va a fare qualcosa di meglio: e tanti saluti agli inserzionisti con la loro preziosa pubblicità appena partita interrompendo il film a metà di un dialogo (questa è ormai una tradizione, si fa così e basta, esiste forse un altro modo di trasmettere un film in tv?).
Il bello è che tutto questo, il proliferare di scritte e di spiegazioni che nascondono ciò che viene trasmesso, avviene in un'epoca in cui, con la tv sul digitale terrestre, basta premere un tasto del telecomando per avere tutte queste informazioni. Premo il tasto i (di solito è quello) ed ecco che appare sul teleschermo la lista completa dei programmi. Semplicissimo, ma in tv non si fidano e perciò si comportano come se ci fosse ancora il televisore degli anni '60, quello con la manopola da girare, senza telecomando e senza televideo. Forse bisognerà spiegarglielo, mi viene da dire: "ohé, guarda che hanno inventato la tv digitale!"; ma poi mi accorgo che nell'angolo a sinistra in alto, sotto l'enorme logo del canale tv, c'è scritto HD501 o qualcosa di simile (il numerino cambia a seconda del canale che guardate: se per somma disgrazia siete finiti sul canale 5 c'è scritto HD505). E dunque, lo sanno. Sanno tutto, conoscono ed esibiscono le nuove tecnologie, ma fanno lo stesso di queste cazzate: appena espresso compiutamente questo pensiero, il dubbio comincia a sorgere. Saranno mica scemi?

Ragionando sulle nuove tecnologie, e su ciò che sarà la tv nell'immediato futuro, mi viene da pensare al digitale terrestre, una rivoluzione ormai obsoleta dopo appena un decennio. Centinaia di canali tv, che non guarda nessuno: tra le prime cinquanta ce ne sono solo una ventina con qualche seguito, e oltre il 50... chi mai va a cercarsi le televisioni oltre il numero 50? Se ci si avventura, troviamo quasi soltanto televendite, a orari incredibili e replicate all'infinito. Il che significa che le televendite e la pubblicità sono trasmesse gratis, che sono lì solo per far vedere che c'è un canale che trasmette. Per occupare la frequenza, così mi spiegano, in attesa che arrivi il compratore con tanti danari. Può anche succedere, per carità, ma questo mondo sarà spazzato via in meno di un mese dalla tv via internet. In questo guazzabuglio senza idee troviamo anche patetiche e inutili tv che sporcano nomi gloriosi: Paramount o Feltrinelli, o simili. Trovate voi i nomi, nell'elenco vanno messe anche certe trasmissioni Rai (non poche); quanto alle tv Mediaset, sono proprio all'origine storica di questo andazzo. La tv basata sulla pubblicità è uno spreco colossale, per fare tv di qualità bisogna dimenticarsi del modello imperante da trent'anni, e tornare a fare cose belle per il piacere di farle, senza dimenticarsi di controllare l'audience ma senza fare dell'audience un'ossessione. Il concetto di prima serata, per esempio, per esempio, è tipico dei venditori di spazi pubblicitari: magari alle nove di sera non siamo nemmeno a casa... c'è tanta gente che lavora, a quell'ora. O magari che esce di casa e va a divertirsi. Siamo sicuri che alle nove di sera ci si attacchi tutti alla tv? Con la tv connessa ad internet questa storia del "prime time" è destinata a finire nel dimenticatoio, ma ecco che in alto nell'angolino a destra c'è il messaggio indelebile: "Impiccalo più in alto, stasera alle 21". Come dire:
"adesso stai guardando questa merdina qui, ma stasera...". Mi immagino la felicità di chi sta partecipando al dibattito sul referendum, o dei conduttori di Geo & Geo, mentre appare questa scritta sopra la loro testa: "stai guardando una cosetta da poco, ma se vieni da me stasera, wow..."

Il vero problema è comunque il canone. La tv si può anche non guardare, il mondo è grande e ci sono tante cose da fare; ma il canone va pagato. Cosa giustifica il pagamento del canone Rai, la sua obbligatorietà? Io ho sempre pagato volentieri il canone Rai, perché ne ricevevo in cambio programmi che mi sono serviti nella mia crescita come persona: il servizio pubblico, insomma. Ma adesso? Ho letto le recenti interviste ad Antonio Campo dell'Orto, big boss della Rai, sono interviste lunghe, cinque o sei pagine, un quarto d'ora di trasmissione, ma l'espressione "servizio pubblico" non compare mai. Et pour cause: Campo dell'Orto è di formazione puramente commerciale. Esistono ancora manager e programmisti al di fuori di questo pensiero unico?
 Campo dell'Orto ha parlato anche del futuro, la tv connessa a internet. Con la tv connessa a internet, "sempre connessa", la Rai farà la stessa cosa che stanno facendo tutti gli altri da molto tempo, primi fra tutti quelli di youtube - in rete l'offerta è vastissima, e lo sappiamo bene. Chiunque abbia una connessione internet sa bene quanto materiale a disposizione c'è su internet; del resto, tutti ripetono da tempo, come pappagalli, che "c'è tutto su internet" (me lo dicono anche quando vedono i miei cd e i miei dvd, ma non è vero... i miei filmati e le mie foto su internet non ci sono). Lo spot della Rai per Ray Play presenta il Rischiatutto (anno 1970) e Portobello di Enzo Tortora (anno 1978) come proposta vincente... ma youtube da solo ha una tale quantità di contenuti interessanti e divertenti da surclassare la Rai e Mediaset messe assieme (della Sette non parliamo neppure...).


Come se ne esce? In primo luogo, buttando fuori tutti quei funzionari (quelli e quelle) che sono cresciuti parlando di tv generalista, di prima serata, di flop e di nicchie: i berlusconiani, quelli come Urbano Cairo. Quelli che vedono una e una sola possibilità per la tv, cioè la pubblicità come unico scopo. Campo dell'Orto e gli altri sembrano non capire cosa c'è in ballo davvero: lo spiega bene Curzio Maltese (Venerdì di Repubblica, 9 dicembre 2016), in ballo c'è la fine del giornalismo inteso come cosa seria. Testate come Corriere e Sole 24ore sono già in gravi difficoltà, persino la Gazzetta dello Sport arranca, i profitti vanno tutti a Google e ai social network, per gli altri rimangono le briciole. L'unica speranza è questa: le nuove tecnologie costano pochissimo, basta una videocamera da pochi soldi per mettere in piedi un canale internet. Che ne sarà della Rai in questo nuovo scenario? Questi qua gongolano per l'Alta Definizione: ma ormai ce l'hanno tutti, l'Alta Definizione... Mi costringeranno a spendere soldi per vedere questi programmi, per trovarmi i film sporcati da queste scritte imbecilli? A cosa mi servirà l'Alta definizione, per vedere il lifting della presentatrice e i peli nel naso dei concorrenti al gioco dei pacchi? O magari per contemplare gli sputi sull'erba dei calciatori, magari in 3D? L'Alta Definizione è una bella cosa per la medicina (un'ecografia o un'endoscopia in Alta Definizione), ma in tv rischia di diventare l'ennesimo spreco.
 

Riguarda anche la musica, tutto questo? Riguarda anche il teatro, l'opera? Certamente sì, basti pensare all'importanza delle registrazioni storiche, che noi appassionati d'opera conosciamo bene. Meglio una fetecchia recente o un capolavoro di settant'anni fa? Meglio un remake dozzinale o il film originale? Meglio il Tristano diretto da Furtwaengler, o quello diretto oggi da Kissaky? Ma di questo proverò a scrivere un'altra volta. Purtroppo, il materiale non manca.



(le immagini del Gatto Felix sono tutte rigorosamente in HD e in 3D) (la ragazza che balla con Felix è Ann Pennington) 

martedì 20 dicembre 2016

Haendel di Tony Palmer ( I )


God Rot Tunbridge Wells! (1985) Regia di Tony Palmer . Sceneggiatura di John Osborne. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Costumi di John Hibbs. Interpreti: Trevor Howard (Georg Friedrich Handel anziano), Dave Griffiths (Handel quarantenne), Christopher Bramwell (Handel giovane), Ranald Neilson (Handel ragazzo), Tracey Spence (Mary Granville), Anne Downie (Vittoria Turquini), Simon Donald (Prince Ruspoli), Peter Stanger (Domenico Scarlatti), Beth Robens (madre di Haendel), Mitzi Mueller (Francesca Cuzzoni), Elizabeth Lax (second soprano), Chris Young (Buxtehude), Caroline Woolley (Marie Sallé), Shona Drummond (handmaiden), Isabella Connell (princess of Wales), John Hibbs (Various Affronted Persons),
Cantanti: Elizabeth Harwood ('I know that my Redeemer liveth'), James Bowman ('Ombra mai fu'), Valerie Masterson e Anthony Rolfe-Johnson (duetto 'Happy We' ), Lynn Anderson ('See the conquering hero comes'), John Shirley-Quirk ('Awake the ardour of thy breast' / 'Let envy then conceal her head' ), Judith Howarth ('See the conquering hero comes'), Andrew Dalton ('Cara Sposa'), Roger Cleverdon ('La Mia Sorte'), Emma Kirkby ('But who may abide' ),
Musicisti: Karl Ehricht (organista ad Halle), Andrei Gavrilov (pianista per la Passacaglia), Simon Preston (organista nel Concerto Op. 7 No. 5), Josef Fröhlich, Glyn Harvey, English Chamber Orchestra dir. Charles Mackerras, The Wandsworth School Choir , The Extremely Ancient Academy of Singers
Durata: 2 ore circa, per la BBC

"God rot Tunbridge Wells!" è una biografia di Haendel del 1985, scritto da John Osborne e con regia di Tony Palmer; dura circa due ore, è per la tv, è reperibile su youtube. Si vede volentieri, ha ritmo ed è ben recitato anche se ogni tanto viene da protestare per la sbrigatività, per qualche errore storico, e per la pessima pronuncia dell'italiano. Nel complesso però non si può dire che ci siano troppi errori, e se poi si fa il paragone con altri film biografici siamo ben sopra la sufficienza.
John Osborne (1929-1994), londinese, famoso per "Look back in anger" (Ricorda con rabbia, 1956) fu uno scrittore di successo negli anni 50; il movimento "The angry young men" (i giovani arrabbiati) lo riconobbe come suo portavoce. Osborne ispirò i personaggi di James Dean (e forse anche la sua morte); ebbe una vita personale turbolenta con molti matrimoni e con situazioni non accettabili (molestie a minori, per non scendere troppo nei dettagli). Come sceneggiatore, John Osborne vinse l'Oscar per il film "Tom Jones" (1964, regia di Tony Richardson, sempre settecentesco) e collaborò a molti altri film. Questa battuta, da "Ricorda con rabbia", può servire a rendere l'idea di come è stato pensato il film su Haendel: "Ho un'idea" dice Jimmy ad un certo punto. "Perché non facciamo un giochino? Facciamo finta che siamo esseri umani e che siamo vivi. Solo per un po'. Cosa ne dite?". (John Osborne, da "Look back in anger"). "Ricorda con rabbia" è diventato film nel 1958 per la regia di Tony Richardson; non sono riuscito a capire la scelta del titolo per questo film su Haendel, non tanto per la frase in sè che è facile pensare sia tratta dall'epistolario di Haendel (ma nei titoli di testa mancano del tutto le fonti storiche, cosa non accettabile) ma proprio sul perché sia stata scelta per il titolo in mezzo a tante altre possibili.

E' curioso il modo in cui John Osborne scrive il film; praticamente non ci sono dialoghi, tutto passa per la testa e per la memoria di Haendel anziano e malato (l'attore è Trevor Howard) e quindi quasi tutto quello che vediamo è in flashback o parte della memoria del musicista; inoltre, Osborne usa il testo del "Messiah" (cioè Bibbia e Vangelo) come punti di partenza dei monologhi di Haendel anziano; è una scelta interessante, viene solo da chiedersi se sia comprensibile a chi non conosce l'oratorio haendeliano. Nel 1985 si poteva dare per scontato che tutti gli inglesi lo conoscessero, oggi non so se sia ancora vero: speriamo, ma non è detto. Comunque, anche questo non dispiace. Ciò che dispiace, invece, è l'interesse quasi morboso per alcune volgarità spesso ripetute, tipo (chiedo scusa per la citazione, ma nel film questa frase viene ripetuta almeno tre volte) il "non fare rumori corporali davanti alle signore", e altro ancora. Se anche Haendel lo ha lasciato scritto da qualche parte, magari in una lettera, se ne poteva tranquillamente fare a meno.
Haendel è interpretato da quattro attori: da bambino è Ranald Neilson, poi Dave Griffiths e Christopher Bramwell. Haendel anziano è affidato a Trevor Howard, l'unico attore famoso di tutto il cast (fra le altre cose, interpretò Wagner per Luchino Visconti, in "Ludwig"). Ad aprire il film, e a fare da narratore, è proprio Trevor Howard, cioè Haendel vecchio e malato, che Osborne dipinge come arrabbiato e di pessimo carattere; si specifica subito che Haendel era sempre stato famoso e ricercato per il suo buon carattere; si dice "sempre" e si specifica che il tempo e le persone (e le malattie) lo hanno cambiato. Il buon carattere e la simpatia di Haendel sono un dato storico confermato da molti testimoni del suo tempo fino dal periodo del suo soggiorno a Roma, poco più ventenne.

Vediamo altri personaggi storici, soprattutto musicisti, nel corso del film: Domenico Scarlatti (l'attore si chiama Peter Stanger), Dietrich Buxtehude (interpretato da Chris Young), la cantante Francesca Cuzzoni (attrice Mitzi Müller). Sullo schermo anche molti cantanti e i musicisti: i soprani Elizabeth Harwood (per "I know that my Redeemer liveth") ed Emma Kirkby ( per "But who may abide...") il contraltista James Bowman (un tipo di vocalità che personalmente non sopporto), il tenore Anthony Rolfe Johnson, il baritono John Shirley-Quirk, Valerie Masterson, Judith Haworth, l'altro falsettista Andrew Dalton, tutti ben noti a chi frequentava i teatri d'opera e le sale da concerto in quegli anni, anche in Italia. Simon Preston è organista e direttore d'orchestra, Karl Ehricht l'altro organista, Andrej Gavrilov suona il pianoforte in un anacronismo che non disturba (non è l'unico, a un certo punto vediamo anche un grammofono). La direzione musicale è di Charles Mackerras e di Simon Preston.
Inoltre, Osborne fa di Haendel un gran donnaiolo; qualche dubbio storico c'è ma la cosa non dispiace. La verità è che le fonti storiche tacciono sulla sua vita privata, della quale si sa poco o niente. Non sono un esperto di pronuncia inglese, ma probabilmente Trevor Howard cerca di rifare l'accento tedesco, specialmente quando pronuncia il th, come in filthy (lurido), parola che lo scrittore Osborne pare amare particolarmente. Il film è privo di dialoghi, Haendel anziano narra tutto in prima persona.
Tony Palmer è un bravo regista inglese, nato nel 1941, autore di numerosi film e anche di molte biografie di musicisti importanti: oltre a Haendel si è occupato di Purcell, di Shostakovic (con Ben Kingsley protagonista, basato sul discutibile libro di Solomon Volkov, "Testimony"), Puccini (sempre per la BBC, con attori inglesi), Wagner (con Richard Burton) e molto altro ancora, compresi film su gruppi rock famosi come i Cream, o su Jimi Hendrix e Frank Zappa.

 
Miei appunti presi durante la visione, che provo ad integrare con le note biografiche prese da un programma della Scala (per l'opera Ariodante, stagione 1980-81):
Si parte da Halle, 1685; Georg Friedrich Haendel è figlio di un medico sessantenne. Nel film non si parla della sua prima istruzione musicale: il suo insegnante è Friedrich Wilhelm Zachau (Zachow) che lo prende in consegna a otto anni e lo trova molto predisposto. Dopo tre anni, Zachau dice che il suo compito come insegnante è terminato, il bambino sta già scrivendo le sue prime composizioni. Nel 1697 muore il padre di Haendel; l'anno dopo Georg Friedrich si iscrive all'Università di Halle, ma continua a studiare musica e trova un posto come organista. Nel 1703 si trasferisce ad Amburgo.
Il giovane Haendel fu ferito a un braccio in un duello a Lubecca, così si vede nel film.
Sembra quasi un segno del destino - se non addirittura un miracolo - il fatto che la vita di Haendel non venga troncata, quando conta appena 18 anni, nel corso di un violento alterco scoppiato proprio in un teatro d'opera e culminato in un duello notturno. Un duello singolare perché i contendenti sono entrambi musicisti e, fino a quel momento, compagni inseparabili. Infatti di fronte a Haendel, sulla piazza del Mercato che, in Amburgo ospita il Teatro dell'Opera, il 5 dicembre 1704 sta, con la spada in pugno, il migliore amico che egli ha in quella grande città nordica: Johann Mattheson, noto compositore e poeta, attore e critico. Ed è la lama di Mattheson che, in un "a fondo", mentre sta per penetrare nel petto dell’avversario, cozza e si spezza contro un grosso bottone metallico del giustacuore di Haendel. A quella vista l'ira dei due sbolle di colpo, le spade cadono loro di mano ed essi si precipitano l'uno verso l'altro, stringendosi in un abbraccio, mentre dalla folla, che ha fatto cerchio intorno ai duellanti, scroscia l'applauso. Sembra la scena madre di un melodramma classico, ed è stato proprio un melodramma la causa prima della contesa. Al Teatro dell'Opera di Amburgo si rappresentava quella sera “Cleopatra », un'opera scritta e musicata da Mattheson, il quale dirigeva l'orchestra sedendo al clavicembalo. Ma poiché il compositore sosteneva nell‘opera anche la parte del triumviro Antonio, quando saliva sul palcoscenico - per cantare e recitare - lasciava la direzione dell'orchestra all'amico e collega Haendel che dalla fila dei violini, dove era abitualmente il suo posto, si trasferiva al clavicembalo, assumendo, insieme, la direzione dell'Orchestra. La cedeva poi, alla fine del secondo atto, a Mattheson che, essendo morto come Antonio, resuscitava nell'ultima mezz’ora di spettacolo - quale direttore ed autore, al fine di riscuotere, ancora paludato com'era nel costume di antico romano, l'applauso finale degli spettatori che lo circondavano. Questa specie di balletto aveva funzionato a dovere durante le prime due rappresentazioni ed era lecito prevedere che tutto sarebbe filato liscio anche quella sera del 5 dicembre. Ma Haendel - che aveva qualche buona ragione per lagnarsi di Mattheson - volle fargli un clamoroso dispetto e all'improvviso rifiutò di cedergli il posto al clavicembalo e la direzione dell'orchestra. Da qui insulti, minacce, vie di fatto, la sfida alla spada, il "vieni fuori all‘aperto" e, infine, il duello in piazza tra la folla che, raccolta in cerchio, si godeva così un secondo spettacolo, dopo l'opera in teatro. Tutto è bene ciò che finisce bene ma l'incidente ha contribuito ad incrinare quel sodalizio tra Mattheson e Haendel che aveva avuto inizio l’anno precedente sotto i migliori auspici.
(Silvestro Severgnini, programma della Scala per Ariodante, stagione 1980-81):

 
A Lubecca c'è il grande organista e compositore Dietrich Buxtehude, Haendel e Mattheson vanno a trovarlo in parte per rendergli omaggio e in parte perché interessati alla sua successione. Uno stipendio garantito, insomma, e per di più in una posizione di prestigio, era una prospettiva interessante. Buxtehude è ben disposto, però per avere il posto bisognerebbe sposare la figlia dell'organista titolare, cioè proprio la figlia di Buxtehude. Nel film di Tony Palmer si vede anche questa scena, che lascio ricostruire da chi ne sa più di me:
Il teatro; Keyser; Mattheson: ecco le calamite che attirano irresistibilmente Haendel ad Amburgo. Dove Mattheson lo accoglie fraternamente, e, intuendone le doti e misurandone le possibilità, studia con lui e con lui divide persino i pasti, lo accompagna ai concerti, lo presenta ai colleghi e primamente a Keyser. Proprio in quell’estate del 1703 compie con lui un lungo viaggio in carrozza, nel corso del quale la stima e l'amicizia che legano i due giovani musicisti hanno tempo e modo di manifestarsi. Vanno a Lubecca dove un maestro allora universalmente famoso - il danese Dietrich Buxtehude - essendo in età avanzata, intende lasciare il suo posto di organista alla Marienkirche. Sia Haendel che Mattheson (ognuno dei due corre la propria corsa) hanno fatto un pensiero al riguardo tanto è rinomata la sede di Lubecca anche per gli "Abendmusiken", i famosi concerti serali della domenica durante i quali Buxtehude presenta le sue Cantate. Ma i due giovani, se sono entusiasti senza riserve dei prodigi di Buxtehude all'organo, non riescono invece ad entusiasmarsi menomamente alla vista della poco - o niente - avvenente zitella figlia del maestro. E poiché chi vuol sedere all'organo della Marienkirche deve sposare la figlia dell'organista titolare (questa è la legge della Chiesa di Lubecca: l'ha osservata Buxtehude, la deve osservare - e la osserverà - il suo successore) tanto Haendel che Mattheson giudicano che il prezzo da pagare per la pur ambita successione è troppo alto e vi rinunciano. Così fanno ritorno ad Amburgo, ingannando la durata del viaggio in carrozza con gare di “contrappunto alla mente», cioè con esercizi di composizione affidati alla sola memoria, poiché in vettura non hanno la possibilità di mettere note sulla carta. Due anni dopo anche Johann Sebastian Bach compie il medesimo pellegrinaggio a Lubecca, per conoscere e ascoltare il grande Buxtehude che all'organo è un maestro davvero incomparabile. Bach però vi giunge a piedi poiché le sue finanze non gli consentono di noleggiare una carrozza. Rimane come abbagliato dal magistero di Buxtehude sicché invece di sostare, come in programma, quattro settimane, vi resta quattro mesi e, quando fa ritorno alla propria residenza di Arnstadt, trova che la sua assenza troppo prolungata gli ha fatto perdere il posto di organista. Anche Bach, pur ammirando Buxtehude e desiderando ardentemente succedergli, non ha l’animo di ottemperare alla nota, ferrea clausola della Chiesa di Lubecca: l'organo a chi sposa la figlia dell’organista. E rinuncia anche lui.
(Silvestro Severgnini, programma della Scala per Ariodante, stagione 1980-81)

Al minuto 19 siamo a Firenze; si riporta una citazione lusinghiera di Charles Burney su Haendel.
Al minuto 24 siamo a Roma e si vede una gara d'improvvisazione con Domenico Scarlatti: vince Scarlatti o così pare. Il padrone di casa è il principe Ruspoli, e qui si dice sempre Ruspòli invece di Rùspoli: una sciatteria sulla pronuncia italiana che torna spesso nel film, e che non fa certo onore a Tony Palmer e ai suoi collaboratori. Non c'è nemmeno un accenno al divieto papale di rappresentare l'opera, che è il vero motivo per cui Haendel lasciò Roma dove si trovava bene.
Al minuto 29 siamo a Venezia, e c'è ancora esibizione di pessima pronuncia dell'italiano; e poi un veliero sulla Manica al minuto 31, con veloce menzione del soggiorno di Haendel a Berlino, Amburgo, Düsseldorf. Al minuto 33 siamo finalmente Londra, nella St Paul Cathedral.
E' un peccato che il film non si soffermi di più sul periodo italiano di Haendel, perché è qui che avviene la sua formazione definitiva come compositore, avendo anche al suo fianco personalità come Arcangelo Corelli; ma questo è un film per la BBC ed è quindi più che naturale che si parli di Haendel inglese, come è del resto naturale che sia. Dispiace comunque una certa grossolanità nel trattare il periodo italiano.


 
le immagini provengono, oltre che dal film, da antiche riviste e da vecchi programmi di sala
(segue)

Haendel di Tony Palmer ( II )


God Rot Tunbridge Wells! (1985) Regia di Tony Palmer . Sceneggiatura di John Osborne. Fotografia di Nicholas D. Knowland. Costumi di John Hibbs. Interpreti: Trevor Howard (Georg Friedrich Handel anziano), Dave Griffiths (Handel quarantenne), Christopher Bramwell (Handel giovane), Ranald Neilson (Handel ragazzo), Tracey Spence (Mary Granville), Anne Downie (Vittoria Turquini), Simon Donald (Prince Ruspoli), Peter Stanger (Domenico Scarlatti), Beth Robens (madre di Haendel), Mitzi Mueller (Francesca Cuzzoni), Elizabeth Lax (second soprano), Chris Young (Buxtehude), Caroline Woolley (Marie Sallé), Shona Drummond (handmaiden), Isabella Connell (princess of Wales), John Hibbs (Various Affronted Persons),
Cantanti: Elizabeth Harwood ('I know that my Redeemer liveth'), James Bowman ('Ombra mai fu'), Valerie Masterson e Anthony Rolfe-Johnson (duetto 'Happy We' ), Lynn Anderson ('See the conquering hero comes'), John Shirley-Quirk ('Awake the ardour of thy breast' / 'Let envy then conceal her head' ), Judith Howarth ('See the conquering hero comes'), Andrew Dalton ('Cara Sposa'), Roger Cleverdon ('La Mia Sorte'), Emma Kirkby ('But who may abide' ),
Musicisti: Karl Ehricht (organista ad Halle), Andrei Gavrilov (pianista per la Passacaglia), Simon Preston (organista nel Concerto Op. 7 No. 5), Josef Fröhlich, Glyn Harvey, English Chamber Orchestra dir. Charles Mackerras, The Wandsworth School Choir , The Extremely Ancient Academy of Singers
Durata: 2 ore circa, per la BBC

II.
A Londra in quel momento, quando vi arriva il Sassone, hanno successo opere e musiche delle quali nel film Haendel parla malissimo. Viene riportata una recensione di The Spectator sul Rinaldo dove si dice (riassumo meglio che posso) che "ci sono lampi, tuoni, fuoco, ma anche un sistema che impedisce che lo spettatore prenda fuoco"; ed è vero, in fin dei conti il Rinaldo è fatto proprio così, spettacolare ma col raffreddamento incluso. L'opera "Rinaldo" fu il primo grande successo del compositore sassone in Inghilterra; Haendel nel suo primo periodo londinese lavorò per il teatro Haymarket. Si vedono gabbie con uccelli canori, ed è un fatto realmente successo, un tentativo (finito male) di ricostruire il giardino di Armida:
Dalla seconda metà del Seicento Venezia è considerata la capitale musicale d'Italia e la patria dell’opera lirica e, in questo campo, i suoi giudizi fanno testo e sono inappellabili. Perciò Haendel dopo "Agrippina" viene onorato in Germania - presso la corte di Hannover - e quindi l’anno seguente, è il 1710, accolto a braccia aperte in Inghilterra dal direttore del celebre teatro Haymarket, Aaron Hill. Questo straordinario personaggio e scrittore - ha pubblicato una storia dell'Impero Ottomano e ha tradotto Voltaire - è scienziato e industriale -, si occupa di chimica, dell’estrazione di olio dai semi delle piante di faggio e ha uno stabilimento per la costruzione delle navi da carico -, ma è anche uomo di teatro. Come tale appronta all'istante per Haendel la trama di un’opera desunta dalla Gerusalemme Liberata e quando il maestro ha finito di musicarla Aaron Hill si impegna anche nella realizzazione scenica del lavoro. Così, volendo dare una impronta di verismo alla scena del giardino di Armida, gli fa popolare gli alberi finti di uccelli veri. Ma è inverno e gli sono stati forniti soltanto dei passeri che, appena alzato il sipario, si precipitano svolazzando nella sala e, cinguettando si aggrappano dove possono; anche sulle teste e sulle spalle degli spettatori. Il curioso incidente non turba lo splendido andamento della serata, che si risolve in un successo immenso e fa di Haendel il musicista del giorno. Talché Walsh, il suo editore, riesce a guadagnare somme enormi pubblicando le arie del "Rinaldo» in uno smilzo fascicolo di 65 pagine che, pur se venduto a caro prezzo, va a ruba. (E Haendel propone a Walsh d'invertire le rispettive parti, dicendogli: «Caro signore, siccome è giusto che la nostra collaborazione si svolga su di un piano di parità, per la prossima opera, ci scambieremo i ruoli: ella comporrà la musica ed io la venderò »).
(Silvestro Severgnini, dal programma di sala per Ariodante, Teatro alla Scala anni 80)

Haendel (cioè Trevor Howard, il compositore anziano che rievoca la sua vita) dice di amare moltissimo il paesaggio inglese e i poeti inglesi (Milton, Dryden, ecc) e la Bibbia, a queste cose s'inchina e ancora da vecchio è uno stupore continuo. Al minuto 48, si accenna a Mary Granville e si vedono molte donne, con molti dettagli su cui informarsi. Su wikipedia c'è una voce corposa dedicata a Mary Delany Granville (1700-1788) "artista, intellettuale e scrittrice" oltre che dama di corte , che fu per tutta la sua vita molto vicina a Haendel, "amica intima e fedele sostenitrice del compositore". In queste scene e nelle successive è evidente l'ispirazione a Hogarth e al suo ciclo di stampe The Rake's Progress.
Nel 1714 Haendel si ritrova come re d'Inghilterra un Hannover; teme qualche ripercussione ma per il nuovo re scrive la famosa "Water Music", "Musica sull'acqua", che ha grande successo. Il film ci mostr la barca con i musicisti che "affonda allegramente", per fortuna vicina alla riva. Belli i corni d'epoca, e le trombe. Non finiscono però i guai per Haendel: l'arcivescovo di Canterbury se la prende con i "foreign fiddlers" e Haendel commenta: lo ero anch'io, in fin dei conti...
Vediamo poi Haendel che dà lezioni di musica alle figlie del re, e si ascolta "il fabbro armonioso". Le bambine si affezionano a Haendel, sembra quasi di vedere Lewis Carroll con Alice Liddell. Chissà se è tutto vero, bisognerà cercare una biografia attendibile ma il buon carattere e la simpatia di Haendel sono comunque ben documentate, quindi è più che possibile.  
In queste sequenze, e in molte altre, Trevor Howard ricorda spesso John Gielgud come Prospero nel film di Peter Greenaway tratto da "The Tempest" di Shakespeare, e probabilmente ne è il modello dato che il film di Tony Palmer precede quello di Greenaway.
Romain Rolland scrive che l’esito glorioso del Rinaldo ha deciso le sorti dell'opera italiana a Londra e ha rappresentato una svolta nella storia della musica. «L’opera italiana che ha conquistato il mondo comincia a sua volta ad essere conquistata dai musicisti stranieri che essa ha formato, gli "italianizzanti" di Germania. Dopo Haendel verrà Hasse e poi Gluck e poi Mozart. Ma Haendel è il primo dei "conquistatori" e il Rinaldo inizia quel ciclo di 37 melodrammi con cui Haendel - dal 1711 al 1741 - in trenta anni di sforzi appassionali, di vittorie e sconfitte, di crolli fisici e di impegni morali - ha dato vita in musica a tutto un universo favoloso. I protagonisti dei suoi lavori sono sempre figure di primo piano: della mitologia greca, come Arianna, Admeto, Imeneo, Atalanta, Teseo, Partenope; della storia antica, romana e orientale, come Giulio Cesare, Silla, Muzio Scevola, Scipione, Alessandro, Tamerlano »; dell’epopea dei paladini e di quella di re Artù, come Rinaldo, Orlando, Amadigi, Alcina», Berenice, Ottone, ecc. Come questi, gli altri 19 titoli delle opere del Sassone sembrano tolti da un dizionario di personaggi celebri del passato.
(Silvestro Severgnini, come sopra)

 
Lord Chandos, duke of Chandos, finanzia Haendel e molte opere nuove sono rappresentate nel teatro della sua villa. Al minuto 57 ascoltiamo il duetto "Happy we" dall'opera "Aci e Galatea", non in scena ma con i due cantanti in abiti moderni; i due solisti sono Valerie Masterson e Anthony Rolfe-Johnson. Ascoltiamo poi il Messia (non ancora composto), e i Concerti per organo. Le cronache dicono che Haendel fu un organista spettacolare, all'organo si divertiva e faceva divertire, spesso improvvisando; è un peccato che Tony Palmer e John Osborne sorvolino su questo aspetto. Si ascolta anche il controtenore (cioè falsettista) James Bowman, che rende incomprensibile tutto ciò che canta.
Qui finisce la prima ora del film.
 

A 1h03 , durante una recita di Admeto nel teatro del duca di Chandos nasce un litigio furioso tra le cantanti Francesca Cuzzoni e Faustina Bordoni. A 1h08 problemi di diritti d'autore: per "Israel in Egypt" fu contestato a Haendel di aver copiato da Stradella. Alessandro Stradella viene definito "obscure"; not so obscure, direi io, ma può darsi che Haendel abbia davvero detto così. A proposito di diritti d'autore, è da notare che Haendel fu davvero vittima di "pirateria" e si decise a far stampare le sue opere proprio per evitare che circolassero copie dei suoi spartiti non solo "pirata" ma anche malamente trascritti, quasi sempre a memoria. "Se rubo, rubo a me stesso" commenta Haendel anziano ricordando quel periodo; ed è vero, era prassi abbastanza comune per i compositori "riciclare" melodie, arie, scene, duetti. Anche Rossini "ruberà a se stesso", spostando ouvertures, intere scene e concertati da un'opera all'altra, e così faceva anche Haendel. Qui si poteva inserire "Lascia ch'io pianga", dal Rinaldo, che è appunto una delle melodie che Haendel ha "riciclato" più spesso, portandosela dietro fin da Hannover: è una melodia fra le più belle, e avrebbe fatto un bell'effetto. Nella scena per il processo in tribunale, a 1h09 Tony Palmer mette in scena un grammofono, in primo piano e in bella vista, per il momento in cui si dibatte sul presunto plagio da Stradella. Siamo quasi duecento anni prima dell'invenzione del fonografo di Edison, però la scena è divertente e ben costruita.

A 1h15 si parla del fallimento economico di Haendel a causa di investimenti sfortunati; la si associa alla "tassa sul tabacco di Walpole". Si parla anche della nascita della Royal Academy of Music, che Haendel (così si dice nel film) detesta perché ospita gli italiani: ancora Stradella e poi Giovanni Bononcini, qui detto Buononcini. A 1h17 si racconta della paralisi del braccio destro, forse favorita dall'antica ferita rimediata in duello a vent'anni. Haendel va ad Aix, alle terme, per cercare di porvi rimedio. Al ritorno a Londra comincia a scrivere oratori, "l'opera senza opera".
Ma nel 1741, dopo aver fatto rappresentare l'ultima delle sue opere liriche, "Deidamia", Haendel si congeda definitivamente dal museo delle antichità e compone il quattordicesimo dei suoi trenta Oratori: "Il Messia". Scrive Massimo Mila: «Abbandonando l'opera teatrale per l’oratorio sacro Haendel passava da un genere d’arte aristocratica a un’arte popolare, da un pubblico selezionato a vaste cerchie di ascoltatori ingenui e indiscriminati. Raccontando le storie della vita di Cristo e degli eroi biblici e invitando a meditarci sopra, Haendel sapeva di rivolgersi ad un'udienza che queste storie e queste figure aveva assimilate nella carne e nel sangue, laddove l’opera seria languiva gloriosamente tra le favole della mitologia antica, ad esclusivo interesse d'una società colta ma chiusa e in corso di decadenza ».
(Silvestro Severgnini, come sopra)
Vediamo quindi una nave per Dublino, con Haendel già molto malato; si ascoltano "Zadok the priest" (che per inciso è anche la sigla della Champions League di calcio, sia pure in un brutto arrangiamento) e un momento dal "Messia". La voce dolce di Emma Kirkby poco si adatta alle fiamme che Tony Palmer mette sullo sfondo; fiamme e cavalli al galoppo, a 1h24. Il fuoco è giustificato dal testo, il fuoco della Redenzione (But who may abide, aria dal Messia) però non direi che Palmer renda bene l'idea. L'oratorio avrà grande successo e ripagherà tutti i debiti di Haendel; però al ritorno dall'Irlanda, i vescovi lo accuseranno di blasfemia, proprio per il "Messia". A 1h28 vediamo e ascoltiamo Elizabeth Harwood in "I know that my Redeemer liveth", da "The Messiah".
 

Haendel comincia a sentirsi debole e malato, e decide di scrivere le sue ultime volontà; a 1h30 leggiamo il testamento di Haendel, che fu molto generoso verso tutti quelli che gli sono stati vicini. Haendel fu sempre generoso, guadagnò molto con il Messia e fondò un ospedale per i poveri di Londra (che Palmer rappresenta con scene tra Hogarth e Dickens) che esiste ancora oggi, però sotto un altro nome.

Haendel viene finanziato da Shaftesbury; soggiorna a Bath (importante stazione termale) ma la malattia è già troppo avanti. Qui si dice "God Rot Tunbridge Wells!" cioè "Dio maledica (faccia marcire, alla lettera) Tunbridge Wells": che è nel Kent, ma sul perchè questa frase sia stata scelta come titolo è cosa che mi sfugge. Intanto infuria la guerra, che Tony Palmer ci presenta in immagini con visioni del tipo che usa Werner Herzog nel finale di "Kaspar Hauser". Si accenna al duca di Cumberland, titolo che dal 1721 passò al figlio di re Giorgio II.
E' il momento dell'oratorio "Judas Maccabaeus" del quale Haendel (nel film) si dice poco convinto: "agli inglesi piace una musica con cui battere il tempo". Duetto di voci femminili che sembra Purcell (voluto?) molti primi piani sui tamburi di tipo militare; è Haendel, ma è anche la guerra in corso. A 1h37 Buxtehude nel ricordo diventa "Buxtewhohide". Arriva il momento di "Music for the Royal Fireworks" a Vauxhall, e nasce l'ospizio per bambini poveri.

A 1h40 l'operazione all'occhio sinistro, in un primissimo piano che si poteva evitare. Haendel ha 66 anni, si definisce il vecchio toro, Old Buck: il Toro era un suo soprannome di gioventù. L'operazione all'occhio è dolorosissima e non porta ai risultati sperati; Haendel è sempre più malato però compone l'oratorio "Jephte".
A 1h44 vediamo la rovinosa caduta da un calesse, che lo renderà parzialmente inabile a camminare.

Si accenna ai successi londinesi di Bononcini, Baldassarre Galuppi e Lampugnàn (il milanese Giovanni Battista Lampugnani, con la i finale, che fu a Londra nel 1743). A 1h46 si ascolta la famosa aria dal Serse, "Ombra mai fu" purtroppo affidata al falsettista James Bowman. A 1h50, con un pianoforte Steinway, Andrei Gavrilov suona la passacaglia dalla Suite n.7: un altro anacronismo (il pianoforte come quello che vediamo arriverà solo nell'800) ma tutt'altro che spiacevole e anzi ben inserito nella narrazione.
La sequenza finale è per la casa dove abitò Haendel e per gli altri luoghi haendeliani citati nel film, il tutto sulle note dell'Alleluia dall'oratorio "Messia".
In conclusione, direi che si tratta di un film interessante e con un'impostazione originale che non dispiace; però si poteva fare di più ed è un peccato. Per quanto riguarda me: a) cercarsi una buona biografia di Haendel (ma senza più la Ricordi a Milano, come si fa? almeno poter sfogliare il libro prima di portarlo a casa...) b) cercarsi altri film di Tony Palmer, oltre allo Shostakovic che vidi al cinema ha girato anche biografie di Purcell e Wagner, e altro ancora.

 

lunedì 19 dicembre 2016

Ezio Pinza


 
Ezio Pinza (romano, 1892-1957) è un altro nome leggendario nella storia dell’Opera. Le sue incisioni degli anni ’30 sono formidabili: per bellezza di voce, per tecnica, per interpretazione, e per l’estensione che va dalle note più profonde del basso fino agli acuti baritonali. Pinza fu un leggendario interprete del “Don Giovanni” di Mozart, anche per il fisico snello e la bravura come attore; nella parte finale della sua carriera si dedicò al musical, divenendo molto popolare in America (dove risiedeva da tempo) come interprete in teatro degli spettacoli musicali di Rodgers & Hammerstein. Su www.imdb.com ho trovato dieci film e programmi tv con Ezio Pinza, dal 1951 al 1954: aveva già passato i sessant’anni e purtroppo la voce ne risente. Come mi ha fatto ricordare l’amico Matteo Aceto, la voce di Pinza si ascolta anche in “Blues brothers” di John Landis: una canzone napoletana, “Anema e core”. La presenza di Pinza in quel film è probabilmente dovuta ad un suo show televisivo del 1951-52, in America. (qui sotto, Pinza è con Danny Kaye)
 
 
Rimane la curiosità verso i suoi film come attore, parzialmente visibili su youtube: purtroppo la voce non è più quella dei tempi migliori, peccato. Curiosando su www.imdb.com, ho visto che in “Parata di splendore” (“Tonight we sing”), Ezio Pinza interpreta il basso Fiodor Scialiapin, un altro leggendario cantante d’opera, più anziano di lui. Nella lista degli interpreti di quel film, diretto da Mitchell Leisen, oltre a Ezio Pinza troviamo il violinista Isaac Stern che interpreta Eugène Ysaye, il tenore Jan Peerce, il soprano Roberta Peters, e l’attrice Ann Bancroft, giovanissima, che vent’anni dopo diventerà un’icona del cinema con “Il laureato” di Mike Nichols.
Pinza fu un grande basso, sia in Verdi che in Mozart e in tutto il repertorio operistico, da Meyerbeer a Bellini e Rossini; le sue incisioni sono ancora oggi sono stupefacenti per bellezza e precisione, ma i suoi film sono degli anni ’50 e i dischi migliori sono degli anni ’20 e ’30: il tempo passa per tutti, e in casi come questi è davvero un peccato.
Questi sono i film e gli show per la tv americana girati da Ezio Pinza, secondo www.imdb.com :
1947 Sinfonie eterne
1951 Mr. Imperium
1951 Matrimonio all'alba
1952 The Ezio Pinza Show (TV Series)
1951-1952 Four Star Revue (TV Series)
1952 Robert Montgomery Presents (TV Series)
1953 Hollywood Opening Night (TV Series)
1953 Parata di splendore
1953 Bonino (TV Series)
1953 Season's Greetings (TV Movie)
General Foods 25th Anniversary Show: A Salute to Rodgers and Hammerstein (TV Movie)  Emile de Becque (segment 'South Pacific')


domenica 18 dicembre 2016

Tito Schipa


Tito Schipa (leccese, 1888-1965) interpreta 9 film tra il 1933 e il 1952. Pur essendo uno dei più grandi tenori di tutti i tempi, Schipa ha registrato solo un'opera intera: il Don Pasquale di Donizetti, nel 1932. Le sue registrazioni di singole arie, canzoni e scene d'opera sono comunque moltissime, ma è evidente che ogni filmato che lo riguardi diventa per forza di cose interessante. Oggi nessuno può più ricordarsi di Schipa in teatro nei suoi anni migliori, ma le testimonianze d'epoca parlano chiaro: "una voce che corre". Nel gergo degli appassionati di teatro, significa una voce non di grande volume, ma che "corre" con grande facilità per il teatro e che si ascolta nitidamente in ogni posto, anche il più distante. Chi c'era, dice che la voce di Schipa si ascoltava con grande facilità, nitida e chiara, anche all'Arena di Verona. Un tenore "di grazia" come dicono gli appassionati, ma con grande tecnica e grande sensibilità d'interprete; per quanto mi riguarda, trovo inarrivabili quasi tutte le sue registrazioni, mai inutilmente leziose, spesso molto drammatiche, mai superficiali.
Il tenore leccese, uno dei più grandi ed emozionanti nella storia dell’opera, di tecnica inarrivabile e di grande intelligenza come interprete (inarrivabile è probabilmente la parola giusta, in assoluto), era nato nel 1888 e morirà nel 1965; i suoi dischi sono tutti emozionanti, da non perdere; si consigliano soprattutto i più antichi, quelli degli anni ’20 e ’30, che lo vedono in perfetta forma.
Questo è l'elenco dei suoi film, dove appare come attore e dove recita piuttosto bene; sono film del tipo di quelli che si facevano per Beniamino Gigli, quindi mai dei capolavori ma comunque ben scritti e ben recitati, come è facile da capire anche solo leggendo i nomi dei registi, tutti ottimi professionisti del cinema. "Il cavaliere del sogno" è una biografia di Donizetti (già qui nel blog), dove protagonista è Amedeo Nazzari e dove Schipa interpreta brevemente un cantante, all'inizio del film, con scene in teatro; "Terra di fuoco" è invece molto drammatico e comincia con il povero Schipa condotto in prigione per omicidio, in Argentina. "Soho conspiracy", del 1950, è un film dove appaiono, interpretando se stessi, molti cantanti d'opera importanti; uno di loro è Schipa. Ecco i film girati da Tito Schipa:
Tre uomini in frac, regia di Mario Bonnard (1932)
Vivere!, regia di Guido Brignone (1937)
Chi è più felice di me!, regia di Guido Brignone (1938)
Terra di fuoco, regia di Giorgio Ferroni (1939)
In cerca di felicità, regia di Giacomo Gentilomo (1943)
Rosalba, regia di Ferruccio Cerio e Max Calandri (1944)
Vivere ancora, regia di Nino Giannini (1944)
Il cavaliere del sogno, regia di Camillo Mastrocinque (1946)
Follie per l'opera, regia di Mario Costa (1948)
I misteri di Venezia, regia di Ignazio Ferronetti (1950)
Soho Conspiracy, regia di Cecil H. Williamson (1950, remake Usa di Follie per l'opera)

Secondo www.imdb.com , Tito Schipa compare anche in "La opera del centenario" (1921), un documentario girato in Messico, e nel cortometraggio a suo nome "Tito Schipa" (1929) girato per la Paramount. Qui sotto, è in compagnia dell'attrice di cinema Caterina Boratto; nell'immagine a sinistra, è nel costume di scena del "Werther" di Massenet, opera di cui fu grandissimo interprete.


 

venerdì 16 dicembre 2016

Beniamino Gigli


I film per il cinema di Beniamino Gigli sono 24, dal 1935 di “Non ti scordar di me”, regia di Augusto Genina, fino al 1953 con la biografia di “Puccini”, regia di Carmine Gallone, protagonista Gabriele Ferzetti (fonte: www.imdb.com ). Gigli è stato uno dei più grandi tenori del Novecento, uno dei più grandi dell’epoca del disco; molti ancora oggi lo conoscono solo per l’ultima parte della sua carriera, nella quale incise molte canzoni (famosissima ancora oggi la sua interpretazione di “mamma, solo per te la mia canzone vola...”), e lo confondono con uno dei tanti cantanti melodici: ma questo è un errore, il successo con le canzoni fa parte delle cose secondarie, che riguardano le cronache dell'attualità di quel tempo più che la bravura del cantante. Gigli è stato un grande tenore, di quelli da leggenda, in teatro: e gli appassionati d’opera lo sanno molto bene.

Beniamino Gigli nasce a Recanati nel 1890, nel 1914 è già in carriera, nel 1918 debutta alla Scala (con il Mefistofele di Arrigo Boito), e poi prosegue interpretando tutti i maggiori ruoli operistici, sempre con grande tecnica e finezza interpretativa. Passati i quarant’anni, al culmine della fama in tutto il mondo, Gigli comincia a girare film come attore protagonista: sono quasi tutti film piacevoli, leggeri, non particolarmente memorabili, il classico genere di film costruito intorno a un personaggio famoso.

I registi e gli sceneggiatori di questi film sono spesso nomi di tutto rispetto nella storia del cinema italiano: come Augusto Genina, per esempio, che girò film d’azione rimasti famosi, e come Carmine Gallone. In questi film il grande tenore appare col suo normale aspetto fisico, cioè quello di un signore elegante, dal fisico un po’ appesantito, che nonostante tutto riesce a far innamorare qualche signorina molto più giovane di lui, eccetera. In altri film appare invece come tenore, o come cantante più o meno famoso, alle volte in palcoscenico. Gigli muore nel 1957; la sua carriera sarà il modello per Luciano Pavarotti, altro tenore di quelli grandissimi, che aveva un timbro di voce simile (ma la voce era nel complesso molto diversa) e che come Gigli cercherà di diventare popolare anche al di fuori del pubblico dell’opera, nella fase finale della sua carriera: ma con la tv e con la musica leggera, perché i tempi erano cambiati. Al tempo di Beniamino Gigli, infatti, la tv non c'era ancora o era appena agli inizi. Molti dei film di Gigli furono girati due volte, in versione tedesca e in versione italiana: era una prassi abbastanza comune agli inizi del cinema sonoro, per esempio furono girati due volte i primi film sonori di Fritz Lang (Il Dottor Mabuse, 1933) e il Dracula più famoso, quello del 1931 (inglese e spagnolo) con interpreti diversi tranne che per i ruoli principali.
Nel dettaglio, questi sono i film interpretati da Beniamino Gigli:
Non ti scordar di me, regia di Augusto Genina (1935) (girato in due versioni, tedesca e italiana)
Sinfonie di cuori, regia di Karl Heinz Martin (1936)
Ave Maria, regia di Joannes Riemann (1936)
La canzone del cuore (1937) Karl Heinz Martin
Mutterlied (1937) Carmine Gallone
Giuseppe Verdi, regia di Carmine Gallone (1938)
Solo per te, regia di Carmine Gallone (1938)
Marionette, regia di Carmine Gallone (1939)
Casa lontana, regia di Johannes Meyer (1939) (girato in due versioni, tedesca e italiana)
Der Trichter (1939) cortometraggio
Ritorno, regia di Géza von Bolvary (1940)
Traummusik, regia di Géza von Bolváry (1940)
Mamma, regia di Guido Brignone (1941)
Vertigine, regia di Guido Brignone (1941)
Silenzio, si gira!, regia di Carlo Campogalliani (1943)
I pagliacci, regia di Giuseppe Fatigati (1943) (girato anche in versione tedesca)
Voglio bene soltanto a te, regia di Giuseppe Fatigati (1946)
Follie per l'opera, regia di Mario Costa (1949)
Una voce nel tuo cuore, regia di Alberto D'Aversa (1949)
Taxi di notte, regia di Carmine Gallone (1950)
Soho Conspiracy, regia di Cecil H. Williamson (1950)
Puccini (1954) regia Carmine Gallone
(ci sono film che figurano due volte nell'elenco, per esempio "Soho Conspiracy" è un remake di Follie per l'opera, che riprende dal film italiano le sequenze con i cantanti d'opera)  (alcuni di questi film sono già qui nel blog; per il resto, spero di non aver fatto troppi errori ricopiando le liste e integrandole con qualche dato...)