sabato 12 novembre 2016

Le voci bianche (1964)


 
Le voci bianche (1964) Regia di Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa. Scritto da Luigi Magni, Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa. Consulenza storico musicale di Alfredo Bianchini. Fotografia di Ennio Guarnieri (technicolor). Montaggio di Ruggero Mastroianni. Musiche di Gino Marinuzzi jr. Scene e costumi di Pierluigi Pizzi. Aiuto costumista Pierluigi Samaritani. Interpreti: Paolo Ferrari, Anouk Aimée, Vittorio Caprioli, Claudio Gora, Graziella Granata, Philippe Leroy, Jacqueline Sassard, Barbara Steele, Sandra Milo, Leopoldo Trieste, Jean Tissier, Alfredo Bianchini, Francesco Mulè e molti altri. Durata: 1h 43'

Un film davvero pessimo, nonostante la presenza di molti bravi attori e attrici. Più che altro irrita la superficialità con cui si tratta il tema, non scusabile nemmeno nel 1964; il "divertimento" è legato più che altro ai travestimenti da donna, all'effeminatezza, alle battute sul sesso: so che a qualcuno basta, ma la verità storica è una tragedia e un'infamia e non mi sembra il caso di riderci sopra, tanto più che si tratta di vere e proprie castronerie più che di castrati (chiedo scusa per il gioco di parole).
La storia dei cantanti castrati è terribile, ed è durata quasi fino ai giorni nostri: l’ultimo cantore evirato, Domenico Moreschi, ha fatto in tempo ad incidere un disco, agli albori della registrazione sonora. Cent’anni fa Moreschi era già anziano e la registrazione vale solo come testimonianza, la sua voce ormai era molto precaria; la cosa che fa impressione è che i cantanti come lui sono durati fino all’Unità d’Italia, nel 1870 lo Stato Pontificio aveva ancora cantori evirati, e si tratta di Roma, del Papa. Non sto qui a fare tutta la loro storia, che occuperebbe un volume intero: per indicarne l’orrore basterà dire che l’operazione andava fatta prima della muta della voce, cioè su bambini di 10-12 anni. Il senso dell’intervento era questo: evitare la muta della voce, mantenere anche da adulti un timbro di voce simile a quello delle donne, e questo soprattutto perché alle donne era vietato cantare in chiesa. Una donna in chiesa era considerata peccaminosa, un uomo evirato da bambino no: erano altri tempi, si dirà, e la vita di un bambino valeva poco.
Non è detto che l’operazione andasse a buon fine: nei casi migliori, il cantante evirato faceva forse una vita migliore dei suoi coetanei, che in quei tempi morivano precocemente di fame e di malattie; e alcuni dei “castrati” fecero davvero grande carriera anche in teatro, nel Settecento, diventando vere e proprie star, richiestissimi in ogni teatro d’Europa. Ma tutto questo a me fa impressione lo stesso: gli ultimi castrati, in teatro, cantarono nel primo Ottocento, poi il gusto cambiò, e – soprattutto – era arrivata la Rivoluzione Francese, stava cominciando il mondo come lo conosciamo oggi.

 
Gli ultimi castrati famosi risalgono ai tempi di Mozart e di Rossini, e di Meyerbeer: ma nessuno di questi compositori scrisse mai volentieri per loro, preferendo altre voci. La leggenda del “do di petto” nasce proprio dalla fine dell’epoca dei castrati: nel primo Ottocento i tenori seguendo il loro esempio eseguivano ancora gli acuti più estremi in falsetto, e il primo tenore che emise quelle note a voce piena fece scalpore. L’epoca d’oro per i castrati (è un termine di cui mi scuso, ma è quello comunemente usato dai musicologi) fu quella di Haendel, la prima metà del Settecento; e oggi le parti scritte per castrato vengono comunemente eseguite da donne, senza troppa fatica. Del resto, già Haendel (che a Londra fu impresario teatrale) scritturava senza problemi sia donne che castrati, a Haendel interessava solo che cantassero bene, dato che la partitura rimaneva invariata.
Nel cinema, quando si vede un castrato (cantante maschio con voce di timbro femminile) si passa da un eccesso all’altro, dalla caricatura becera in chiave checca (in "Le voci bianche") fino al tombeur de femmes (in "Farinelli voce regina"), ma i castrati non erano omosessuali o effeminati, erano persone come le altre; ci saranno sicuramente stati omosessuali ed effeminati tra di loro, ma questo accadeva nella stessa percentuale del resto della popolazione. Dal punto vista musicale, con questi film siamo quasi sempre in chiave commedia degli orrori, sia con Festa Campanile che con i francesi di “Farinelli voce regina”, che mischiarono al computer due voci, una femminile e una di un maschio che canta in falsetto, per cercare di riavere la voce del vero Farinelli, come se si trattasse di mostruosità – ma invece bastava rivolgersi ad una voce di donna, a una voce naturale, ai dischi di Marilyn Horne, di Bernadette Manca di Nissa, di Nathalie Stutzmann, ad Ann Hallenberg, o magari a Sara Mingardo o alla sublime Kathleen Ferrier...

Incontriamo falsettisti e castrati anche nei film romaneschi d’epoca, quelli di Sordi e di Celentano degli anni ’70 (cantanti sempre pessimi e grevemente caricaturali: non si capisce perché mai gli ascoltatori li ascoltino rapiti invece di prenderli “a calci ner culo”, per usare il linguaggio del Marchese del Grillo), e anche nel Casanova di Fellini (1976), dove però tutto appare più sensato, perché il padrone di casa ama i travestimenti, e dove la musica è un abile e dichiaratissimo falso.
A questo punto mi scuso per la crudezza, ma non posso cambiare la Storia, che purtroppo è andata davvero così. La prima castroneria di "Le voci bianche" è che gli evirati non facevano solo ruoli femminili, ma anche eroici e storico-mitologici (Serse, Alessandro...), la seconda è che l'evirazione fatta da adulti non cambia il timbro di voce, è una leggenda senza alcun fondamento. L'evirazione veniva fatta sui bambini, e serviva per impedire la muta della voce, cioè per preservare la voce bianca, da bambino. Non è affatto detto che l'operazione andasse come sperato, e molti non avevano voce, dopo. In ogni caso, per cantare è necessario studiare musica e fare lunghi esercizi: sembra una banalità, ma se provate a guardare "Le voci bianche"...
C'è comunque nel film un Enea con Didone (Didone è la Milo), dove Enea ha voce da soprano; almeno in questo ci si avvicina alla realtà storica.


La didascalia che apre il film, e che peraltro scorre molto veloce, è un assemblaggio di grossolanità e superficialità: la riporto qui per intero. «I musici, come li chiamava Benedetto Marcello, i canori elefanti come li chiamava il Parini, i castrati come si chiamavano da sè, ebbero una grande importanza nell'opera italiana del '700. La "pratica" cui venivano sottoposti dava alla loro voce un timbro femminile di rara bellezza. Nascevano in genere da umili genitori che li vendevano a istituzioni musicali. Alla fine del XVII secolo (17mo) un editto, per salvaguardare la morale, vietò alle donne di recitare in teatro: i castrati ne presero il posto e divennero le dive contese di un secolo d'oro per l'arte.» Come spiega bene Angus Heriot nel libro "I castrati nel teatro d'opera" (e non solo Heriot ma anche tutti i musicologi seri) non è affatto detto che l'operazione garantisse una voce "di rara bellezza". Molti bambini che l'avevano subita rimasero solo dei poveri disgraziati. Inoltre, l'operazione fatta su un adulto non va a toccare le corde vocali, che rimangono tali e quali, cioè con voce virile, anche dopo la "pratica" come la si chiama nella didascalia. Terzo punto, e direi fondamentale, non è che l'operazione garantisca anche un'immediata conoscenza della musica, della tecnica di emissione e degli stili musicali... Insomma, siamo di fronte a una barzelletta molto grossolana, degna antecedente dei film di Pierino e di Lino Banfi. Spiace che siano coinvolti in questo film attori bravi e di grande professionalità; ed è comunque molto bravo Vittorio Caprioli nella scena drammatica del suicidio. Per il resto, il film è pieno di "frocerie" e di caricature di omosessuali molto di maniera e quasi sempre del tutto ingiustificate. Come è evidente, un uomo adulto (Paolo Ferrari è sui trent'anni) rimane se stesso anche dopo quell'intervento, sia nella voce che nel carattere che nelle preferenze sessuali.


Il film ha qualche pregio nella ricostruzione della Roma secentesca o settecentesca, dovuta alla presenza di Luigi Magni tra gli autori; Luigi Magni continuerà con questo filone nei suoi film come regista in proprio successivi a questo. Qui purtroppo prevale un umorismo da caserma, molto grossolano, che può anche piacere ma che ha poco a che vedere con la musica. Stupisce che il Morandini ne parli bene, ma va detto che nel 1964 questo repertorio e questo periodo storico non avevano ancora ricevuto il necessario approfondimento. In ogni caso, tutte le recensioni in rete che ho trovato mostrano una totale mancanza di conoscenza sull'argomento; spero che ce ne sia qualcuna ben fatta, ma immagino che gli appassionati d'opera e i musicologi seri se ne siano stati molto lontani da "Le voci bianche" e da Pasquale Festa Campanile. Porto qui questo film solo per completezza, e anche per il fastidio di non aver mai trovato una recensione fatta come si deve. Questo film circola ancora in televisione, il rischio di diffondere falsità e luoghi comuni è sempre  molto elevato.
Alfredo Bianchini (1922-2001) è stato attore di teatro e di cinema, e cantante nel teatro dialettale fiorentino; non saprei dire che tipo di competenze avesse per essere "consulente storico musicale", al punto che ho pensato a qualche omonimia. Però c'è un Alfredo Bianchini nel cast, penso proprio che si tratti sempre della stessa persona. In ogni caso, forse era meglio consultare un medico prima di cominciare a fare il film (urologo, andrologo, otorinolaringoiatra, sempre meglio che andare in giro a diffondere stupidaggini).
Nel corso del film si vedono rappresentazioni d'opera, ma non è indicato da nessuna parte di che cosa si tratta. C'è una specie di intermezzo, una scena da Didone ed Enea, un'altra opera ancora, ma è difficile capire di che cosa si tratti. Ci sono anche cori di bambini, questi sì voci bianche.



(copio e incollo dal mio blog deladelmur)
"Opera proibita" è il titolo dell'ultimo cd di Cecilia Bartoli; si riferisce al fatto che l'opera lirica, a Roma, fu per lungo tempo proibita alle donne. Siamo nel 1700, trecento anni fa: i papi dell'epoca vietarono sia l'opera lirica (sostituita dagli "oratori" su soggetto sacro, da eseguire in forma di concerto) sia il fatto che nei concerti intervenissero interpreti di sesso femminile.
Come spiega bene la Bartoli in un'intervista, " Quando Haendel ebbe la prima del suo oratorio "La Resurrezione" a Palazzo Bonelli, residenza dell'allora marchese Ruspoli, ci furono dei problemi. Si vide entrare, nei panni della Maddalena, la cantante Margherita Durastanti, e a quei tempi le donne artiste non erano viste di buon occhio. Tanto che si racconta di un'ammonizione di "Sua Beatitudine". In conseguenza di ciò, alle recite successive l'interprete femminile fu sostituita da un sopranista castrato. (...)."
In questo disco, Cecilia Bartoli interpreta per l'appunto alcune delle arie che, all'epoca dell'arrivo del giovane Haendel a Roma (1706) una donna non avrebbe mai potuto cantare in pubblico. E' una cosa che può fare impressione (a me ne fa ancora tanta), ma in quell'epoca le voci dei cantanti "castrati" erano considerate normali, e per la Chiesa di Roma far cantare una donna era fonte di peccato, mentre far castrare dei bambini per poterli far cantare da soprano era cosa normale e preferibile all'avere una donna cantante... Eh già, perché il punto è questo, e chi conosce un po' la storia della musica lo sa: per far cantare un adulto con voce da soprano è necessario castrarlo da bambino, prima della muta della voce; e così si faceva, col beneplacito di papi e cardinali (ma poi non è detto che l'operazione andasse a buon fine, in senso artistico: e c'erano molti disgraziati castrati da piccoli senza purtroppo aver potuto poi diventare cantanti da adulti). I compositori si adattavano, trovavano dei bravi cantanti (a volte eccellenti) e li scritturavano, in alternativa alle donne, usando di volta in volta, secondo le esigenze del momento, donne o castrati: perché la scrittura musicale non cambia, si tratta sempre di soprani e di contralti e il pentagramma non fa distinzioni di sesso.
Era il gusto del tempo, e ci sono rimasti molti grandi capolavori (di Haendel, di Gluck, di Scarlatti...) in cui il protagonista è maschile, magari un Giulio Cesare o un Nerone, ma canta con voce da soprano o da contralto: un effetto straniante al quale ci si abitua anche oggi, perché è chiaro da subito che questo genere di teatro ha ben poco a spartire con il mondo reale, ma si nutre di musica e di sogni. Poi i gusti sono cambiati, grazie soprattutto all'opera buffa, che prediligeva le voci "normali e quotidiane"; e già Mozart alla fine del Settecento smette di scrivere per i castrati, che pure ancora circolavano per i teatri. E poi arriverà l'Ottocento, con l'avvento delle voci di tenore e di baritono, e dei castrati si perderà quasi la memoria. In teatro, però: perché nella Cappella Sistina continueranno a cantare i castrati, e l'ultimo di loro (il Moreschi) farà in tempo a incidere dei dischi, cent'anni fa.
Beh, ormai è storia, questi incubi appartengono al passato e oggi, per nostra grande fortuna, se qualcuno provasse a ripetere quell'operazione su un bambino finirebbe in un manicomio criminale; ma io penso a quante critiche si è preso papa Giovanni Paolo II, negli anni scorsi, per aver osato chieder scusa degli errori della Chiesa. E' stato un atto dovuto, e molto coraggioso perché si presta a letture stupide e maligne, quasi che chiedendo scusa degli errori si metta in discussione anche tutto il buono che è stato fatto... Anche Papa Wojtyla ha fatto qualche scelta discutibile, nel suo pontificato; ma per questa sua richiesta di scuse a quanti hanno subìto del male per via di quante volte ci siamo discostati, noi cristiani, dal messaggio di Cristo ( quello vero, quello che è scritto a chiare lettere nei quattro evangeli, rimasti immutati in questi duemila anni eppure spesso non letti o interpretati a capocchia) , per il suo abbraccio con il rabbino di Roma, per i suoi incontri con le altre religioni, mi permetto di unirmi al coro di chi lo vorrebbe Santo, e magari subito.
Giuliano 27 ottobre 2005
(le immagini del film le ho recuperate in rete, ringrazio coloro che le hanno rese disponibili; le immagini del Senesino e di Nicola Grimaldi vengono da riviste che si occupavano di musica e da programmi di sala)

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