mercoledì 5 ottobre 2016

Pagliacci (1943)


"Pagliacci" (1943) regia di Giuseppe Fatigati. Scritto da Harald Bratt e Cesare G. Viola Fotografia di Fritz Arno Wagner. Musica di Ruggiero Leoncavallo, Bellini, Luigi Ricci. Interpreti: Carlo Romano (Leoncavallo), Alida Valli (la figlia di Canio), Paul Hörbiger (Canio), Karl Martell (il giovane marchese) Dagny Servael (contessa Valmondi), Adriana Perris (Nedda) Cantanti: Beniamino Gigli, Adelio Zagonara, Leone Pacci, Mario Boviello, Adriana Perris (?) Direzione d'orchestra: Werner Pledath (forse) Willy Schmidt-Gendtner. Durata: 1h10'

"Pagliacci" di Giuseppe Fatigati non è l'opera in sè ma una ricostruzione, peraltro ben scritta, dell'origine dell'opera. Il padre di Ruggiero Leoncavallo era un magistrato napoletano che operava in Calabria, dove si trovò a giudicare un omicidio del quale era stato disgraziatamente testimone diretto proprio suo figlio: « ...la trama gli è stata ispirata da un fatto di cronaca nera, da lui vissuta in prima persona quand'era ancora ragazzo. Risiedeva allora in Calabria, a Montalto Uffugo, dove suo padre magistrato era presidente del tribunale e, come tale, giudicherà e condannerà a venti anni di carcere il protagonista della vicenda di sangue. Al termine di una rappresentazione data in una festa d'agosto da una compagnia di saltimbanchi girovaghi era avvenuto un duplice omicidio. Un pagliaccio, appena scoperta l'infedeltà della moglie, aveva ucciso a coltellate prima lei e poi, sulla piazza del santuario, l'amante della moglie: un domestico di casa Leoncavallo che stava accompagnando a passeggio il giovanissimo Ruggiero. Il quale, un quarto di secolo dopo, risuscita per le scene il truce "dramma della gelosia"; parole e musica di marca Leoncavallo, perché il maestro ha sempre coltivato, insieme alla musica, la letteratura. (...) » (Silvestro Severgnini, programma di sala della Scala, stagione 1980/81)

Nel film ci si immagina Canio che torna a casa dopo aver scontato vent'anni di galera, mite e pentito, e trova la figlia (Alida Valli) ormai ventenne, adottata da una ricca signora e ignara del suo passato, prossima alle nozze con un ancor più ricco e giovane marchese, ufficiale di cavalleria. Sarà il non ancora famoso Ruggiero Leoncavallo, amico di famiglia, a raccogliere lo sfogo dell'ormai anziano Canio, e a condurre a buon fine la vicenda; nel frattempo scrive l'opera che lo renderà famoso e che rappresentata nel finale del film, come l'Amleto o quasi ("la morte di Gonzago"), renderà cosciente la giovane donna del suo dramma di quand'era bambina. Ma Canio, commosso, non vuole essere d'impiccio: le dirà che no, che lei non è sua figlia, che la ricorda tanto ma non è lei, sua figlia morì. Si allontana per sempre, lascia che la figlia segua il suo destino felice, e qui finisce il film. Non so cosa dire sulla verità storica di ciò che vi si racconta, e non ricordo di aver mai letto notizie sulla sorte del vero Canio dopo i vent'anni di prigione; può darsi però che negli anni '20 o '30 ci siano state cronache che raccontavano questa storia, o qualcosa di simile a cui ispirarsi.
Leoncavallo è affidato all'ottimo Carlo Romano, attore in numerosi film ma che tutti conoscono per la voce, anche senza sapere il suo nome: una voce facilmente riconoscibile per la sua intensa attività di doppiatore, voce calda e simpatica che appare in quasi tutti i film americani degli anni '50 e '60, famosissima soprattutto per Fernandel (tutti i film di Don Camillo) e per i "messicani" dei film di Sergio Leone. Una voce duttile e inconfondibile, e anche un attore molto bravo, come si vede qui. Alida Valli stava per diventare, o forse lo era già, una delle grandi dive del cinema italiano, prossima a diventare diva internazionale (in Francia e negli Usa, dove resterà famosa per "Il terzo uomo" con Orson Welles e Joseph Cotten); era non solo bellissima ma anche molto brava, e reciterà ancora per quasi cinquant'anni dopo questo film, a dimostrazione del fatto che quando si è brave si può recitare a qualsiasi età, e a smentita del luogo comune (molto ripetuto) sulle donne al cinema.


Tutti gli altri attori sono tedeschi, e di loro non è rimasta memoria nel cinema italiano; va detto che sono tutti molto bravi e molto convincenti. Per la precisione, Paul Hörbiger è Canio, Dagny Servaes è la contessa Valmondi (madre adottiva di Alida Valli nel film), Karl Martell è il marchese Lanzoni, cioè il giovane ufficiale che sposa Giulia (nome di Alida Valli nel film). I doppiatori non sono indicati.
Nel cast c'è Beniamino Gigli, che si vede a teatro nel suo ambiente naturale, il palcoscenico. Le riprese in teatro sono molto belle, penso che sia uno dei pochi documenti che mostrano Beniamino Gigli durante una recita: ovviamente, si tratta di Canio e dei Pagliacci. Gigli interpreta il tenore Morelli, ma i Pagliacci ebbero la loro prima con un altro tenore, e a Milano. Beniamino Gigli interpreta anche musiche di Bellini (La sonnambula, "prendi l'anel ti dono", ancora in scena) e una canzone da brindisi di Luigi Ricci (probabilmente il curatore delle musiche per questo film, e non il musicista napoletano autore col fratello Federico di "Crispino e la comare", 1850 su libretto di Piave). Le notizie sulla direzione d'orchestra e sugli altri cantanti sono piuttosto precarie, in particolare è difficile distinguere fra attori e cantanti.
 

La prima dei Pagliacci avvenne a Milano nel 1892 al teatro Dal Verme; direttore d'orchestra Arturo Toscanini, ne furono interpreti Fiorello Giraud, Adelina Stehle e Victor Maurel, il grande baritono francese che fu il primo Falstaff per Giuseppe Verdi.
Il regista Giuseppe Fatigati, nativo di Terracina, 1906-75, ha al suo attivo molti film fra regia e aiuto regia, realizzati dal 1931 al 1949. Fatigati si dimostra un buon regista, "Pagliacci" è un bel film; fu girato nel 1943, una data davvero incredibile con tutto quello che stava succedendo.



Le immagini che porto qui le ho trovate in rete, e quindi ringrazio chi le ha messe a disposizione. Faccio solo notare una cosa: sono immagini per natura promozionali, quindi gratuite. Barrarle o mettervi sopra il proprio nome non mi sembra elegante, tanto più che molti bloggers (io compreso) hanno messo a disposizione di tutti materiali e immagini senza fare tante storie. Un conto è il rispetto del copyright, che è sacrosanto, un altro è mettere il proprio nome su cose che non sono nostre. Le immagini e i testi che io ho portato su internet da dieci anni in qua sono state scelte per invogliare a vedere e a leggere, e ad ascoltare, e magari comperare l'originale. Questo era lo spirito originale di internet, la condivisione. Oltretutto, sperare di fare soldi con le immagini di un film di sessanta o settant'anni fa, per di più sulla vita di Leoncavallo, mi sembra davvero puerile.

 

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