domenica 2 ottobre 2016

Fitzcarraldo

 

Fitzcarraldo (idem, 1982) Scritto e diretto da Werner Herzog. Fotografia: Thomas Mauch. Musica di Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Vincenzo Bellini, Richard Strauss. Musiche originali: Popol Vuh. Interpreti: Klaus Kinski, Claudia Cardinale, José Lewgoy, Miguel Angel Fuentes, Paul Hittscher, Huerequeque Enrique Bohorquez, Grande Otelo, Peter Berling, David Pérez Espinosa, Milton Nascimento, Ruy Polanah; tribù amazzoniche Ashininka-Campa del Rio Tambo e Machiguengas del Rio Camisea. Durata:158 minuti

del film per intero ho scritto sul blog giulianocinema ; qui riporto la parte dedicata alla musica.

Werner Herzog costruisce Fitzcarraldo intorno al mito di Enrico Caruso, il che può sembrare ben strano per un film ambientato in Amazzonia. Ma così è, e il film è pieno di musica.
Quando si inizia, il protagonista (Klaus Kinski, cioè Brian Sweeney Fitzgerald, detto “Fitzcarraldo” dagli indigeni) ha remato sul fiume due giorni e due notti per giungere a Manaus, dove è stato costruito un magnifico teatro d’opera (c’è ancora) e dove sta per esibirsi Enrico Caruso. Giunge in ritardo, non vorrebbero farlo entrare, ma poi la maschera cede e così Fitzcarraldo, con la sua compagna Molly (Claudia Cardinale) può assistere al finale dell’Ernani di Giuseppe Verdi.


 

Caruso muore nel 1921, e quindi siamo ad inizio Novecento. Herzog mette in scena una curiosità storica: accanto a Caruso, sul palcoscenico, non c’è la cantante (che è nascosta in mezzo all’orchestra) ma l’attrice francese Sarah Bernhardt. Due attrazioni al prezzo di una, verrebbe da dire: un bel pasticcio che però piace. Ma Caruso è in piena voce, mentre la Bernhardt (che Herzog fa interpretare da un mimo) si è già trascinata per tutto l’Ottocento, è vecchia e stanca, e a questo punto della sua vita le manca anche una gamba. E infatti vediamo Caruso che, temendo che possa cadere mentre avanza verso di lui dal fondo del palcoscenico, le va incontro e la sostiene. Nel suo commento al film, Herzog confessa che al tempo in cui fu girato il film non aveva esperienza di regia operistica, e perciò si affidò all’amico Werner Schroeter: quello che vediamo in quest’allestimento dell’Ernani è dunque (fate voi) colpa o merito di Schroeter, compresa la Bernhardt en travesti. In seguito, Werner Herzog allestirà veramente opere liriche in teatro, con risultati più che buoni: ricordo un Lohengrin (di Wagner) in Germania, e una Giovanna d’Arco (di Verdi) allestita a Bologna.

 
Non è la voce di Caruso quella che stiamo ascoltando, è quella di Veriano Luchetti; e stiamo assistendo al finale dell’Ernani di Giuseppe Verdi (1844) in un’ottima versione, dove oltre al tenore Luchetti cantano Mietta Sighele e il basso Dimiter Petkov. Un cast di tutto rispetto, tre cantanti che riempivano normalmente i teatri negli anni 80. Un po’ più anonima, ma di buon livello, l’orchestra: la Filarmonica Veneta diretta da Giorgio Croci. Tutti quelli che vedete in questa scena sono attori, e non cantanti: ben scelto per somiglianza fisica l’attore che interpreta Caruso, mentre la cantante inquadrata per un attimo nella fossa orchestrale non è Mietta Sighele e nemmeno le somiglia. Sarah Bernhardt, poveretta, è invece interpretata da un mimo: un uomo, che ne fa una versione caricaturale. Purtroppo per noi, temo che non fosse molto lontano dalla verità – ma di Sarah Bernhardt ci è rimasto ben poco.
La vera voce di Caruso si ascolta più avanti, per sette volte nel corso del film; e sono incisioni effettuate tra il 1902 e il 1906, come specificano i titoli di testa. In ordine di apparizione:
1) Leoncavallo, i Pagliacci (quando Fitzcarraldo è con i bambini) 2) Meyerbeer, L’Africana (al ricevimento) 3) Massenet, Manon : nel fiume, la romanza “sparata” contro gli indios 4) Verdi, Rigoletto: il quartetto “Bella figlia dell’amore”, ancora contro gli indios. 5) Puccini, La Bohème: “O Mimì tu più non torni”, il duetto che apre l’ultimo quadro, per la salita della nave lungo la collina. 6) Ancora “Bella figlia dell’amore”, per il varo della nave all’altro capo della collina. 7) “Lucia di Lammermoor” di Donizetti, per la discesa delle rapide, alla deriva, dopo che gli indios hanno tagliato gli ormeggi.

Herzog sembra divertirsi molto, nella scelta di questi brani. Per chi non conosce l’opera, traduco le battute di spirito di Herzog: l’opera di Meyerbeer si riferisce a Vasco de Gama e ai suoi viaggi, e dice: «O nuovo mondo, tu m’appartieni»; nell’aria di Massenet, nel bel mezzo del fiume, quando gli indios si acquattano minacciosi nella foresta vergine, Fitzcarraldo fa cantare al delicato cavaliere settecentesco Des Grieux l’aria in cui l’innamorato si immagina di vivere con la sua Manon in una casetta piccola piccola, ma tanto felice. E, nel finale, quando la nave è ormai ingovernabile e alla mercè delle correnti del fiume, sceglie il concertato dalla Lucia di Lammermoor: che inizia con le parole “Chi mi frena in tal momento” (ma Herzog, con una piccola finezza, parte dalla strofa successiva e queste parole non si sentono).
 

Fitzcarraldo non riuscirà a costruire il teatro a Iquitos, ma riuscirà a portarvi una vera compagnia operistica, orchestra compresa: è il finale del film. L’opera è “I puritani” di Vincenzo Bellini, il concertato che segue “A te o cara”. E’ una buona esecuzione di un’opera molto impegnativa, eseguita da musicisti che non conosco: l’Orchestra Sinfonica del Repertorio, di Lima, e la Camerata Vocale Orfeo, direttore Manuel Cuadro Barr; cantanti Isabel Jimenez de Cisneros, Liborio Simonella, Jesus Goiri, Christian Mantilla.
 

La partenza della nave e la risalita del fiume, con i meravigliosi notturni amazzonici, sono accompagnate dalle note di “Morte e Trasfigurazione”, un poema sinfonico del bavarese Richard Strauss scritto nel 1889: non va confuso con gli Strauss viennesi, con i quali non ha niente da spartire.
Si ascolta anche della musica originale, scritta apposta per il film, che è stata composta dal gruppo tedesco dei Popol Vuh, molto gradevole, di ispirazione vagamente etnica. “Popol Vuh” è il titolo di uno dei pochissimi testi americani precolombiani giunti fino a noi; fu scelto dal musicista tedesco Florian Fricke, amico e abituale collaboratore di Herzog, al tempo di “Aguirre furore di Dio”.
Quello che vediamo nel film è il vero Teatro dell’Opera di Manaus, che era stato da poco restaurato. Anche il grande sipario, molto bello, è quello originale. Nel commento di Lucki Stipetic (fratello di Herzog e produttore dei suoi film) si dice che il teatro di Manaus, costruito nel 1902 quando la città era ancora un piccolo villaggio, rimase in stato di abbandono per quasi cinquant’anni, perché il boom del caucciù durò poco. Ma, finché girarono i soldi, ai cantanti e musicisti venivano dati ingaggi favolosi, e si voleva rivaleggiare con l’Europa quanto a lusso e sfarzo.

 
 
E’ sempre Stipetic a raccontare (senza fare esplicitamente i nomi) la storia delle registrazioni musicali che ascoltiamo nel film: nella prima, l’Ernani di Giuseppe Verdi, ci si rese conto che costava meno registrare appositamente la scena piuttosto che pagare i diritti per una registrazione già esistente; fu così che il finale dell’Ernani venne registrato in Italia, e l’intenzione era quella di far recitare nel film i cantanti veri, quelli che avevano fatto la registrazione. Ma il tenore e il soprano (moglie e marito) si rifiutarono di recitare quando vennero a sapere che la parte di Elvira sarebbe stata affidata a un travestito. Invece il basso dovrebbe essere il vero Dimiter Petkov: non saprei riconoscerlo di persona, ma così dicono i titoli di testa.
La registrazione dei “Puritani” di Bellini, quella che si ascolta e si vede nel finale, fu invece registrata a Lima, sempre appositamente per il film.
 

Per finire, un brano da “La conquista dell’inutile” di Werner Herzog (ed. Oscar Mondadori), il diario tenuto da Herzog durante la preparazione e la lavorazione di Fitzcarraldo, pubblicato solo nel 2004.
« Da quando ho accompagnato Walter e Gustavo all'aereo per Lima la casa è quasi vuota: Henning dipinge dei bozzetti, io ascolto musica, qualcuno dà da mangiare del pesce all'ocelot; si potrebbe essere tentati di pensare che questa è la pace. Luciano, il nostro domestico indio, mentre puliva il pavimento si sforzava di cantare il brano della Geistliche Chormusik di Schütz: «Un grido giunse dalle montagne, Rachel piangeva i suoi bambini e non poteva essere consolata perché per loro non c'era più speranza». Luciano è un uomo silenzioso, che riesce sempre a rendersi invisibile, e io nutro un grande affetto per lui. Nell'atrio dell'aeroporto un colibrì ferito svolazzava sul pavimento liscio, non riusciva più a sollevarsi in aria. Quando le forze lo hanno abbandonato, i giovani lustrascarpe gli hanno dato dei colpetti con i piedi e il colibrì è scivolato lungo il pavimento seguendo una traiettoria confusa e disordinata.» (op.cit., pag.39)
L’ocelot, un grosso gatto selvatico (o, piuttosto, un leopardo piccolo) lo si vede all’inizio di Fitzcarraldo: ha l’onore di un primo piano quando Klaus Kinski lo fa volare via dall’amaca quando arriva da lui Claudia Cardinale. Ma, piuttosto, ecco la musica che Herzog ascoltava mentre preparava Fitzcarraldo: Heinrich Schütz, 1585-1672, uno dei grandissimi nella storia della musica, il tramite fra Monteverdi e Johann Sebastian Bach, tra il Vespro della Beata Vergine e la Johannespassion. Musica sacra, ad altissimo livello: i cd della “Geistliche Chormusik” li ho anch’io, ed è musica magnifica, a tratti perfino sconvolgente, degna di Michelangelo e della Cappella Sistina. Nel suo diario, fatto di appunti casuali e spesso disordinati, Herzog racconta di essersi portato dietro – in Amazzonia – un registratore a cassette: non solo musica sacra, ma anche Vivaldi, Mozart, gli jodler alpini, insomma tutta la musica che ascoltiamo quando vediamo i film di Herzog. Ma Schütz nella colonna sonora di Fitzcarraldo non c’è, per questa impresa tra acqua e fango era certamente più adatta la voce di Enrico Caruso.



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