sabato 1 ottobre 2016

Don Giovanni (Losey)


Don Giovanni (1979) Regia di Joseph Losey. Libretto di Lorenzo da Ponte, Musica di Wolfgang A. Mozart. Prodotto da Rolf Lieberman. Adattamento di Joseph Losey. Fotografia: Angelo Filippini, Gerry Fischer. Interpreti: Ruggero Raimondi, José van Dam, Teresa Berganza, Edda Moser, Kiri Te Kanawa, Malcolm King, John Macurdy, Kenneth Riegel, Eric Adjani (185 minuti)

Un’altra impresa impossibile, una scommessa che però viene vinta in gran parte da Losey. Per chi non ne sa niente, si tratta della fedelissima rappresentazione dell’opera scritta da Mozart e Lorenzo da Ponte nel 1787: non un adattamento né un documentario teatrale, ma un film vero e proprio girato per il grande schermo. Il mito di Don Giovanni, seduttore e libertino ingoiato dall’inferno alla fine della sua vita, è antico: la sua prima versione importante e moderna è quella di Tirso de Molina, seguita da quella classica di Molière; e tutte e due le versioni sono ben presenti nell’opera di Mozart e Da Ponte.
 

L’idea vincente è quella di ambientare il dramma dentro le ville palladiane del Veneto: già questa è una festa assoluta. E poi chi non conosce l’opera (merita moltissimo, anche per il libretto di Da Ponte) ha una buona occasione per cominciare a capirci qualcosa. Le ville del Palladio riprese nel film meriterebbero molto più di un approfondimento: non essendo un esperto, per oggi mi limito a segnalare che le sequenze principali del film sono state girate alla Basilica Palladiana di Vicenza, in Piazza dei Signori, e a Villa Capra (Villa Valmarana), detta “La Rotonda”, definita spesso come il capolavoro assoluto di Palladio, che fu costruita appena fuori le mura di Vicenza. Andrea di Pietro della Gondola, detto Palladio, visse tra il 1508 e il 1580; altre sue opere famose (non presenti nel film di Losey) sono il Teatro Olimpico di Vicenza, le chiese veneziane del Redentore e di San Giorgio Maggiore, e progettò molte altre ville e opere d’architettura che furono costruite a Venezia e in altre località del Veneto.
 

I difetti del film sono quelli inevitabili e prevedibili: il Don Giovanni è concepito per il teatro, ed è un’opera molto lunga. Inevitabilmente, dunque, molte scene – quelle che si appoggiano solo sulla musica - diventano macchinose o pesanti se considerate solo dal punto di vista cinematografico: quasi sempre, la musica è fatta per essere ascoltata e non guardata. A teatro, di regola i cantanti non hanno bisogno di fare grandi cose quando cantano; e in palcoscenico non si fanno primi piani e carrellate. Questo è il difetto di quasi tutti i film tratti dall’opera lirica, un difetto sul quale si sorvola volentieri purché il risultato sia buono. Qui il risultato è quasi sempre molto buono, ma non sempre tutto funziona; a volte è proprio l’ispirazione di Losey che sembra latitare, al di là delle scene più famose e spettacolari (il duello, il grande ballo alla fine dle primo atto) è infatti difficile trovare sempre le soluzioni ottimali. E, se i due protagonisti sono formidabili, bisogna però dire che alcuni dei cantanti-attori sono stati scelti molto male. In cima alla lista dei difetti metterei infatti il tenore Kenneth Riegel, pessimo attore e appena accettabile come cantante. E tra i difetti metto anche l’invenzione del “valletto in nero” (è il fratello di Isabelle Adjani) un personaggio muto che nell’opera non esiste e del quale Losey andava piuttosto orgoglioso. Non disturba, ma non serve a niente; e quel che non serve si potrebbe anche eliminare, soprattutto quando il soggetto originale è già così grande e ingombrante.


Gli attori che vediamo sullo schermo sono quasi tutti delle autentiche stelle dell’opera, molti dei quali ancora attivi. Ruggero Raimondi , basso bolognese, è quanto di meglio ci si potesse aspettare per un’operazione del genere, anche come prestanza fisica. Losey vuole un Don Giovanni decisamente cattivo, prepotente; e la recitazione di Raimondi si adatta molto bene ai desideri del regista. Il belga Josè van Dam è il servitore di don Giovanni: che si chiama Sganarello in Molière, e diventa Leporello nella versione di Da Ponte. E’ un Leporello serissimo, quasi cupo (a teatro van Dam interpreta quasi sempre Don Giovanni), a tutti gli effetti un doppio di Don Giovanni: un’interpretazione che all’epoca dell’uscita del film fece discutere, proprio perché Leporello era classificato tra i buffi, ma perfettamente legittima. Kiri Te Kanawa, bellissima e bravissima ( maori della Nuova Zelanda, è una delle maggiori cantanti della sua generazione, e interpreta donna Elvira, arrabbiatissima con Don Giovanni che l’ha abbandonata il giorno delle nozze), è però a disagio sul set. Edda Moser (Donna Anna) se la cava bene sia come attrice che come cantante, però passa quasi inosservata. Teresa Berganza, brava attrice e un incanto come cantante, è però poco credibile come Zerlina: la contadina per la quale Don Giovanni intona il celebre “Là ci darem la mano” dovrebbe essere molto giovane, e la cantante spagnola era invece già sui quarant’anni e al cinema queste cose si notano; tutto questo però non toglie nulla al piacere di ascoltare e vedere una delle più grandi cantanti del Novecento. Il direttore d’orchestra (che nel film non si vede) è Lorin Maazel, altra star internazionale. I peggiori del cast sono il basso Macurdy, che interpreta il Commendatore (lo spettro che trascina Don Giovanni all’inferno alla fine dell’opera) e il tenore Riegel (Don Ottavio, fidanzato di Donna Anna), che è ai limiti dell’ascoltabile: se volete sentire le due arie di Don Ottavio, che sono tra le cose migliori di Mozart, vi consiglio di cercare altrove – ed i momenti in cui appare sono anche visivamente tra i peggiori del film.
Una riga ancora per Lorenzo Da Ponte: un poeta meraviglioso, molto musicale, molto chiaro e divertente, che ebbe una vita simile a quella di Casanova e che in vecchiaia (1819) emigrò in America, fondandovi scuole prestigiose che continuano ancora oggi. Da Ponte è stranamente ignorato dai nostri programmi scolastici. O forse bisogna dire che è una fortuna, altrimenti sarebbe odiato come Leopardi...

 
 
Riporto qui, più completa, la didascalia che apre il film: una riflessione che, letta oggi, fa molta più impressione di quando uscì il film. Alla fine degli anni '70, o all'inizio degli anni '80, lasciava un po' perplessi e se ne poteva discutere; oggi lo scritto di Gramsci appare molto più chiaro, terribilmente chiaro direi. Quasi una profezia, ma ancora oggi molte persone (la maggioranza assoluta, direi) preferiscono tenere gli occhi chiusi o guardare altrove.
“L’aspetto della crisi moderna che viene lamentato come  «ondata di materialismo» è collegato con ciò che si chiama «crisi di autorità». Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioé non è più «dirigente», ma unicamente «dominante», detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati (…)”
Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere (Q3, p.311)

 

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