domenica 30 ottobre 2016

Scarpette rosse

 
The Red Shoes (Scarpette rosse), 1948. Regia e sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger.  Soggetto: Emeric Pressburger, ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen.  Fotografia (colori): Jack Cardiff. Operatore: Christopher Challis. Effetti speciali: F. George Dunn, D. Hague. Montaggio: Reginald Mills.  Musica: Brian Easdale. Direzione musicale: Brian Easdale, Sir Thomas Beecham.  Suono: Charles Poulton. Cantante: Margherita Grandi.  Production designer e costumi: Hein Heckroth. Scenografia: Arthur Lawson. Coreografia: Robert Helpmann. Ballerino: Alan Carter. 
Interpreti: Marius Goring (Julian Craster), Anton Walbrook (Boris Lermontov), Moira Shearer (Victoria Page), Jean Short (Terry), Gordon Littman (Ike), Julia Lang (appassionata del balletto), Bill Shine (il suo compagno), Leonid Massine (Ljubov), Austin Trevor (il professor Palmer), Esmond Knight (Livy), Eric Berry (Dimitri), Irene Browne (Lady Neston), Ludmilla Tcheyrina (Irina Boronskaja), Jerry Verno (l'usciere dell'entrata degli artisti), Robert Helpmann (Ivan Boleslawsky), Albert Basserman (Sergej Ratov), Derek Elphinstone (Lord Oldham), Madame Rambert (se stessa), Joy Rawlins (Gladys), Marcel Poncin (Boudin), Michel Bazalgette (Rideaut), Yvonne André (la cameriera di Victoria), Hay Petrie (Boisson), George Woodbridge (il portiere). Produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger. Produttore associato: George R. Busby. compagnia di produzione: The Archers. Durata: 133'.
 
- ... le scarpette rosse non sono mai stanche, la ragazza continua a danzare, il tempo fugge, l’amore fugge, la vita fugge, ma le scarpe continuano a ballare...
- E poi come va a finire?
- Oh, alla fine lei muore.
“Scarpette rosse” inizia con una sequenza che a me è particolarmente cara: l’ingresso al loggione, cioè il posto su in alto, vicino al soffitto, dove nei teatri ci sono i posti che costano di meno. L’ho fatto tante volte, non al Covent Garden ma alla Scala: era proprio come si vede nel film, con la corsa su per le scale per aggiudicarsi il posto migliore. Io ero più tranquillo, non correvo più di quel tanto anche perché l’essere alti di statura in questi casi serve (qui come in metropolitana) per vedere meglio, e non solo per prendere testate contro le travi dei sottotetti. L’ingresso al loggione (la Scala è meno comoda del Covent Garden che si vede nel film), 30 minuti prima dello spettacolo, come si usava nei tempi civili e come adesso non si usa più.
 
 

E’ un film che è stato famoso, famosissimo, e che oggi è stato quasi dimenticato: ed è un vero peccato. E’ un film sul balletto, ma detto questo non si è detto niente. E’ un film sul Teatro, ma anche questo non basta per definire il film.
Il film è firmato da Michael Powell ed Emeric Pressburger, insieme: sono la coppia vincente del grande cinema inglese, un perfetto punto d’incontro tra l’arte e il grande artigianato. (In quel periodo, in Inghilterra, lavoravano anche altri grandi di questo tipo: Alfred Hitchcock era uno di quelli, e non era il solo).
Le “scarpette rosse” vengono da una fiaba di Andersen, una di quelle più impressionanti: come la Sirenetta o la Piccola Fiammiferaia. C’è una ragazza che indossa un paio di scarpette rosse, per lei appositamente create da un misterioso personaggio; appena se le mette comincia a danzare, e non smette più. Il tempo passa, la vita passa, le scarpe continuano a far muovere la ragazza, fino alla morte. Powell e Pressburger costruiscono questa storia attorno al mito dei “Ballets russes” di Sergej Diaghilev, che ad inizio Novecento (quindi poco prima del film) sconvolsero l’Europa per la loro forza e novità. Al posto di Diaghilev mettono una figura decisamente più inquietante, e gli danno il nome di un grande scrittore russo: Lermontov.

 
 
Lermontov è interpretato da un attore straordinario, austriaco di nascita, che si chiama Anton Walbrook. Non credo che questo film, così come l’avevano in mente gli autori, potesse essere realizzato con un altro attore. Walbrook è enorme. Distante, glaciale, possessivo e ossessivo, grande e generoso: un mostro, in tutti i sensi. Costruisce e distrugge, vede l’arte come una religione, la suprema rinuncia, e gli artisti come monaci. Quando la sua prima ballerina si sposa, Lermontov la scarica subito e la cancella dalla sua vita. Al suo posto trova una ragazza molto giovane: la interpreta Moira Shearer, che è una vera danzatrice classica allora all’inizio della carriera. Ne fa la sua stella, per lei inventa un balletto nuovo e la porta al successo; ma anche lei cadrà nell’errore di innamorarsi e di sposarsi, e sarà un errore fatale.



“Red shoes”, di Andersen, è appunto il soggetto che Lermontov sceglie per la sua nuova stella. Ne affida la musica a un giovane, uno di quelli che avevamo visto correre su per le scale del loggione: non lo conosce affatto, ma Lermontov ha il colpo d’occhio e l’intuito necessario per capire che quel ragazzo ha del talento. Siamo all’inizio del film: il giovane compositore era andato a teatro non per il balletto, ma per ascoltare la nuova musica composta dal suo insegnante di Conservatorio. Con sorpresa, scopre che si tratta in gran parte di musica sua: il suo maestro l’ha inserita nella partitura senza dirgli niente, e ci ha messo sopra il suo nome. Il ragazzo scrive una lettera a Lermontov denunciando l’accaduto; poi gli dispiace e chiede se può riaverla indietro. Ma l’impresario l’ha già letta: “Bisogna vergognarsi di rubare, non di essere derubati”, dice Lermontov al giovane, e lo invita a lasciar correre. Si fa suonare qualcosa, sembra quasi non ascoltare, e invece gli fa subito un contratto. Poi il film inizia per davvero, e siamo nel bel mezzo del palcoscenico, delle prove. Vediamo all’opera vere e proprie stelle internazionali, nomi che diranno poco a chi non ha mai seguito la danza ma che sono ben conosciuti ancora oggi: il coreografo è Leonid Massine, la prima ballerina che poi si sposerà è Ludmilla Tcheyrina.



Appena iniziano le sequenze delle prove, con Moira Shearer tra le quinte, come tante, ad aspettare il suo turno, viene spontanea (tra rabbia compressa e sospiri profondi) una domanda. Quanto è stato rubato da questo film? Dozzine di film, telefilm, programmi tv, da “Saranno famosi” agli spettacolini pomeridiani di Canale 5, hanno rubato e rubano in continuazione da “Scarpette rosse”. E’ così che il piacere di rivedere queste scene si attenua molto, e ci vuole un po’ di tempo per tornare di nuovo al film. E’ come se ci avessero rubato qualcosa, questo film è diventato come un oggetto prezioso pieno di ditate e di macchie d’unto, ed è un vero e proprio danno del quale vorrei essere risarcito...
Il film continua, la storia entra nel vivo. E’ un film morboso, sontuoso, gotico, onirico, espressionista: non ho parole. I colori sono meravigliosi, da favola. Da qui in avanti vi lascio il piacere di ripensarlo, o di andarlo a cercare, magari su vhs o su dvd.


Basta poco, a Powell e Pressburger, per ricavare un effetto enorme. Uno sbuffo di vapore è un treno, anche se questo non è un film povero c’è invenzione in ogni inquadratura. Dietro c’è un background che oggi si è perso, una enorme capacità artigianale, manuale; ed è per questo che non si fanno più film così. Oggi costruire una scena è molto più facile, non serve più il legno, non serve più nemmeno il polistirolo: basta un computer e anche un bambino può girare un film, ma non è la stessa cosa. Questo film vecchio, ormai vecchissimo, ha però uno spessore, un’altezza, una profondità, è come la bottega di un ebanista o di un falegname: ha anche un odore, l’odore del teatro, del legno e della polvere, e dei velluti. Sembra di essere lì, come nelle migliori occasioni: dentro al film, e dentro al teatro.

Non c’è grande musica, in “Scarpette rosse”: Brian Easdale non è Stravinskij e nemmeno Gershwin, però ruba molto da tutti e due (Petrushka, e un po’ di swing.). La grande musica entra solo di sbieco, nel resoconto della carriera della giovane ballerina, con Respighi-Rossini (La bottega fantastica), con la Coppelia di Delibes (ad anticipare il futuro “Racconti di Hoffmann”), con Stravinskij, Ciaikovskij... La musica di Brian Easdale, abituale collaboratore di Powell e Pressburger, è diretta da sir Thomas Beecham: peccato che non lo si veda nel film. Bisogna però dire che è musica perfetta per il film, piacevole e molto funzionale. Non ci potrebbe essere musica diversa da questa, in “Scarpette rosse”.
 

Due parole ancora per Moira Shearer: bellissima, rossa e scozzese, alta e atletica, ben lontana dalla ballerina anoressica che siamo abituati ad immaginare. Un po’ anonimo Marius Goring, che interpreta il compositore Julian Craster, suo innamorato. E ancora una menzione per Walbrook, monumentale, elegante e affilato, che somiglia molto al grande tenore Alfredo Kraus.
E molto più di una parola per il Balletto, che occupa una parte consistente del film: ovviamente, è “Scarpette Rosse”, coreografia di Leonid Massine. C’è anche un momento quasi di animazione, quasi come Luzzati, nel balletto (un momento soltanto: la scena estatica)




Al cinema, e nelle narrazioni, non si può barare (e nemmeno quando si raccontano le barzellette). Il soggetto va sempre affrontato: lo si dichiara in partenza e non lo si può più eludere, come il drago di Sigfrido o come le Sirene. Se si nomina il drago, il Drago ci deve essere; e deve essere fatto a meraviglia. Qui sei arrivato, e qui devi saltare; e Powell-Pressburger saltano, eccome se saltano. Un film come questo non può prescindere dal Ballo, e il Ballo c’è, ed è grande e meraviglioso. Bello anche per chi non ama il balletto, e tutto da vedere anche dopo sessant’anni.


Di questo film avevo già scritto sul blog giulianocinema , mettendo le immagini più appropriate. Ripubblicandolo qui, mi sono divertito con la sequenza iniziale, i momenti che precedono l'alzarsi del sipario. Chi è stato a teatro sa cosa succede in quei momenti... (il loggione della Scala è molto diverso da quello che si vede qui nel film, il Covent Garden a Londra; ma più o meno, per il resto, ci siamo).


 
 

venerdì 28 ottobre 2016

La forza del destino ( 1950 )


La forza del destino (1950) Regia Carmine Gallone. Tratto dall'opera di Giuseppe Verdi. Sceneggiatura di Mario Corsi, Ottavio Poggi, Lionello de Felice. Fotografia di Aldo Giordani. Interpreti: Gino Sinimberghi, Tito Gobbi, Giulio Neri, Nelly Corradi (voce di Caterina Mancini), Vito de Taranto, Mira Vargas (voce di Cloe Elmo, Preziosilla), John Kitzmiller (scudiero moro), Fausto Tommei (marchese Calatrava), e molti altri fra cui Silvana Pampanini Direttore d'orchestra: Gabriele Santini. Coro e orchestra del Teatro dell'Opera di Roma. Durata: 1h40'

"La forza del destino", film diretto da Carmine Gallone nel 1950, è un buon film, ben fatto, con un ottimo cast. Carmine Gallone è stato un regista importante nel cinema italiano, un solido professionista che sapeva come costruire una buona narrazione. Il cast vocale è di alto livello, quasi tutti i cantanti sono anche attori, vengono però doppiate le donne: Nelly Corradi (Leonora) è un soprano vero, ma la voce che si ascolta è quella di Caterina Mancini. Per il ruolo di Preziosilla, la voce è di Cloe Elmo, mezzosoprano che ebbe una ricca carriera sul palcoscenico, ma l'attrice e ballerina che vediamo si chiama Mira Vargas. Gino Sinimberghi era un buon tenore non di primissimo piano, ma al cinema rendeva meglio di altri cantanti più dotati vocalmente; Tito Gobbi è l'autentica star del film, insieme al basso Giulio Neri, che qui possiamo vedere e ascoltare. Giulio Neri aveva una voce fuori dal comune, molto profonda e molto bella, purtroppo era destinato ad avere vita breve, e quindi questo film diventa un documento importante.
 

I difetti di questa produzione cinematografica sono quelli di tutti i film d'opera di quel periodo, si tratta di un'onesta riduzione del soggetto originale e poco più, ma fatta con ottimo mestiere. Il sonoro non è dei migliori, ma si fa comunque ascoltare. Diverse curiosità nei titoli di testa, che vedono il nome di Sergio Leone (giovanissimo) come assistente alla regia. John Kitzmiller, che interpreta lo scudiero moro (un personaggio che in Verdi ovviamente non c'è) è stato un attore americano molto presente nel cinema italiano del dopoguerra, con apparizioni importanti fino a tutti gli anni '50, compreso "Luci del varietà" (di Fellini e Lattuada) dove interpreta Johnny il trombettista. Kitzmiller ha un ruolo da protagonista nel film "Vivere in pace" del 1947, regia di Luigi Zampa, a fianco di Aldo Fabrizi: il soldato americano ferito che viene curato da una famiglia contadina.  E poi c'è Silvana Pampanini, diva famosa per tutti gli anni '50: io non l'ho riconosciuta, ma la si può sempre cercare e trovare.
 

Il film è stato trasmesso dalle reti Mediaset in questo modo: inizia la scena del Padre Guardiano, la pubblicità la interrompe bruscamente, si riprende dopo un quarto d'ora. Eccetera. La cosa più gentile che viene da dire è che ci siano dietro funzionari (o funzionarie) che non hanno la minima idea di cosa mandano in onda; subito dopo penso agli inserzionisti, chi mai avrà interesse a mandare la sua pubblicità in mezzo a una scena d'opera di un film in bianco e nero del 1950, per di più trasmesso alle cinque del mattino? La risposta è più semplice di quel che si pensi, anche se sembrerà incredibile: gran parte della pubblicità che vedete sulle reti tv è gratis. Non rende niente alle reti che la trasmettono, zero via zero, ma così facendo si "ruba" pubblicità alle altre reti, o almeno così si pensa. Quanto tutto questo sia sensato lo lascio decidere a chi passa di qui e mi legge; io penso che una tv che ha come suo scopo la pubblicità è uno spreco. Uno spreco enorme, e anche un bel po' da scemi.




mercoledì 26 ottobre 2016

Lorenzo Da Ponte


"Io, Don Giovanni" (2009). Scritto e diretto da Carlos Saura a partire dalle memorie di Lorenzo Da Ponte. Fotografia di Vittorio Storaro. Musiche di Mozart, Salieri, Giovanni Gazzaniga, Vivaldi. Interpreti: Lorenzo Balducci (Da Ponte), Lino Guanciale (Mozart), Ennio Fantastichini (Salieri), Tobias Moretti (Casanova), Ketevan Kemoklidze (la Ferraresi), Cristina Giannelli (la Cavalieri), Emilia Verginelli (Annetta), Francesca Inaudi (Constanze, moglie di Mozart), Francesco Barilli (un prete), Franco Interlenghi (padre di Annetta), Sergi Roca (Da Ponte bambino), Eulalia Ramon (nobildonna), Anna Saura (bambina battezzata), Sebastiano Lo Monaco (Barbarigo), Carlo Lepore (commendatore) Sergio Foresti (Leporello) Borja Quiza (Don Giovanni) Roberto Accornero (Giuseppe II ) Elena Cucci (Francesca Barbarigo) Sylvia de Fanti (Tipoletta) Alessandra Marianelli (Zerlina), e molti altri. Direzione musicale di Nicola Tescari; Prague Baroque Choir; Da Ponte Ensemble (violinisti Luigi De Filippi e Tonino De Secondi), orchestra Collegium Marianum; consulenza di Angelo Giovagnoli e Luigi Lombardi d'Aquino. Nella sequenza del "Don Giovanni" di Gazzaniga cantano Pablo Garcia, Karoly Szemeredy, Francesco Sanchez Martin. Durata: 2 ore e 7 minuti.

"Io Don Giovanni" di Carlos Saura, che in teoria dovrebbe essere un film biografico su Lorenzo Da Ponte, è un'occasione perduta malamente e un film sostanzialmente sbagliato. La produzione (italiana) è in teoria di alto livello, c'è perfino Vittorio Storaro come direttore della fotografia; gli allestimenti d'opera sono belli, i cantanti giovani e bravi, in teoria tutto dovrebbe funzionare a meraviglia e c'erano tutte le premesse per un ottimo lavoro. In pratica, ci troviamo di fronte a uno sceneggiato tv dozzinale, di quelli in stile "grande pialla", fatti in serie e tutti uguali (non importa se il protagonista è Papa Woytila o Garibaldi o Coppi e Bartali, il risultato finale è sempre quello; cambiano epoche e costumi, la recitazione no). Il primo grande difetto è la sceneggiatura, opera dello stesso Saura: incentrata sull'idea balzana di Casanova mentore e ispiratore di Da Ponte, addirittura "suggeritore" per il Don Giovanni. Una cosa che non ha molta importanza e nemmeno un gran fondamento storico; forse si voleva fare un film su Casanova ma si aveva paura di farlo perchè se ne sono già fatti tanti, è questo il punto? Sta di fatto che Casanova imperversa nel film, e qui ecco la seconda e gravissima falla: ad interpretare Casanova c'è Tobias Moretti (doppiato), cioè la storica spalla televisiva dell'ispettore Rex. E Casanova affonda, è poco più che una figurina ben vestita che imperversa nel film anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Lorenzo Da Ponte è affidato a un altro giovane del tutto inespressivo che si chiama Lorenzo Balducci, star di numerose serie tv e figlio di papà importante (ma qui siamo nel gossip). Siamo quindi già a quota due manichini inespressivi, la cosa comincia a preoccupare. Si va meglio con Mozart (Lino Guanciale) e con Salieri (Ennio Fantastichini), che tengono in piedi la voglia di vedere comunque il film.


Quasi tutte buone o ottime le donne, con menzione per le cantanti Ketevan Kemoklidze (che interpreta la Ferraresi) e Cristina Giannelli (la Cavalieri), alle quali spetta una scena "di dispetti" alle prove con il povero Salieri, ben recitata e ben costruita. Altre scene da primadonna e da amante di Da Ponte sono ben risolte, soprattutto tenendo conto che si tratta di cantanti e non di attrici nel vero senso del termine; certo recitare con Tobias Moretti non è il massimo della vita. Il ruolo di Annetta, innamorata di Da Ponte, è affidato ai grandi occhi celesti di Emilia Verginelli, incantevole ma attrice non memorabile. Siamo sempre nel campo della serie tv, insomma.


Il modello di riferimento potrebbe essere Amadeus di Forman, dal quale ci si distingue facendo Salieri timido e di fisico robusto, sottomesso alla sua amante (la Cavalieri), quindi tutto il contrario di F. Murray Abraham; è comunque molto bravo Ennio Fantastichini. Mozart invece somiglia all'Amadeus di Forman, se ne conservano la risata e la parrucca, però lo si mostra legatissimo alla moglie, che lo coccola e lo consola, salvo una scena di bagordi nel finale. Costanza, moglie di Mozart, è Francesca Inaudi: l'attrice piace ma il ruolo è mal scritto.


Si comincia con il battesimo di Lorenzo Da Ponte, che nacque in famiglia ebraica col nome di Immanuel ben Jrmenyahu (o Emanuele Conegliano, dal nome della città di origine) e prese il nome cristiano dal vescovo che lo battezzò, che si chiamava appunto Lorenzo Da Ponte. Da adulto si farà prete, e avrà una vita molto simile a quella di Casanova; a Vienna conoscerà Mozart e scriverà con lui tre grandi capolavori e qualcos'altro ancora. Ma Da Ponte lavorerà anche con altri musicisti, non solo con Mozart, avendo come rivale l'abate Casti (che nel film non c'è). Il film si lascia vedere, ma non direi che valga la pena di fare confronti storici precisi, si prende quel che c'è nel bene come nel male e direi che può bastare.
Sui titoli di testa si inizia curiosamente con la musica di Vivaldi, su una gondola a Venezia; l'azione vera e propria parte però dal battesimo cristiano di Emanuele Conegliano, anch'esso reso sbrigativo e poco comprensibile (cosa c'entra Casanova in questa scena?). Lorenzo Da Ponte era nativo di Céneda, che oggi fa parte del comune di Vittorio Veneto.



Bella la sequenza dell'incontro a Vienna fra Mozart e Da Ponte, perchè vi si vede un organo a mantice notevole; due servitori azionano il mantice mentre Mozart suona la Toccata e fuga in re minore di J.S. Bach. Ho scelto di mettere qui le immagini relative a questa scena, purtroppo molto breve, perché vale la pena di vedere come funziona lo strumento; purtroppo non ho trovato indicazioni sul luogo dove si trova quest'organo. Ha gran parte nel film la nascita del Don Giovanni, purtroppo con dettagli poco interessanti; è però corretto far assistere al "Convitato di pietra" del veronese Giuseppe Gazzaniga, che precede Mozart (1787, come il Don Giovanni che però ebbe la prima verso la fine dell'anno) e dal quale Da Ponte trarrà molta ispirazione (e anche qualcosa di più, a dirla tutta anche copiando qua e là dal libretto di G. Bertati). Viene riportata la reazione di Mozart davanti alla proposta di fare un Don Giovanni: dice di no, è un soggetto già messo in musica molte volte; però poi gli piace il verso "voglio fare il gentiluomo", e si comincia a lavorare. Si immagina l'aria del catalogo pensata da Casanova per Da Ponte suo allievo, con scenata di gelosia da parte della Ferraresi; si dice che "Là ci darem la mano" sono versi scritti per Annetta, e altre cose che si potrebbero anche omettere in un film che ha esigenze di durata. Le "Memorie" di Da Ponte sono un volume poderoso, si poteva e si doveva scegliere meglio; oltretutto, Carlos Saura è un regista di buone capacità, e da questo nasce molta della mia delusione.
 


In comune con Forman c'è l'allegra dimenticanza per il Così fan tutte e per La clemenza di Tito; qui si perde anche il Requiem ed è tutto dire. Mettere in scena La clemenza di Tito significa far saltare tutta la sceneggiatura e doverla riscrivere da capo, rendendosi oltretutto conto di tutte le scemenze che vi sono state infilate. Mi si obietterà che è un film su Da Ponte, e che la collaborazione con Mozart termina dopo il Così fan tutte; ma, appunto, se si porta in scena Mozart questi non sono dettagli da poco e se ne dovrebbe parlare.
Risibile nel finale la didascalia "Mozart morì tre anni dopo il Don Giovanni": tre anni sono un periodo piuttosto lungo, non si spiega e non si capisce, una didascalia che non serve a nulla.



Cosa avrà capito l'eventuale (e improbabile, ahinoi) spettatore casuale, magari molto giovane, degli eventi narrati? Direi niente, se non si conoscevano già i fatti prima di questo film, che avrà magari creato confusione nell'eventuale spettatore. Ma questi film sono di fatto già fuori dal mercato prima ancora di essere finiti, buoni o cattivi che siano, e quindi la questione non si pone. La tv li programma, ma a notte fonda o al mattino presto quando si è sicuri che nessuno accende la tv; questa è la triste verità, che rende abbastanza inutile anche discutere sulla qualità del film. Buono o cattivo che sia, un film su questi soggetti può solo sperare in una buona circolazione su internet.


Dietro le quinte, in una parte di attore (un prete) c'è Francesco Barilli, amico di Bernardo Bertolucci e protagonista di "Prima della rivoluzione" nel 1962 (da qui la presenza di Storaro?). La regia è di Carlos Saura affiancato da Raffaello Uboldi e Alessandro Vallini; il film dura quasi due ore (1h 57), la produzione è tutta italiana e questo fa pensare al livello di piattezza a cui è scesa la qualità dei nostri produttori. Serviva quantomeno un'altra sceneggiatura, questa è quasi tutta da buttare.


Nel cast anche Franco Interlenghi (padre di Annetta); le parti musicali sono dirette da Nicola Tescari e sono di gran lunga le migliori del film, per scene, costumi, ed effetti speciali di Storaro jr per il finale del Don Giovanni, e in altre scene.
Un film in chiaroscuro, nel complesso però il giudizio è che si tratta di un'occasione mancata, l'ennesima. Un suggerimento per chi volesse riprovarci: lasciare perdere i paralleli con Casanova e concentrarsi sugli anni americani di Lorenzo Da Ponte, c'è molto su cui scrivere.


 

martedì 25 ottobre 2016

Il barbiere di Siviglia ( 1947 )


 
Il barbiere di Siviglia (1947) Regia di Mario Costa. Musica di Gioacchino Rossini. Sceneggiatura di Paolo Salviucci, Carlo Castelli, Mario Costa. Direzione musicale è di Giuseppe Morelli con l'Opera di Roma. Fotografia: Massimo Terzano. Scenografia: Libero Petrassi. Cantano e recitano Tito Gobbi, Ferruccio Tagliavini, Nelly Corradi, Italo Tajo, Vito de Taranto, Natalia Nicolini, Nino Mazziotti. Durata: 80 minuti

L'interesse principale di questo film sta nella presenza di voci importanti nella storia dell'Opera del Novecento, soprattutto Gobbi, Tagliavini e Tajo, che ben pochi oggi possono dire di avere visto in teatro. E' dunque un documento a suo modo importante, anche se non c'è molto di più da dire, si tratta del solito film d'opera di quegli anni, cioè un'illustrazione molto scolastica dell'opera di Rossini. Qualche curiosità: Tito Gobbi è un po' più basso di Tagliavini, mi sarei aspettato il contrario. Nelly Corradi, voce da sopranino come si usava nella prima metà del Novecento (il ruolo fu scritto da Rossini per voce di contralto) è piccolina di statura, sempre molto graziosa nell'aspetto e nel portamento; è una cantante vera che però oggi si ricorda quasi soltanto per questi film. Nella sua aria e scena del primo atto, Nelly Corradi dialoga con un bellissimo cacatua bianco; che però tace, non le risponde, ed è già qualcosa, considerato quello che si vede nelle regie operistiche del nuovo millennio. La direzione musicale è di Giuseppe Morelli con l'Opera di Roma. Mario Costa, romano, è stato un regista di cinema molto attivo dal 1946 al 1970; questo è il suo secondo film. Nei primi anni della sua carriera Mario Costa gira diversi film d'opera, poi varierà attraverso molti generi di film sempre di livello medio-basso. Di questo "Barbiere" esiste anche un'edizione americana, che - come si apprende dalle locandine - ha un narratore che si chiama Deems Taylor.
Tito Gobbi ha interpretato un altro film dal Barbiere di Siviglia, nel 1955 con la regia di Camillo Mastrocinque.
 

lunedì 24 ottobre 2016

Lucia di Lammermoor ( 1946 )


Lucia di Lammermoor (1946). Regia di Piero Ballerini. Tratto dall'opera di Gaetano Donizetti. Soggetto originale di Walter Scott. Sceneggiatura: Piergiuseppe Franci e Piero Ballerini. Fotografia di Mario Albertelli. Scenografia di Carlo Egidi. Interpreti: Nelly Corradi, Mario Filippeschi, Afro Poli, Italo Tajo, Adelio Zagonara, Loretta Di Lelio, e altri. Direttore d'orchestra: Oliviero de Fabritiis. Orchestra e coro Opera di Roma. Maestro del coro: Giuseppe Conca. Durata: 1h46'

"Lucia di Lammermoor" con la regia di Piero Ballerini, dura 1h46 e c'è tutta l'opera, direi senza tagli o quasi. La recitazione è più o meno a livello familiare, da recita in casa; la regia ricorda spesso, nel bene come nel male, l'epoca prima del sonoro (i film del periodo prima del sonoro sono molto spesso dei capolavori, non è che io voglia parlare male del lavoro di Ballerini). Il film è in bianco e nero ma sono molto belle le location e gli esterni, ed è un peccato non poter sapere di più sui luoghi in cui sono state fatte le riprese. I cantanti, anche attori, sono Nelly Corradi, Mario Filippeschi, Italo Tajo, Afro Poli, Adelio Zagonara, Loretta Di Lelio; dirige Oliviero De Fabritiis, orchestra e coro Opera di Roma, direttore del coro G. Conca.
Si tratta di una buona esecuzione da teatro di provincia, penalizzata dal sonoro dell'epoca. Oliviero de Fabritiis è stato un direttore molto presente nel mondo del cinema e dei dischi, ha al suo attivo una lunghissima carriera che lo ha portato, nel 1983 (quasi quarant'anni dopo questo film) a registrare il Mefistofele di Boito con Luciano Pavarotti, Nicolai Ghiaurov e Mirella Freni. Il migliore del cast è il basso Italo Tajo, il tenore Filippeschi è in discreta forma, Nelly Corradi è un sopranino leggero come si usava all'epoca per la Lucia di Lammermoor. In parte, la delusione che si prova è colpa del tempo che è passato velocemente su questi cantanti: subito dopo la Corradi (che è molto graziosa e si impegna a dovere) è arrivata Maria Callas, che ha riportato questo ruolo alla sua drammaticità originaria; poi ci sarà Joan Sutherland, più belcantista, Montserrat Caballé, tante altre ancora.  Di soprani anche più famosi della Corradi, in questo ruolo, si è davvero persa la memoria.
Piero Ballerini, comasco di nascita, girò venti film tra il 1935 e il 1954, con alcuni titoli operistici (La Sonnambula, e la Cenerentola di Rossini), direi niente di particolarmente memorabile.
 

sabato 22 ottobre 2016

Otello (Zeffirelli 1986)


 
Otello (1986) Regia di Franco Zeffirelli. Tratto dall'opera di Giuseppe Verdi. Sceneggiatura di Franco Zeffirelli. Fotografia di Ennio Guarnieri. Interpreti: Placido Domingo, Katia Ricciarelli, Justino Diaz, Petra Malakova (attori e cantanti); solo attori Massimo Foschi, Urbano Barberini, Remo Remotti, e molti altri. Direttore d'orchestra Lorin Maazel. Orchestra e coro Teatro alla Scala.  Durata: 122minuti

L'Otello di Verdi diretto da Carlos Kleiber, alla Scala negli anni '70 e '80, più volte replicato, ha lasciato un'impressione enorme in chiunque abbia assistito alle recite. Io ho avuto la fortuna (e la costanza: dieci ore in coda per avere i biglietti...) di assistere due volte a questo Otello, che aveva la regia in teatro di Zeffirelli. E' chiaro, dunque, che chi si ricorda di quelle recite sia molto interessato al film di Zeffirelli, che oltretutto è del 1986, quindi contemporaneo alle ultime recite con Kleiber, sul palcoscenico della Scala. In particolare, riguardo a Zeffirelli, era da applausi il cambio di scena a vista nella scena che porta all'arrivo di Montano, dallo studio di Otello al porto di Cipro: spettacolare, Zeffirelli aveva queste trovate meravigliose, direi leonardesche anche per la qualità ingegneristica.

Ma il film, sia pur molto bello come immagini, è destinato a deludere l'appassionato d'opera. Questo Otello dimostra fin dal suo inizio il fatto che Verdi non scrisse colonne sonore, e a me pareva scontato ma Zeffirelli gira tutto il film in questo modo, come se Verdi fosse una colonna sonora a commento delle immagini di un film. Altri registi hanno saputo trovare un punto d'incontro fra teatro e cinema, per esempio Ponnelle con la Butterfly o Losey con il Don Giovanni, ma Verdi è tutt'altra cosa e riuscire nell'impresa è difficile. Ne consegue che per un appassionato d'opera questo film è irritante e quasi inguardabile; di buono ci sono forse i balletti del primo atto, che si guardano con qualche curiosità (Zeffirelli ha messo anche i dervisci rotanti...) e che quasi sempre vengono tagliati nelle recite a teatro. Ci sono molti dettagli di per sè belli da vedere, ma che interrompono il percorso musicale voluto da Verdi: per fare solo qualche esempio, il veliero all'inizio è vero (un'esagerazione, in Verdi si vede solo da lontano); e le preghiere della gente sul porto vengono spostate altrove, dentro una chiesa con il Cristo in croce, ed è quasi come se Franco Zeffirelli fosse un qualsiasi regista improvvisato, incompetente d'opera e di teatro, e questo mi desta molte perplessità ma non voglio andare avanti nel dire ciò che penso, qui mi fermo.
Di per sè il film ha belle immagini, anche molto belle, e non sarebbe brutto, ma trent'anni dopo l'uscita di questo film mi sento di poter dire che è stato un errore, un'occasione mancata. Chi conosce l'opera è rimasto perplesso, e chi non conosce l'opera e non la ama se ne è stato alla larga. Più o meno, è andata così. Si aggiunga poi che i diritti del film sono in mano Mediaset, e quindi il film di Zeffirelli va in onda, quando capita, alle tre di notte o giù di lì, giusto come riempitivo fra una televendita e l'altra.

E' una produzione Golan & Globus per la Cannon, una casa di produzione che negli anni '80 era tra le più attive nel cinema. Plàcido Domingo fa la sua figura anche come attore, pittato di nero in volto; al suo fianco come Iago non c'è purtroppo Piero Cappuccilli come capitava a teatro, nemmeno Renato Bruson o Leo Nucci, e nemmeno Silvano Carroli. Come Iago c'è Justino Diaz, che canta davvero male e recita così così. Come Desdemona c'è Katia Ricciarelli, che regge bene i primi piani ed era ancora in forma vocale accettabile. Petra Malakova, mezzosoprano, recita e canta Emilia; gli altri ruoli sono affidati ad attori doppiati da cantanti. Cassio ha il volto di Urbano Barberini, Lodovico è Massimo Foschi (grande attore di teatro: qui è uno spreco, spero sia stato ben pagato), Remo Remotti è Brabanzio (che ad essere pignoli in Verdi non c'è). Le voci sono di Ezio Di Cesare, Gian Nicola Pigliucci, James Macurdy, e altri. Scene e costumi di Anna Anni con Millenotti. Dirige Lorin Maazel, coro e orchestra sono quelli del Teatro alla Scala: l'anno è il 1986, quindi nel grande teatro milanese si stava passando dalle mani di Claudio Abbado a quelle di Riccardo Muti. Ma qui è inutile fare confronti, se volete ascoltare bene l'Otello di Verdi è meglio andare a cercarsi il disco o il cd, questo è un film più da guardare che da ascoltare.
 
 

venerdì 21 ottobre 2016

Rigoletto e la sua tragedia (1956)


Rigoletto e la sua tragedia (1956) Regia di Flavio Calzavara. Sceneggiatura di Flavio Calzavara, Jacopo Corsi, Paola Ojetti. Fotografia di Bitto Albertini. Interpreti: Aldo Silvani/ Tito Gobbi (Rigoletto), Janet Vidor/ Pina Arnaldi (Gilda), Gerard Landry/ Mario Del Monaco (Duca), Franca Tamantini (Maddalena), Loris Gizzi (Ceprano), Gualtiero Tumiati (Monterone), Vittorio Vaser (Marullo), Mario Terribile (Borsa), Nietta Zocchi (Giovanna), Renato Chiantoni (poeta). Direttore d'orchestra: Oliviero de Fabritiis. Coro e Orchestra dell'Opera di Roma. Durata: 1h31'

"Rigoletto e la sua tragedia" non è un adattamento dell'opera di Verdi così come la conosciamo, ma un vero e proprio film con attori e con alcune parti cantate. Il film è a colori (Ferrania) ed è quasi tutto recitato, probabilmente condotto sull'originale di Victor Hugo, il che lo rende interessante; nel testo sono inserite le arie più famose, con Tito Gobbi, Mario Del Monaco, il soprano Giuseppina Arnaldi, dirige Oliviero De Fabritiis con l'Opera di Roma. Rigoletto è affidato all'attore Aldo Silvani, che sarebbe un'ottima idea ma che è però male utilizzato, troppo caricaturale. Ed è un peccato perchè in mano a un bravo regista Silvani sarebbe stato l'interprete ideale.


Aldo Silvani è un ottimo attore che compare spesso nel cinema italiano, per più di vent'anni; per chi volesse approfondire consiglio "Quattro passi fra le nuvole" di Blasetti, a fianco di Gino Cervi, e soprattutto "La strada" di Fellini, dove Silvani è il proprietario del circo in cui va a lavorare Zampanò. Nel film di Fellini però Silvani non ha la sua voce ma è doppiato, probabilmente perchè Fellini lo voleva veneziano. La voce di Silvani in "La strada" è quella di Cesare Polacco, che qui vediamo nei panni di Sparafucile. Cesare Polacco è stato una delle voci più belle del cinema italiano, attore e doppiatore per almeno due decenni; negli anni '60 divenne molto famoso per uno spot pubblicitario ancora oggi molto citato, quello della brillantina. Il Duca è affidato al francese Gérard Landry, doppiato da Giulio Panicali quando parla e da Mario Del Monaco quando c'è bisogno di cantare; Gilda è Janet Vidor, voci di Lydia Simoneschi (parlato) e di Giuseppina Arnaldi (canto). Il regista Flavio Calzavara ha girato una trentina di film tra il 1936 e il 1961, nessuno particolarmente memorabile a parte forse "Dagli Appennini alle Ande" del 1943 che ho rivisto di recente con piacere.

 
Questo film circola sulle reti Mediaset, che trasmettono malissimo i film anche quando si autodefiniscono "la rete del cinema": a notte fonda, interrotti dalla pubblicità, con orari incertissimi. Vedere i film su Iris e Rete4 è una vera impresa, anche col videoregistratore azzeccare l'orario giusto è quasi impossibile. Direi che non è la maniera di fare, forse sarebbe meglio lasciar fare la tv a qualcun altro che abbia maggiore professionalità.

 
queste immagini pubblicitarie d'epoca le ho trovate in rete;
ringrazio molto chi le ha rese disponibili