mercoledì 28 settembre 2016

The bohemian girl


The bohemian girl (La ragazza di Boemia, 1936) Produzione di Hal Roach. Dall’opera omonima di Michael W. Balfe (1830). Regia di James W. Horne e Charles Rogers. Fotografia di Art Lloyd e Francis Corby. Musica di Michael W. Balfe; la canzone “Heart of a gypsy” è di N. Shilkret & R. Shayon. Interpreti: Stan Laurel, Oliver Hardy, Thelma Todd, Mae Busch, James Finlayson, Antonio Moreno, Darla Hood, Jacqueline Wells, William P. Carleton, Zeffie Tilbury, Mitchell Lewis, Felix Knight, Yogi the myna talking bird. Durata: 71’

«Ho sognato di abitare un castello ricco di marmi, con servitori e cameriere al mio servizio; e io ero l’onore di quel castello, la sua speranza...». Così racconta la giovane zingara, in “The bohemian girl”, a un paterno Oliver Hardy, che rimane estasiato ad ammirarla per tutta la durata del racconto. Nel frattempo, Stan Laurel si mangia tutta la colazione che era stata preparata per due; e quando alla fine Ollie se ne accorge, la risposta è: “Te ne avrei lasciato, ma avevo paura che si raffreddasse.”
 

Una delle scene più belle del cinema di Stanlio e Ollio deriva, come già “Fra Diavolo” (film dello stesso anno) da un’opera lirica dell’Ottocento. Se il Fra Diavolo del francese Auber era datato 1830, qui siamo qualche anno dopo, nel 1843; l’autore di “The bohemian girl” è l’irlandese Michael William Balfe, nato a Dublino nel 1808, che visse a lungo in Italia dove studiò da baritono con i grandi cantanti rossiniani; in seguito, intraprese la carriera di cantante e di direttore d’orchestra. Tornato in patria, divenne uno dei punti di riferimento della vita musicale inglese; fu Balfe, per citare solo un solo episodio, a dirigere la prima rappresentazione londinese del Nabucco, opera di un giovane compositore italiano (allora sconosciuto) che si chiamava Giuseppe Verdi.

L’opera “The bohemian girl” viene generalmente tradotta con “La ragazza di Boemia”, e così è successo anche con il film; ma la traduzione corretta sarebbe “La zingarella” o “La giovane zingara”, dato che nell’Ottocento si pensava che gli zingari venissero dalla Boemia. Anche la Carmen di Bizet, molti anni dopo, canterà “l’amour est enfant du Bohème”, non nel senso di un amore cecoslovacco, ma nel senso di zingaro, libero, non soggetto a vincoli. Era questa la visione degli zingari nei secoli passati, quando ancora non si era costruito dappertutto e dovunque in Europa c’erano ampi spazi liberi in cui muoversi liberamente. La vita del nomade era povera e magari disprezzata, ma faceva invidia per la sua libertà; ed è questo anche il soggetto del coro che vediamo all’inizio del film, le parole che si cantano sono un inno alla vita libera e nomade degli zingari, che non hanno le nostre quotidiane vessazioni.

Il soggetto dell’opera di Balfe viene dal racconto di Cervantes intitolato “La gitanilla”; il libretto originale inglese è di Alfred Bunn, la prima rappresentazione dell’opera avvenne il 27 ottobre 1843, al teatro Drury Lane di Londra.
Non mi ricordo di rappresentazioni italiane di quest’opera, ma potrei sbagliarmi; nei Paesi di lingua inglese è molto famosa soprattutto per una sua aria, che è appunto quella che ho citato all’inizio e che nell’originale inizia con questi versi: «I dreamt that I dwelt in marble halls, With vassals and serfs at my side...». E’ un’aria molto eseguita anche da sola, in concerto, perché è scritta bene, ha una bella melodia e permette alle cantanti di fare un’ottima figura; l’esecuzione che ascoltiamo nel film è corretta ma non è una gran cosa. Io la conosco nella versione di Joan Sutherland, grandissima cantante operistica che si può ascoltare al fianco di Luciano Pavarotti nei suoi anni migliori; ma la ricordo anche ascoltata in strada, a Milano, da un gruppo di ragazzi molto giovani che la eseguirono molto bene. E’ citata anche da James Joyce nell’Ulysses, e a parte tutto questo è una melodia non di primissimo ascolto, ma a cui ci si affeziona subito quando si impara a riconoscerla.


A differenza di quanto avviene nel Fra Diavolo, dove i personaggi di Stanlio e Ollio sono un’estensione di personaggi già presenti nel libretto originale e dove la storia originale è seguita molto fedelmente, in “The bohemian girl” il libretto originale serve solo da traccia.
Non conosco l’opera di Balfe per intero, ma su internet c’è il libretto; gli ho dato un’occhiata e ho trovato che la giovane zingara, che non sa di essere figlia di un Conte, vi si innamora di un giovane zingaro, che sa di essere di nobile nascita ma lo deve tenere nascosto. Insomma, una trama molto convenzionale che nel film viene felicemente ribaltata: non sto qui a raccontare come, ma la bambina, rapita per vendetta (il Conte ha fatto frustare uno dei capi degli zingari) finisce poi per essere adottata da Stanlio e Ollio, due zii molto affettuosi e premurosi.
Non sto neanche qui a perdere tempo a raccontare tutte le gags, che sono infinite e memorabili; il film non è un capolavoro e anche le musiche non sono bellissime, ma l’intervento di Stan Laurel e di Oliver Hardy è, come al solito, una benedizione divina.

 
Qualche notizia su Balfe, da wikipedia:
« Michael William Balfe (Dublino, 15 maggio 1808 - Rowney Abbey Hertfordshiare, 20 ottobre 1870) è stato un musicista, compositore, cantante direttore d'orchestra irlandese, rimasto famoso soprattutto come autore dell'opera The Bohemian Girl. Figlio di un maestro di ballo, dal quale ricevette anche i primi insegnamenti musicali, Balfe, tra il 1814 e il 1815, iniziò a suonare il violino per le classi di danza del padre e, all'età di sette anni, compose la sua prima polacca. Alla morte del genitore nel 1823, l'adolescente Balfe si spostò a Londra dove fu ingaggiato come violinista nell'orchestra del Drury Lane della quale alla fine assunse un ruolo di guida e si esibì anche saltuariamente come direttore. Contemporaneamente, Balfe, che aveva una aggraziata voce di baritono, iniziò ad esibirsi anche come cantante lirico nei teatri di provincia, debuttando senza molta fortuna a Norwich ne Il franco cacciatore di Weber. Nel 1825 si trasferì a Roma dove studiò irregolarmente con Paër e poi a Milano dove approfondì i suoi studi di canto con il grande basso rossiniano Filippo Galli. In Italia scrisse il suo primo componimento drammatico, il balletto La Perouse. Balfe fu quindi scritturato per tre anni da Rossini al Théâtre des Italiens a Parigi dove debuttò, alla fine del 1827, come Figaro nel Barbiere di Siviglia. Balfe ritornò però presto in Italia dove, nei seguenti nove anni, cantò in molti teatri ed iniziò anche la composizione di opere liriche. Durante questo periodo sposò Luisa Roser, una cantante ungherese che aveva conosciuto a Bergamo. Balfe tornò a Londra nel 1833 ed intensificò l'attività di compositore iniziata in Italia, pur continuando anche la propria carriera di cantante (nel 1838 fu il primo Papageno inglese). Nel 1836, incoraggiato dal successo del precedente Siege of Rochelle, al Drury Lane, egli diede alle scene, l'opera The Maid of Artois, il cui successo fu garantito dalla partecipazione di una stella di prima grandezza come Maria Malibran Dal 1846 al 1852 Balfe ricevette l'incarico di primo direttore per l'opera italiana all'Her Majesty's Theatre [Italian Opera House (1837-1847)], ma continuò a viaggiare per tutta l'Europa curando la rappresentazione dei suoi lavori. In effetti, egli si rivelò un compositore davvero prolifico, come è dimostrato anche dal semplice elenco delle sue opere inglesi. (...) Balfe scrisse anche tre opere in francese (...) e diresse la prima londinese del Nabucco, quando Verdi era ancora molto giovane e sconosciuto. (...) Balfe si ritirò nel 1864 nell'Hertfordshire, dove affittò una tenuta di campagna e morì nel 1870.
Curiosando nel catalogo delle opere di Balfe, molto ricco di titoli, ho trovato anche un Falstaff, anno 1838, cinquantacinque anni prima di Giuseppe Verdi. Il primo interprete del Falstaff di Balfe fu il basso Luigi Lablache, napoletano, grande interprete rossiniano.

 
 
 
Arline: Where have I been wandering in my sleep? and what curious noise awoke me from its pleasant dream? Ah, Thaddeus, would you not like to know my dream? Well, I will tell it you.
I dreamt that I dwelt in marble halls,
With vassals and serfs at my side,
And of all who assembled within those walls,
That I was the hope and the pride.
I had riches too great to count, could boast
Of a high ancestral name;
But I also dreamt, which pleas'd me most,
That you lov'd me still the same,
that you lov'd me, you lov'd me still the same...
I dreamt that suitors sought my hand,
That knights upon bended knee,
And with vows no maiden heart could withstand,
They pledg'd their faith to me.
And I dreamt that one of that noble host
Came forth my hand to claim;
But I also dreamt, which charm'd me most,
That you lov'd me still the same,
that you lov'd me, you lov'd me still the same...
(At the end of the romance, Thaddeus presses Arline to his heart.)
Arline: And do you love me still?
Thaddeus: More than life itself.

 


 

Fra Diavolo


Fra Diavolo (1933) (altri titoli: The devil’s brother, Bogus bandits) Regia di Hal Roach e Charley Rogers. Sceneggiatura di Jeanie Macpherson, liberamente tratta dall’opera omonima di F. Auber, Scribe e Delavigne (1830). Musica di François Auber (1830); la canzone del cucù è di Marvin Hatley (1928). Interpreti: Stan Laurel, Oliver Hardy, Dennis King (il brigante Fra Diavolo), James Finlayson (Lord Rocburg) Lucille Brown (Zerlina) Arthur Pierson (Lorenzo) Thelma Todd (Lady Pamela) Henry Armetta (l’oste Matteo) James C. Morton (taglialegna) Durata 90’

Confesso subito: questi post sono solo un pretesto, una scusa per parlare di Stan Laurel e di Oliver Hardy e per mettere qui le loro immagini (ci tengo moltissimo). Su Stanlio e Ollio c’è da dire solo una cosa: che gli vogliamo tutti un gran bene. Le vicende degli altri personaggi di questo film le ho sempre considerate solo come una specie di cuscinetto, uno spazio vitale per poter riprendere fiato: “ho riso così tanto che credevo di star male” è la frase che in proposito a “Fra Diavolo” è stata ripetuta in casa mia per generazioni (il film ha quasi ottant’anni), fin da quando lo si poteva vedere soltanto al cinema. E al cinema l’ho visto anch’io, da bambino, perché fino a tutti gli anni ’60 (e anche dopo, finché ci sono stati i cinema) i film di Stanlio e Ollio non sono mai usciti dal repertorio dei film proiettati nelle sale. L’incasso, con Stanlio e Ollio, era sempre garantito.

 
“Fra Diavolo” è un personaggio storico, il suo vero nome è Michelangelo Arcangelo Pezza: nato a Itri nel 1771 e morto impiccato nel 1806 a Napoli: assassino e brigante ma anche ufficiale borbonico, che combattè contro Napoleone.
“Fra Diavolo” è anche il titolo di un’opera lirica del 1830, testo di Eugène Scribe e musica di François Auber, che riprende molto liberamente le gesta del leggendario bandito, trasformato in una specie di ladro gentiluomo, qualcosa tra Robin Hood e Arsenio Lupin. Scritta in francese, l’opera viene comunemente eseguita in lingua italiana; il libretto italiano è di Manfredo Maggioni. Nell’Ottocento l’italiano era una lingua importante, soprattutto per motivi culturali; questa di eseguire le opere nella nostra lingua e non nella loro scrittura originale era una prassi molto diffusa, applicata anche per Meyerbeer, per la Carmen di Bizet, per il Guillaume Tell di Rossini e perfino per il Lohengrin di Wagner. Nel film, l’originale è però cantato in inglese; nella versione italiana si ascolta un cantante famosissimo, il baritono Tito Gobbi, allora agli inizi di carriera.

François Auber (ma il nome completo è complicatissimo: Daniel-François-Esprit Auber ) nasce a Caen nel 1782 e muore a Parigi nel 1871. Fu un musicista famoso, ma subì il destino comune a molti altri musicisti del primo Ottocento, destinato ad essere dimenticato dopo l’entrata in scena di Donizetti, Bellini, Verdi, Wagner, Bizet e di tutti gli altri grandi operisti di quel periodo, che si presero completamente la scena. La sua opera più famosa è una Manon Lescaut del 1836, che precede quelle di Massenet e di Puccini; il Fra Diavolo è del 1830, e vanta un libretto scritto da Eugène Scribe, uno dei più importanti autori del teatro francese in quegli anni.

Auber è quasi completamente scomparso dal repertorio dei teatri lirici; esistono diverse registrazioni delle sue opere principali, e ogni tanto una sua opera viene riallestita, ma ormai il suo nome è ricordato solo dagli appassionati più competenti. La sua musica è sempre piacevole e si ascolta volentieri, ma non credo che si possa mettere tra i capolavori. Si può ancora dire che, per la sua natura brillante e per l’alternarsi di parti cantate e recitate, “Fra Diavolo” è da considerarsi fra i precursori dell’operetta, un genere che nel 1830 ancora non esisteva.

 
Confrontando l’opera di Auber con il film, la prima sorpresa è questa: la protagonista è Zerlina, la figlia dell’oste. E’ attorno a Zerlina che si muove tutta l’azione, e a Zerlina sono riservate le arie “da applausi”, in teatro e nei dischi la parte di Zerlina è sempre affidata a soprani importanti. Di tutto questo film nel film rimane ben poco, ma qui sta per arrivare la seconda sorpresa, che è questa: i personaggi di Stanlio e Ollio esistono anche nell’opera di Auber, e si chiamano Beppo e Giacomo, i due servitori del brigante. Ovviamente, sono due comprimari; niente a che vedere con quello che si sono inventati Laurel & Hardy, ma ci sono. Una scena importante che li riguarda la vediamo anche nel film, nel finale: quando Stan Laurel ubriaco si mette a cantare la canzone di Zerlina davanti allo specchio. Forse ci si ricorderà (magari a partire dalla decima visione del film, quando si riesce finalmente a prendere un po’ di fiato e si può ragionare su quel che succede) che Stanlio, Ollio e Fra Diavolo (la scena è dopo che sono saliti sul balcone) si trovano senza volerlo a spiare Zerlina davanti allo specchio. Zerlina pensava di essere da sola, invece ecco che Stanlio-Beppo, ubriaco, si mette a canticchiare proprio quella canzone; e così facendo si tradisce e fa intuire chi sia davvero il gentiluomo che si presenta come Marchese di San Marco.
Ed è proprio Zerlina, nell’opera, a intonare per prima la famosa aria di Fra Diavolo, quella che nel film fa da motivo conduttore:
Quell’uom dal fiero aspetto
guardate sul cammino
lo stocco ed il moschetto
ha sempre a sè vicino.
Guardate, un fiocco rosso
ei porta sul cappello
e di velluto indosso
ricchissimo ha il mantel.
Tremate! fin dal sentier del tuono
dell’eco viene il suono: diavolo, diavolo, diavolo!
Queste parole sono cantate solo da Zerlina (soprano); la seconda strofa spetta a Fra Diavolo, travestito da Marchese. Nel testo successivo, il Marchese difenderà il brigante (cioè se stesso).
Quest’aria, usata nel film come motivo conduttore, nell’opera viene citata tre volte, prima Zerlina poi di seguito Fra Diavolo, poi in due concertati, uno dei quali è il finale.

Nel film, la canzone di Fra Diavolo, la ascoltiamo fin dall’inizio, nella versione italiana con la voce di Tito Gobbi, qui agli inizi di carriera, grande e famoso baritono degli anni ’50. Va detto che forse la voce di Gobbi è un po’ pesante per la parte (in Auber è scritta per tenore); nelle vecchie pellicole il sonoro era spesso esagerato, quest’aria cantata in questo modo l’avevo sempre trovata fastidiosa, molto appiccicata e poco naturale; ma il film è stato di recente restaurato e anche la voce di Gobbi è finalmente inserita nel modo giusto. Non ho trovato indicazioni sugli altri cantanti della versione italiana, penso che almeno la voce di Zerlina meriterebbe un’indicazione anche se – va detto anche questo – nel film la parte musicale è molto approssimativa.

 
La prima scena del film è l’accampamento dei banditi, ma nell’opera di Auber si inizia dal minuto 7 del film, il coro fuori dall’osteria. Nel film, si comincia con Fra Diavolo che racconta ai suoi il viaggio accanto a Lady Pamela, e in flashback lo vediamo mentra canta una barcarola, che nell’opera è sempre nel primo atto, ma molto più avanti. La voce, nella versione italiana, è sempre quella del grande baritono Tito Gobbi; che a dire il vero qui è un po’ fuori posto, ci vorrebbe una voce più leggera:
Per riveder la bella
non bada alla procella
il fido barcarol
La procella, cioè la tempesta di mare (è una parola italiana!) nei testi dell’opera lirica c’è sempre, fin dal ‘700 di Haendel: “Tuoni, fulmini, e procelle!” dice il recitativo dal Serse.
 

Le cronache dell’epoca dicono che il film “Fra Diavolo” non ebbe immediato successo. In parte – credo – per la difficoltà di seguire la trama dell’opera; ma siamo ai primi anni del sonoro e mettere la musica era quasi un obbligo, molti film dell’inizio degli anni ’30 sono film musicali. Troviamo molte versioni più o meno fedeli dal repertorio musicale dell’Ottocento: La vedova allegra soprattutto (Lubitsch, ma anche i fratelli Marx), e molti musical (Busby Berkeley creò dei veri capolavori partendo da canzoni e dai musical). Vedere il titolo “The devil’s brother” nei titoli di testa rende chiaramente l’idea della difficoltà per gli americani nel capire qualcosa del soggetto: dato che “fra” è alla lettera abbreviazione di “fratello”, “Fra Diavolo” (cioè il soprannome del brigante Michele Pezza, personaggio storico realmente esistito) è diventato “Il fratello del diavolo”, neanche fosse L’esorcista...
Nei titoli di testa si ascoltano brani dell’ouverture (il finale) dell’opera di Auber; nel libretto dell’opera troviamo scritto che la località è Terracina; la scritta in italiano “La taverna del cucù” all’ingresso dell’osteria ci indica comunque che siamo in Italia, inizi dell’Ottocento, era napoleonica.E quindi forse si potevano evitare tutte quelle parrucche, cipria e crinoline che penalizzano la visione del film; soprattutto è da considerare gravissimo errore la parrucca che nasconde la micidiale e famosissima pelata di James Finlayson, e che un po’ gli impedisce di produrre come si deve le sue straordinarie occhiatacce.

 
Beppo e Giacomo (cioè Stanlio e Ollio: i loro personaggi ci sono anche nell’opera di Auber, ma si tratta di piccole parti) li incontriamo per la prima volta nella scena sesta del primo atto; va ricordato (ma forse è superfluo dirlo) che l’aria del cucù non è di Auber ma di Marvin Hatley, amico e collaboratore di Laurel & Hardy.
Sempre in scena sesta, Fra Diavolo arriva travestito da Marchese, coi suoi assistenti; nel film siamo al minuto 31, ed è anche il momento in cui conosciamo il Toro, personaggio tutt’altro che secondario (vedi il finale!). Diecimila lire di ricompensa (minuto 27) è la taglia sulla testa del brigante Fra Diavolo.

Segue una serie di gags fino al minuto 40, con i tentativi di ribellione di Stanlio e la mancata consegna di Fra Diavolo alle autorità; al minuto 42 c’è “naso nasino nasello” e gags imperdibili fino al minuto 52 dove c’è Zerlina allo specchio, che è la scena chiave del film e dell’opera. Qui Zerlina (la figlia dell’oste) pensa di essere da sola e si contempla allo specchio, trovandosi decisamente bella; invece è spiata da Fra Diavolo e dai suoi aiutanti.
L’aria è nel secondo atto, aria e scena, molto lunga: Zerlina è una gran parte, per un soprano d’agilità. Ne riporto i versi più orecchiabili:
(...) Sì, domani, sì, domani
noi sarem marito e moglie
ei la mano mi darà... (...)
Grazie al ciel, per una serva
questa vita non c’è mal;
non ne sono malcontenta,
no davvero, non c’è mal.
Quest’ultima strofa (“grazie al ciel per una serva...”) sarà poi cantata da Stanlio ubriaco nel finale, e farà capire a Zerlina e al fidanzato Lorenzo che in quel momento la ragazza non era da sola; quindi c’è qualcosa che non torna. E’ il preludio allo smascheramento definitivo di Fra Diavolo / Marchese di san Marco.

Seguono i preparativi matrimonio con il riccone; la gag del dito di Stanlio è al minuto 52, e qui è d’obbligo mettere nome dell’oste: l’attore che lo interpreta (un mito!) si chiama Henry Armetta.
Poi prosegue l’azione proprio come nel libretto dell’opera di Auber, con il giovane ufficiale Lorenzo accusato del furto dei gioielli, eccetera.
 

Dal minuto 63 comincia la scena della cantina (un capolavoro assoluto, uno dei vertici della storia del cinema: ma cosa lo dico a fare?) alternata ai corteggiamenti di FraDiavolo.
 

Quest’aria di Fra Diavolo (molto lunga, anzi troppo lunga) nell’opera di Auber è all’inizio dell’atto terzo. E’ il brigante che ragiona fra sè e sè; ne riporto i versi più comprensibili:
...ho per soggetti / i viaggiatori;
per tributari / i passegger:
no no, nessun di lor mi sfugge...
A proposito, il vino che si beve il vecchio Stan è un Chateau Lafitte del 1710: si direbbe un bianco (così si dice nel film, ma trovare un vino francese a Terracina sembra poco probabile).
 

Al minuto 77 la grande scena delle risate, poi Zerlina riconosce la sua canzone, e confessa i suoi sospetti a Lorenzo; da qui in avanti, il finale. Il film segue quindi molto fedelmente la trama dell’opera lirica di Auber, ma Stan Laurel e Oliver Hardy con le loro invenzioni rendono inutile (e anche un tantino pesante) capire cosa succede veramente; e Dio li benedica per sempre per le loro invenzioni. Con altri film non sarà così (“I figli del deserto” ma anche “Way out West” hanno trame ben costruite), ma Fra Diavolo va preso per quello che è con tutti i suoi difetti ma con la presenza inarrivabile dei due più grandi attori e autori di tutta la storia del cinema.


“Fra Diavolo” di Auber fu messa in scena alla Scala nella stagione 1991-92, per la direzione di Bruno Campanella, e la regia di Jerome Savary, con scene e costumi Jacques Schmidt. Me lo ricordo come un ottimo allestimento, lontanissimo dal film del 1933 e ambientato nell’Italia intorno al 1950; tutto bello, però con inutili e fastidiose sirene nel finale: i carabinieri che arrestano Diavolo arrivando con le Alfa. Anche il cast era di ottimo livello: Luciana Serra come Zerlina, Giuseppe Sabbatini e Bruce Ford i due tenori (Fra Diavolo e Lorenzo), il baritono Alessandro Corbelli al posto di Finlayson, Martha Senn come Lady Pamela, Luigi Roni come oste Matteo, Mario Luperi come Ollio-Giacomo, Sergio Bertocchi come Stanlio-Beppo. Nel secondo cast, il 9 febbraio 1992 c’erano Luca Canonici (Diavolo), Francesco Piccoli (Lorenzo), ancora la Serra, Bruno Praticò (Finlayson), Sergio Bertocchi con Aldo Bramante, Francesca Franci come Lady Pamela, Ernesto Panariello come oste Matteo. Fra Diavolo è dunque una parte adatta ad un tenore, e non a un baritono scuro come il Tito Gobbi che ascoltiamo nel film; sarebbe stata forse una parte adatta per Alfredo Kraus, ma non si può avere tutto dalla vita ed è più che giusto che il grande tenore delle Canarie abbia fatto altre scelte.
 
 
 
Molti anche i film seri sul brigante Michele Pezza: cito i principali, un Fra Diavolo francese del 1931 (regia di Mario Bonnard), un Fra Diavolo del 1942 per la regia di Luigi Zampa, un Mario Soldati del 1950 (titolo “Donne e briganti”), e non può mancare alla lista un altro film comico, “I tromboni di Fra Diavolo”, anno 1962, regia di Giorgio Simonelli, con Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, e un bel manipolo di caratteristi e di belle donne (mai capito perché Vianello e Tognazzi dicessero che erano brutti film: io mi ci diverto sempre molto, quando mi capita di vederli in tv). Così come mi diverto sempre, ogni volta, davanti a Stan Laurel e Oliver Hardy: come se fosse la prima volta. So di essere in numerosissima compagnia, che Dio li benedica ora e sempre.


 

martedì 27 settembre 2016

Topsy-turvy I


Topsy-Turvy (Il mondo sottosopra, 1999) Scritto e diretto da Mike Leigh. Tratto dalla biografia di Gilbert & Sullivan. Fotografia: Dick Pope. Scenografie: Eve Stewart. Costumi: Lindy Hemming. Coreografie: Francesca Jaynes. Ricerche: Rosie Chambers. Musica: Arthur Sullivan (Lyrics by William S. Gilbert) Altre musiche: Jacques Offenbach, Beethoven, Schumann. Musiche originali e arrangiamenti di Carl Davis. Direttore d’orchestra: Gary Yershon. Tutti gli attori cantano con le loro vere voci. Durata: 160 minuti.
INTERPRETI: Allan Corduner (Sir Arthur Sullivan) Jim Broadbent (W. S. Gilbert)
In casa di Gilbert: Lesley Manville (Lucy, moglie di Gilbert) Charles Simon (padre di Gilbert)
domestici di casa Gilbert: Dexter Fletcher (Louis), Sukie Smith (Clothilde), Kenneth Hadley (Pidgeon), Kate Doherty (Mrs. Judd), Keeley Gainey (cameriera); David Neville (il dentista); Theresa Watson e Lavinia Bertram (sorelle di Gilbert) Eve Pearce (madre di Gilbert)
In casa di Sullivan: Eleanor David (Fanny Ronalds, la cantante amica di Sullivan), Matthew Mills (Walter Simmonds, il pianista con la Rolands)
Al Savoy Theatre: Ron Cook (Richard D'Oyly Carte), Wendy Nottingham (Helen Lenoir, assistente di D’Oyly Carte), Sam Kelly (Richard Barker, direttore di scena - al telefono nell’ufficio di D’Oyly Carte) Nicholas Woodeson (Mr. Seymour, assistente di Gilbert nelle prove)
I cantanti del Savoy: Timothy Spall (Richard Temple, The Mikado), Martin Savage (George Grossmith), Kevin McKidd (Durward Lely, il tenore giovane), Shirley Henderson (Leonora Braham, che canta nel finale) Dorothy Atkinson (Jessie Bond, la cantante ferita a una gamba), Vincent Franklin (Rutland Barrington, cantante, nella scena delle ostriche), Cathy Sara (Sybil Grey, quella che prova il kimono) Louise Gold (Rosina Brandram, Katisha), Mark Benton (il corista che difende Temple) Steve Speirs (il corista che è d’accordo sul taglio dell’aria di Mikado)
Personale del Savoy Theatre, e altri attori: Francis Lee (Butt, servo di scena), Amanda Crossley (al servizio di Jessie Bond), Neil Humphries (il ragazzo), Roger Heathcott (Banton), Stefan Bednarczyk (Frank Cellier, assistente di Sullivan in orchestra), Geoffrey Hutchings (un armigero)
William Neenan (Cook, servo di scena), Adam Searle (Shrimp) Andy Serkis (John D'Auban, coreografo) Mia Soteriou (Mrs. Russell, pianista durante le prove) Alison Steadman (Madame Leon, la costumista) Angela Curran (Miss Morton, assistente di Madame Leon) Jonathan Aris (Wilhelm, costumista e assistente di Gilbert) Shaun Glanville , Julian Bleach, Neil Salvage, Matt Bardock (orchestrali)
In Francia: Gary Yershon (pianista nel bordello) Katrin Cartlidge (Madame) Julia Rayner (Mademoiselle Fromage) Jenny Pickering (Second Prostitute) Philippe Constantin (il cameriere)
Al padiglione giapponese: Kimi Shaw (filatrice) Toksan Takahashi (calligrafo) Akemi Otani (danzatrice) Kanako Morishita (suonatrice di samisen) Togo Igawa e Eiji Kusuhara (attori Kabuki ) Naoko Mori (Miss 'Sixpence Please')

William Gilbert (1836-1911) è uno dei grandi umoristi britannici; Arthur Sullivan (1842-1900) è un ottimo musicista, compositore brillante ma anche profondo quando serve, e dotato di felicissima inventiva melodica. Messi insieme, Gilbert & Sullivan, sono popolarissimi in tutto il mondo anglosassone: da noi un po’ meno, ed è un peccato. Da Gilbert & Sullivan discendono quasi tutti i comici e gli umoristi britannici del Novecento, compresi i Monty Python: per conoscerli bisogna sapere bene l’inglese, e direi che questo è l’unico limite al loro successo anche da noi. Eppure il loro modello è dichiaratamente italiano: le opere di Rossini, sia per la musica che per i libretti (quasi tutti i libretti di Rossini sono molto divertenti, per chi ancora non lo sapesse), ma anche Mozart (Il ratto dal serraglio, Le nozze di Figaro...).
 

Un altro punto di riferimento sicuro è il francese Jacques Offenbach (1819-1880), mentre direi che siamo un po’ lontani dall’operetta viennese: la specialità di Gilbert & Sullivan è il nonsense, l’umorismo buffo e surreale, il mondo del fantastico dove tutto è sottosopra rispetto alle nostre abitudini quotidiane; mentre l’operetta viennese, Johann Strauss e Lehar, è sempre umoristica e brillante, ma molto più “sensata”.
Gilbert e Sullivan ebbero un enorme successo di pubblico, un successo che dura ancora oggi; con i soldi degli incassi e dei diritti d’autore, i proprietari del teatro dove si esibirono costruirono un albergo ancora oggi al centro della vita londinese, il Savoy. E “Savoy Theatre” era per l’appunto il nome del teatro dove Gilbert e Sullivan facevano compagnia stabile: di tutto questo ci parla Mike Leigh in “Topsy-turvy”, un film molto bello girato nel 1999.

 
Un piccolo esempio dell’umorismo di Mr. Gilbert e Mr. Sullivan è in questa scena da “The Mikado”: i due innamorati giapponesi, due fidanzatini molto giovani, sono rimasti finalmente da soli, e la ragazza elenca le cose che non possono fare:
LEI. (ritraendosi). Se non le dispiace, prego, io credo che Vostra Altezza non dovrebbe venirmi così vicino. Le leggi sono molto severe, in questi casi.
LUI. Ma siamo qui da soli, e nessuno può vederci.
LEI: Tuttavia, non è una cosa giusta. (...) E noi dobbiamo obbedire alle leggi. (...)
LUI. Se non fosse per quella legge, noi potremmo sederci vicini, così. (si siede vicino a lei)
LEI: Invece di essere obbligati a sederci mezzo miglio distanti, così.(si siede all’altro lato del palcoscenico)
LUI: Potremmo solo guardarci negli occhi, così. (la guarda con molto sentimento)
LEI. Lanciando sospiri d’amore impronunciabile, così. (sospira e lo guarda con trasporto)
LUI: Con le braccia attorno ai fianchi dell’altra, così. (la abbraccia)
LEI: Sì, se non fosse per la legge.
LUI: Sì, se non fosse per la legge.
LEI: Naturalmente, non possiamo fare niente del genere.
LUI: Nemmeno parlarne!
La scena prosegue con un duetto, dove i due innamorati, per essere sicuri di non infrangere la legge, fanno qualche altro piccolo esempio di ciò che non si può fare e di ciò che invece è permesso: ed è molto facile capire come finirà il duetto.

 
Un altro esempio, quasi intraducibile (non perché sia difficile, ma perché è in rima) e dalla musica trascinante, è l’ingresso del Generalmaggiore in “The pirates of Penzance”: dato che Penzance è una cittadina sul mare, tradizionale meta di gite e sede di stabilimenti balneari, il titolo si potrebbe tradurre con “I pirati di Riccione” o magari “I pirati di Fregene”, secondo la località che vi è più familiare. La scena è tragica: un manipolo di giovani pirati pronti a tutto sta insidiando alcune belle ragazze che hanno trovato appena sbarcati. Ma le ragazze li mettono in guardia: sono tutte sorelle, figlie del General Maggiore. E il General Maggiore, anzi, “The Major-General” arriva sulla scena e si presenta:
GENERAL: Yes, yes, I am a Major-General! And it is, it is a glorious thing
To be a Major-General! (....)
GENERAL: I am the very model of a modern Major-General,
I've information vegetable, animal, and mineral,
I know the kings of England, and I quote the fights historical
From Marathon to Waterloo, in order categorical;
I'm very well acquainted, too, with matters mathematical,
I understand equations, both the simple and quadratical,
About binomial theorem I'm teeming with a lot o' news,
With many cheerful facts about the square of the hypotenuse.
ALL: With many cheerful facts, etc.
GENERAL: I'm very good at integral and differential calculus;
I know the scientific names of beings animalculous:
In short, in matters vegetable, animal, and mineral,
I am the very model of a modern Major-General.
ALL: In short, in matters vegetable, animal, and mineral,
He is the very model of a modern Major-General.
GENERAL: I know our mythic history, King Arthur's and Sir Caradoc's;
I answer hard acrostics, I've a pretty taste for paradox,
I quote in elegiacs all the crimes of Heliogabalus,
In conics I can floor peculiarities parabolous;
I can tell undoubted Raphaels from Gerard Dows and Zoffanies,
I know the croaking chorus from the Frogs of Aristophanes!
Then I can hum a fugue of which I've heard the music's din afore,
And whistle all the airs from that infernal nonsense Pinafore.
ALL: And whistle all the airs, etc.
GENERAL: Then I can write a washing bill in Babylonic cuneiform,
And tell you ev'ry detail of Caractacus's uniform:
In short, in matters vegetable, animal, and mineral,
I am the very model of a modern Major-General.
ALL: In short, in matters vegetable, animal, and mineral,
He is the very model of a modern Major-General.
GENERAL: In fact, when I know what is meant by "mamelon" and "ravelin",
When I can tell at sight a Mauser rifle from a javelin,
When such affairs as sorties and surprises I'm more wary at,
And when I know precisely what is meant by "commissariat",
When I have learnt what progress has been made in modern gunnery,
When I know more of tactics than a novice in a nunnery--
In short, when I've a smattering of elemental strategy,
You'll say a better Major-General has never sat a gee.
ALL: You'll say a better Major-General, etc.
GENERAL: For my military knowledge, though I'm plucky and adventury,
Has only been brought down to the beginning of the century;
But still, in matters vegetable, animal, and mineral,
I am the very model of a modern Major-General.
ALL: But still, in matters vegetable, animal, and mineral,
He is the very model of a modern Major-General.
GENERAL: And now that I've introduced myself, I should like to have some idea of what's going on.
 

Ma qui siamo in un momento di crisi: Mr. Sullivan si è stufato delle storie che scrive Mr. Gilbert, e ha deciso di scrivere una Sinfonia. Lo comunica alla direzione del Teatro Savoy, e anche a Mr. Gilbert: che ci rimane malissimo. Anzi, a dirla tutta, Mr. Gilbert si è proprio offeso; ma, siccome non è uno stupido, ha capito che qualche ragione, in fin dei conti, Mr. Sullivan ce l’ha per davvero. Bisognerà inventare qualcosa di nuovo, ma cosa?

 
 
(continua)

Topsy-turvy II


Topsy-Turvy (Il mondo sottosopra, 1999) Scritto e diretto da Mike Leigh. Tratto dalla biografia di Gilbert & Sullivan. Fotografia: Dick Pope. Scenografie: Eve Stewart. Costumi: Lindy Hemming. Coreografie: Francesca Jaynes. Ricerche: Rosie Chambers. Musica: Arthur Sullivan (Lyrics by William S. Gilbert) Altre musiche: Jacques Offenbach, Beethoven, Schumann. Musiche originali e arrangiamenti di Carl Davis. Direttore d’orchestra: Gary Yershon. Tutti gli attori cantano con le loro vere voci. Durata: 160 minuti.
INTERPRETI: Allan Corduner (Sir Arthur Sullivan) Jim Broadbent (W. S. Gilbert)
In casa di Gilbert: Lesley Manville (Lucy, moglie di Gilbert) Charles Simon (padre di Gilbert)
domestici di casa Gilbert: Dexter Fletcher (Louis), Sukie Smith (Clothilde), Kenneth Hadley (Pidgeon), Kate Doherty (Mrs. Judd), Keeley Gainey (cameriera); David Neville (il dentista); Theresa Watson e Lavinia Bertram (sorelle di Gilbert) Eve Pearce (madre di Gilbert)
In casa di Sullivan: Eleanor David (Fanny Ronalds, la cantante amica di Sullivan), Matthew Mills (Walter Simmonds, il pianista con la Rolands)
Al Savoy Theatre: Ron Cook (Richard D'Oyly Carte), Wendy Nottingham (Helen Lenoir, assistente di D’Oyly Carte), Sam Kelly (Richard Barker, direttore di scena - al telefono nell’ufficio di D’Oyly Carte) Nicholas Woodeson (Mr. Seymour, assistente di Gilbert nelle prove)
I cantanti del Savoy: Timothy Spall (Richard Temple, The Mikado), Martin Savage (George Grossmith), Kevin McKidd (Durward Lely, il tenore giovane), Shirley Henderson (Leonora Braham, che canta nel finale) Dorothy Atkinson (Jessie Bond, la cantante ferita a una gamba), Vincent Franklin (Rutland Barrington, cantante, nella scena delle ostriche), Cathy Sara (Sybil Grey, quella che prova il kimono) Louise Gold (Rosina Brandram, Katisha), Mark Benton (il corista che difende Temple) Steve Speirs (il corista che è d’accordo sul taglio dell’aria di Mikado)
Personale del Savoy Theatre, e altri attori: Francis Lee (Butt, servo di scena), Amanda Crossley (al servizio di Jessie Bond), Neil Humphries (il ragazzo), Roger Heathcott (Banton), Stefan Bednarczyk (Frank Cellier, assistente di Sullivan in orchestra), Geoffrey Hutchings (un armigero)
William Neenan (Cook, servo di scena), Adam Searle (Shrimp) Andy Serkis (John D'Auban, coreografo) Mia Soteriou (Mrs. Russell, pianista durante le prove) Alison Steadman (Madame Leon, la costumista) Angela Curran (Miss Morton, assistente di Madame Leon) Jonathan Aris (Wilhelm, costumista e assistente di Gilbert) Shaun Glanville , Julian Bleach, Neil Salvage, Matt Bardock (orchestrali)
In Francia: Gary Yershon (pianista nel bordello) Katrin Cartlidge (Madame) Julia Rayner (Mademoiselle Fromage) Jenny Pickering (Second Prostitute) Philippe Constantin (il cameriere)
Al padiglione giapponese: Kimi Shaw (filatrice) Toksan Takahashi (calligrafo) Akemi Otani (danzatrice) Kanako Morishita (suonatrice di samisen) Togo Igawa e Eiji Kusuhara (attori Kabuki ) Naoko Mori (Miss 'Sixpence Please')

2.
Mister Sullivan è un po’ stufo delle solite storielline buffe che gli confeziona da vent’anni Mister Gilbert, suo antico collaboratore. Vorrebbe cambiare, scrivere una sinfonia, un’opera seria: ma la Direzione del Teatro Savoy insiste perché la collaborazione tra i due continui, perché bisogna cavalcare l’onda del successo. Ed è un successo grande, e duraturo: ormai esteso a tutti i Paesi di lingua inglese, America compresa.
“Gilbert & Sullivan” è ormai un marchio di fabbrica molto ben affermato: ma i due, poeta e musicista, non si amano, si frequentano poco, sono molto diversi l’uno dall’altro: Arthur Sullivan è un ometto scattante e volitivo, mentre Mister Gilbert (William S. Gilbert), come quasi tutti gli umoristi di razza, è un uomo lento e abitudinario, corpulento, conservatore. O, quantomeno, così appaiono nel film: le fotografie e i ritratti dei veri Gilbert e Sullivan ce li mostrano un po’ diversi fisicamente: anche nelle caricature, il vero Gilbert è più magro di Jim Broadbent che lo interpreta; e il vero Sullivan appare più corpulento di Allan Corduner. Ma si tratta di due attori eccellenti, molto ben scelti: Corduner suona anche di persona il pianoforte, quando serve, ed in maniera ottima.
 

Il film coglie i due maestri dell’opera buffa inglese proprio in questo momento di crisi, quando il sodalizio (artistico, solo artistico) sembra davvero sul punto di finire. E invece si apre a Londra una grande mostra, la moglie di Mr. Gilbert è molto interessata, Mr. Gilbert sbuffa e non ne vuole sapere. Si sa come vanno a finire queste cose: Mr. Gilbert viene trascinato quasi a forza a vederla, e scopre – meraviglia – l’arte e la cultura del Giappone. Gli piace tutto quello che vede, è interessatissimo, prende nota, compera perfino un kimono e una spada da samurai. E’ la nascita di “The Mikado” (1885), grande e folle capolavoro del teatro inglese.
 
 

E’ un peccato che Gilbert & Sullivan siano completamente ignorati in Italia. E’ un peccato, ma forse è inevitabile: l’umorismo è vertiginoso, i nonsense si sprecano, sembra di leggere Jerome e Wodehouse e Carroll, e in più c’è la musica di un musicista vero, sempre fresca e azzeccata. Il problema (grosso) è che bisogna conoscere bene l’Inghilterra e la lingua inglese...
Mike Leigh, regista di grandissimo talento che di solito è impegnato sui grandi temi sociali, qui si concede una vacanza e realizza un film bellissimo, ma per un pubblico necessariamente ristretto. Penso che qui da noi l’abbiano visto pochissime persone, e io me ne sono interessato solo perché conoscevo qualcosa di Gilbert & Sullivan (The gondoliers, HMS Pinafore, I pirati di Penzance...) e sapevo che ne valeva la pena.
E’ un film di teatro sul teatro, i numeri comici e musicali vengono provati davanti a noi, si assiste alle vicende personali dei cantanti e degli attori, si costruiscono scene e costumi, una meraviglia assoluta. E’ difficile da seguire, questo sì: ma se state attenti, e se portate solo un po’ di pazienza, scoprirete che “ciò che non capite è il più bello, ciò che è più lungo è il più interessante, e ciò che non troverete divertente è il più arguto.” (che è una citazione da Manoel de Oliveira, “Le soulier de satin”: un altro film che ha radici profonde in teatro).

 
All’inizio del film, Gilbert & Sullivan hanno già scritto molte delle loro opere più famose: I pirati di Penzance, HMS Pinafore, Yolanthe; è il 5 gennaio 1884 e stiamo per assistere ad una novità assoluta, “Princess Ida”; che però non piacerà molto e verrà considerata ripetitiva. Per dirigere la prima, Mr. Sullivan si alza dal letto e si fa fare un’iniezione di antidolorifico: nel film non viene spiegato, ma un accenno più avanti al “mal di reni” mi fa pensare che si tratti di una colica renale. Renella o calcoli, insomma: cose che si risolvono ma che creano dolori fortissimi, per chi non lo sapesse (io lo so, e capisco).
Mike Leigh ci mostra alcuni momenti di Princess Ida, in palcoscenico, con Sullivan a dirigere; lì per lì sembra andare tutto bene, ma il giorno dopo le critiche sui giornali saranno cortesi ma anche piuttosto fredde. Mr. Gilbert è un uomo di teatro molto esperto, e lo capisce subito: c’è qualcosa che non va.

Il diverbio – molto contenuto, ma pur sempre diverbio – verrà presto a galla. “Vent’anni che non scrivo una sinfonia...voglio scrivere un’opera vera, non queste cosette”, dirà Mr. Sullivan al suo impresario, che gli ricorda di avere un contratto. L’impresario del Savoy Theatre è composto in realtà da due persone: il signor Richard D’Oyly Carte e la sua assistente Helen Lenoir.
Ed è importante il fatto che Leigh, a differenza di quanto avrebbero fatto altri registi, ci mostri da subito due belle figure femminili, la Lenoir e la moglie di Gilbert; altre ne incontreremo più avanti. Ed è una caratteristica di Mike Leigh l’amare i suoi personaggi, anche in un film “d’epoca” come questo i personaggi sono veri, vivi, ben immersi nel loro ambiente ricostruito a meraviglia. Insomma, “sembra di essere lì”: e non è un modo di dire, qui siamo in un clima ben diverso da quello dei film di Ivory, per esempio – che sono sempre molto belli, ma non così caldi e affettuosi.
 

Le differenze tra i due protagonisti sono profonde anche sul piano strettamente personale: mentre Sullivan è un tipo allegro e gaudente, che ha una relazione molto aperta con una cantante, Mr. Gilbert è solidamente sposato e ha una moglie che – stando a come ce la presenta Leigh - lo ama molto ma è da lui un po’ trascurata. Gilbert è un uomo molto chiuso su se stesso, la moglie ne soffre ma la loro relazione è comunque solida. Trovare informazioni in proposito non è facilissimo, e dunque non so come fossero i due in realtà: nel film Sullivan è piccolo e brillante, quasi napoletano; Gilbert grosso e impacciato, rigido, e molto inglese.
L’inizio è un po’ faticoso – come capita spesso nei film biografici - perché non si conoscono i personaggi e la materia, poi ci si comincia ad ambientare, le singole scene sono sempre belle, piene di curiosità; e nella seconda parte quando i personaggi hanno risolto i loro problemi di presentazione, anche Leigh va via spedito, e vediamo nascere la nuova opera.
Leigh ci fa conoscere bene i suoi personaggi e ci si affeziona ai cantanti, alle cantanti, al personale di scena, ai coristi, e perfino a Mr. Gilbert; e dispiace, alla fine, che non ci sia ancora qualcosa da vedere. Capita sempre così, con i film di Mike Leigh.
 
(continua)

Topsy-turvy III


Topsy-Turvy (Il mondo sottosopra, 1999) Scritto e diretto da Mike Leigh. Tratto dalla biografia di Gilbert & Sullivan. Fotografia: Dick Pope. Scenografie: Eve Stewart. Costumi: Lindy Hemming. Coreografie: Francesca Jaynes. Ricerche: Rosie Chambers. Musica: Arthur Sullivan (Lyrics by William S. Gilbert) Altre musiche: Jacques Offenbach, Beethoven, Schumann. Musiche originali e arrangiamenti di Carl Davis. Direttore d’orchestra: Gary Yershon. Tutti gli attori cantano con le loro vere voci. Durata: 160 minuti.
INTERPRETI: Allan Corduner (Sir Arthur Sullivan) Jim Broadbent (W. S. Gilbert)
In casa di Gilbert: Lesley Manville (Lucy, moglie di Gilbert) Charles Simon (padre di Gilbert)
domestici di casa Gilbert: Dexter Fletcher (Louis), Sukie Smith (Clothilde), Kenneth Hadley (Pidgeon), Kate Doherty (Mrs. Judd), Keeley Gainey (cameriera); David Neville (il dentista); Theresa Watson e Lavinia Bertram (sorelle di Gilbert) Eve Pearce (madre di Gilbert)
In casa di Sullivan: Eleanor David (Fanny Ronalds, la cantante amica di Sullivan), Matthew Mills (Walter Simmonds, il pianista con la Rolands)
Al Savoy Theatre: Ron Cook (Richard D'Oyly Carte), Wendy Nottingham (Helen Lenoir, assistente di D’Oyly Carte), Sam Kelly (Richard Barker, direttore di scena - al telefono nell’ufficio di D’Oyly Carte) Nicholas Woodeson (Mr. Seymour, assistente di Gilbert nelle prove)
I cantanti del Savoy: Timothy Spall (Richard Temple, The Mikado), Martin Savage (George Grossmith), Kevin McKidd (Durward Lely, il tenore giovane), Shirley Henderson (Leonora Braham, che canta nel finale) Dorothy Atkinson (Jessie Bond, la cantante ferita a una gamba), Vincent Franklin (Rutland Barrington, cantante, nella scena delle ostriche), Cathy Sara (Sybil Grey, quella che prova il kimono) Louise Gold (Rosina Brandram, Katisha), Mark Benton (il corista che difende Temple) Steve Speirs (il corista che è d’accordo sul taglio dell’aria di Mikado)
Personale del Savoy Theatre, e altri attori: Francis Lee (Butt, servo di scena), Amanda Crossley (al servizio di Jessie Bond), Neil Humphries (il ragazzo), Roger Heathcott (Banton), Stefan Bednarczyk (Frank Cellier, assistente di Sullivan in orchestra), Geoffrey Hutchings (un armigero)
William Neenan (Cook, servo di scena), Adam Searle (Shrimp) Andy Serkis (John D'Auban, coreografo) Mia Soteriou (Mrs. Russell, pianista durante le prove) Alison Steadman (Madame Leon, la costumista) Angela Curran (Miss Morton, assistente di Madame Leon) Jonathan Aris (Wilhelm, costumista e assistente di Gilbert) Shaun Glanville , Julian Bleach, Neil Salvage, Matt Bardock (orchestrali)
In Francia: Gary Yershon (pianista nel bordello) Katrin Cartlidge (Madame) Julia Rayner (Mademoiselle Fromage) Jenny Pickering (Second Prostitute) Philippe Constantin (il cameriere)
Al padiglione giapponese: Kimi Shaw (filatrice) Toksan Takahashi (calligrafo) Akemi Otani (danzatrice) Kanako Morishita (suonatrice di samisen) Togo Igawa e Eiji Kusuhara (attori Kabuki ) Naoko Mori (Miss 'Sixpence Please')

3.
Dopo la prima di “Princess Ida”, Sullivan passa la bacchetta di direttore d’orchestra al suo sostituto, e va a divertirsi a Parigi: donnine nude e musiche di Offenbach, che Mike Leigh ci mostra nei dettagli in una scena molto divertita. La musica che si ascolta al minuto 15 è l’aria di Olimpia, la bambola meccanica dei “Racconti di Hoffmann” di Jacques Offenbach: musica contemporanea, anzi nuovissima: è del 1881. Qui siamo nel 1884, Sullivan è a Parigi, in un bordello di lusso: droghe, fumo, alcool, donne, ostriche: con molto tatto e grande finezza, e grande amore verso i suoi personaggi, Mike Leigh ci mostrerà cosa succedeva anche in quegli anni. Sono i primi anni in cui le droghe cominciano a diffondersi, e anche le iniezioni nascono in quel periodo. La siringa ipodermica viene inventata nel 1851-53, qui ne vediamo alcuni modelli già perfezionati, molto simili a quelli che usiamo oggi. L’ago era d’acciaio o d’argento, e il primo impiego della siringa ipodermica fu quello che vediamo qui nel film: antidolorifico. Vale a dire, morfina.


Intanto, a Londra, gli impresari del teatro Savoy discutono sul da farsi, se continuare con l’opera nuova che lascia un po’ freddo il pubblico, o se riprendere uno dei vecchi e solidissimi successi di Gilbert & Sullivan; e altre cose. Vediamo in scena tre persone: l’impresario Richard D’Oyly Carte, la sua assistente Helen Lenoir, e il direttore di scena Richard Barker (interpretato da Sam Kelly). Fa molto caldo ma tutti circolano ben vestiti, Barker addirittura con il cappotto e il gilet: siamo nell’epoca vittoriana, prima di tutto vengono l’eleganza e la decenza. Il caldo va sopportato.
Il direttore del Savoy ha un volto bellissimo, somiglia al capitano Nemo: l’attore è Ron Cook, molto somigliante al vero D’Oyly Carte. Molto bello è anche il volto dell’attrice Wendy Nottingham, che interpreta l’assistente di D’Oyly Carte. Sono due personaggi molto interessanti, perciò prendo qualche appunto.

da wikipedia:
La D'Oyly Carte Opera Company fu una società teatrale che si occupò di rappresentare, per oltre cento anni, le Savoy Opera di Gilbert e Sullivan. Lo fece in Gran Bretagna, Europa, Nord America, Sud Africa, Australia e in molti altri paesi dal 1875 al 1982. Una nuova D'Oyly Carte Opera Company fu costituita nel 1988 ed operò fino al 2003, quando sospese completamente la sua attività. La D'Oyly Carte Opera Company celebrò il suo primo centenario nel 1975, riproponendo la sua prima rappresentazione avvenuta nel marzo 1875 quando Trial by Jury debuttò al Royalty Theatre a Londra. Però all'epoca Richard D'Oyly Carte non era ancora un impresario indipendente, ma soltanto l'agente della direttrice del teatro. Risulta comunque certo che questo fu l'inizio della lunga collaborazione fra W. S. Gilbert e Arthur Sullivan nella produzione di Savoy Opera.
Nel 1876, Carte lanciò la The Comedy Opera Company che nel 1877 mise in scena The Sorcerer all'Opera Comique Theatre di Londra. Nello stesso anno nominò Helen Lenoir come sua assistente. La Lenoir si rivelò molto abile e riuscì a gestire con grande successo la nuova società. Ella andò diverse volte negli Stati Uniti per organizzare lo sbarco della compagnia a Brodway.
The Sorcerer fu un successo abbastanza lusinghiero per decidere una nuova produzione che avvenne nel maggio 1878 con H.M.S. Pinafore. Dopo una poco redditizia stagione estiva, i soci decisero di ritirarsi e Carte continuò da solo nella gestione della società. (...) Dal 1880 al 1896, Carte presenta ogni nuovo lavoro del duo Gilbert e Sullivan. La compagnia mette in scena, simultaneamente, a Londra e a New York, The Pirates of Penzance. Segue quindi Patience nel 1881. Con i profitti della collaborazione con Gilbert e Sullivan, altri concerti con Adelina Patti, Oscar Wilde, e Charles Gounod), Carte acquista un terreno lungo lo Strand e vi costruisce il Savoy Theatre. (...) Il Savoy ha circa 1.300 posti ed è il primo edificio pubblico ad essere interamente illuminato con la corrente elettrica. In uno dei primi spettacoli Carte salì sul palcoscenico e ruppe una lampada per dimostrare al pubblico la ricurezza del nuovo sistema di illuminazione. Iolanthe fu la prima opera a debuttare sul palco del nuovo teatro seguita da The Mikado. (...)

Quando la moglie di Carte morì nel 1885, egli sposò la sua assistente Helen Lenoir nel 1888, che era ormai diventata il cardine della Compagnia. Durante le rappresentazioni dell'ultimo successo di Gilbert e Sullivan, The Gondoliers, nel 1889, i due autori e Carte ebbero delle divergenze di vedute e Sullivan si schierò con Carte mettendo in minoranza Gilbert. In seguito a tale situazione Carte decise di rappresentare opere di altri autori per mantenere in attività la Compagnia. Soltanto nel 1892, a seguito dell'intervento dell'editore Chappell, Gilbert si convinse a continuare la collaborazione con Sullivan. Vennero così alla luce Utopia, Limited nel e The Grand Duke nel 1896 ma non furono dei grandi successi come le opere precedenti. Verso la fine degli anni novanta del XIX secolo, le condizioni di salute di Carte volsero al peggio e sua moglie assunse la completa bresponsabilità della Compagnia. Ella riuscì ad ottenere grandi profitti dall'attività del teatro e dalle compagnie itineranti, proponendo opere di altri autori e degli stessi Gilbert e Sullivan realizzate però individualmente con altri collaboratori. A seguito della mancanza di nuove opere, le fortune del teatro iniziarono a scemare e la signora Carte chiese la collaborazione di Gilbert per realizzare le stagioni al Savoy, con opere di Gilbert e Sullivan, negli anni 1906-1909. Dopo il 1909 la Compagnia non tenne cartellone a Londra fino al 1919. Dopo la morte di Gilbert nel 1911, la compagnia continuò a produrre il repertorio convenzionale del duo Gilbert e Sullivan fino al 1982.
Alla morte della signora Carte (1913), la Compagnia venne ereditata dal figlio Rupert D'Oyly Carte che per tutto il periodo della prima guerra mondiale mantenne la compagnia in giro per l'Inghilterra non facendo cartellone a Londra. Dopo la guerra venne costituita una piccola Compagnia che continuò le rappresentazioni fino al 1982, anno in cui la stessa venne sciolta.

 
 
Sempre da wikipedia apprendo che Helen Lenoir era scozzese, e il suo vero nome è Susan Couper Black: aveva iniziato a lavorare in teatro come cantante, e mantenne in seguito il suo nome d’arte Helen Lenoir. Mike Leigh ci dice poco di loro, mostrandoceli quasi sempre calmi e attenti, molto british: ma D’Oyly Carte rimase vedovo proprio in quest’anno 1885, ed è forse da qui che deriva la sua espressione attenta e sempre un po’ preoccupata. D’Oyly Carte (si pronuncia più o meno doili-cart) si risposerà con la Lenoir tre anni dopo.

 
La scena è anche il pretesto per presentarci i primi telefoni (siamo nel 1884): la comunicazione e gli apparecchi relativi li vediamo al minuto 25, tra il Savoy Theatre e la casa di Mr. Gilbert. Gli apparecchi sono quel che sono, per farsi sentire all’altro capo del filo bisogna avere voce; dato che la conversazione verte su “soffiate” relative al mondo delle corse a cavallo, e relative scommesse, Gilbert e Barker usano un codice segreto basato su lettere e numeri, nel timore che l’addetto al centralino possa rubare le preziosissime informazioni.
La scena è già gustosa per conto suo, ma Leigh ci mostra anche l’arrivo (all’altro capo del cavo telefonico) del padre di Gilbert, e un’altra novità recentissima: la corrente elettrica in casa. A Mr. Gilbert piacciono le novità, e non si fa mancare niente.
Il vecchio Gilbert si lamenta perché ha dovuto aspettare molto, prima di essere ricevuto in casa di suo figlio. Come mai? Semplice: non vuole suonare il campanello elettrico, per paura di morire fulminato. “Quanti morti fulminati abbiamo avuto sotto casa in quest’ultima settimana?” chiede imperturbabile Gilbert figlio al maggiordomo. “Nessuno, signore”.
Il vecchio Gilbert è perplesso anche davanti al telefono. Indica l’aggeggio e dice: “tanto varrebbe aprire la finestra e urlarlo direttamente in strada, quello che avevi da dire”; e non ha tutti i torti. Mike Leigh sembra divertirsi molto a illustrare quest’epoca di novità e di invenzioni, ed è davvero bravo perché riesce a infilarle nella narrazione con molta naturalezza.
 

Per esempio, al minuto 30 vediamo una delle prima penne stilografiche: siamo a Parigi, e l’impresario D’Oyly Carte fa firmare a Sullivan (molto curioso sul nuovo gadget) un documento che riguarda la costruzione dell’Hotel Savoy. Anche l’Hotel Savoy verrà costruito con nuovissimi criteri: l’impresario racconta a Sullivan lo stupore dell’idraulico chiamato a realizzare l’impianto: « un bagno in ogni camera? a che serve? ci devono forse vivere degli anfibi?»
Al minuto 35 un’altra novità tecnologica: le zollette di zucchero. Sullivan è tornato a Londra, le ha comperate a Ginevra e le offre a Mr.Gilbert. Gilbert è goloso e curioso; accetta e apprezza, ma si ritroverà il giorno dopo con il mal di denti e dovrà andare dal dentista. Che, purtroppo, è ancora un dentista del 1884...
 
 
 
(continua)