giovedì 23 luglio 2020

Notturno (Schubert) I


Notturno (Mit meinem heissen Traenen, 1986). Regia di Fritz Lehner. Sceneggiatura di Fritz Lehner e Thomas Pluch. Fotografia di Gernot Roll. Musiche di Schubert, Johann Strauss sr. Interpreti:Udo Samel (Franz Schubert), Daniel Olbrychski (Franz von Schober), Wojciech Pszoniak (Kajetan), Traugott Buhre (padre di Schubert), Maja Komorowska (Anna Schubert), Gabriel Barylli (Moritz von Schwind), Florentin Groll (Joseph von Spaun), Vitus Zeplichal (Josef Hüttenbrenner), Wolf-Dietrich Sprenger (Johann Mayrhofer), Therese Affolter (Magdalena), Erni Mangold (Gräfin Rieder), Dorothea Neff (Die alte Gräfin), Christian Altenburger (Johann Strauss), Michaela Widhalm (Josefa), Monica Bleibtreu (moglie di Ferdinand Schubert) Despina Pajanou (dirimpettaia), Mareile Geissler, Jessica Kosmalla, Charlotte Acklin, Dagmar Schwarz, Sylvia Haider, Annette Uhlen, Huberta Haubmann, Moritz Bleibtreu, Wolfgang Hübsch, Peter Strauss, Tomma Wember, Sebastian Baur, Karin Kienzer. Durata: 3 puntate, 285 minuti circa

"Notturno" di Fritz Lehner è un film su Franz Schubert, in tre puntate, girato per la tv austriaca nel 1986. E' un'opera di notevole livello, un film d'autore che ha però alcuni gravi difetti, primo fra tutti la mancanza di un punto di riferimento sulle fonti da cui è stata tratta la sceneggiatura (difetto comune a molti altri film biografici, purtroppo). Per quanto mi riguarda, inoltre, non amo affatto questo frugare nell'intimità delle persone, spesso con compiacimento e quasi sempre senza un autentico riscontro nella realtà; le immagini sono belle ma l'abbinamento tra la musica e ciò che si vede è decisamente troppo autoreferenziale. Lehner, come realizzatore di film ispirati alla musica, ha dunque gli stessi difetti di Ken Russell anche se con stile differente; e spiace, perché "Notturno" ha molte belle sequenze. Da segnalare, a questo proposito, la fotografia di Gernot Roll, magnifica negli esterni e maestro nel ricreare la luce di candela degli interni; Gernot Roll ha anche collaborato a "Heimat" di Edgar Reitz ed è uno dei punti fermi del cinema tedesco.
Particolarmente duro il primo episodio, per via del quale ho rischiato di lasciar perdere la visione di "Notturno"; consiglio a tutti di iniziare da uno degli altri episodi. Nel secondo film si ricostruisce una gita in barca con gli amici, un fatto ben documentato e raccontato in tutte le biografie di Schubert. Nel terzo e ultimo episodio, oltre alla morte del musicista assistiamo al suo rapporto con la giovane sorella Josefa (sorella solo per parte di padre), poi a un incontro con una vicina di casa (una prostituta molto attraente), e prima ancora con il padre (maestro elementare). Le immagini sono sempre belle, gli attori e le attrici lavorano molto bene, si vede volentieri quasi tutto ma a dire la verità non è di questo che sentivo il bisogno. Schubert meritava più attenzione, molte scene sembrano frutto della fantasia di Lehner più che di qualcosa di realmente accaduto, e certamente c'erano tante altre cose da raccontare, tanto più con questo cast a disposizione e con il talento di Lehner come regista.


Tra i personaggi di "Notturno", oltre alle persone della famiglia di Schubert (il padre, la giovane matrigna, il fratello Ferdinand, la sorellastra Josefa) non c'è Wilhelm Müller, autore dei versi del "Winterreise", e nemmeno Heinrich Heine (coetaneo di Schubert), ma ci sono il pittore Moritz von Schwind, Johann Mayrhofer e Franz von Schober (autori dei versi di alcuni Lieder di Schubert) e anche un giovane e aitante Johann Strauss senior, nel secondo episodio. Infine, tutte le biografie di Schubert raccontano della sua passione per l'opera e dei suoi numerosi tentativi di avere successo in teatro, ma in "Notturno" di tutto questo non si fa cenno. Vale la pena di ricordare almeno un capolavoro come "Fierrabras", riscoperto di recente da Claudio Abbado, ma il rapporto di Schubert con il teatro (musiche di scena, oltre all'opera lirica) è stato costante per tutta la sua vita e almeno un cenno si poteva fare, magari al posto di scene insistite su dettagli secondari o gratuiti.
Molto bravi tutti gli attori, il protagonista Udo Samel ha una buona somiglianza con i ritratti a noi giunti di Franz Schubert e Lehner lo fa cantare molto: Samel ha una gran brutta voce ma è un vero musicista e fa tutto a dovere. Coprotagonista, almeno nei primi due episodi, è Daniel Olbrychski nella parte di Franz von Schober, amico fraterno di Schubert: alto e biondo, fisico atletico, nessuna preoccupazione economica, Schober è un dongiovanni impenitente. Parti di rilievo per Michaela Widhalm (Josefa), Maja Komorowska (la matrigna di Schubert), Despina Pajanou (la donna della finestra di fronte).

"Notturno", che ha per titolo originale "Mit meinem heissen Traenen" ("Con le mie calde lacrime"), è senza dubbio un ottimo film, e Fritz Lehner mostra ottime capacità tecniche e autoriali, ma citare Tarkovskij come ho visto fare on line è decisamente esagerato. Qualche tocco qua e là, come la pioggia sulla tavola imbandita, dimostra che Lehner conosce Tarkovskij; ma lo stile è completamente diverso, e soprattutto direi che Tarkovskij non aveva le cadute di gusto che purtroppo caratterizzano Lehner.
Più nel dettaglio, i tre episodi:
1. "Die Liebe hat gelogen" ("L'amore ha mentito", è il titolo di un Lied di Schubert) dura 1h39' ed è ambientato a Vienna nel 1823; Franz Schubert, nato nel 1797, ha dunque ventisei anni. Gli rimane poco tempo ancora, morirà nel 1828 di febbre tifoide ma già gravemente ammalato di sifilide. L'inizio è molto duro da reggere: Schubert è ricoverato in un ospizio per sifilitici e perde i capelli a ciocche, con dettagli molto insistiti. L'ospizio è retto da frati francescani, lì Schubert fa amicizia con uno zoppo che poi lo seguirà per tutto il film muovendosi su una specie di triciclo; non so da quale fonte sia stato tratto questo personaggio e se sia veramente esistito. Dopo dieci minuti nell'ospedale-ospizio, Schubert esce fra la gente, passa dal mercato, eccetera; lo zoppo lo segue sul suo triciclo.
E' molto bella la ricostruzione d'epoca delle vie di Vienna, con il mercato, le carrozze, le persone e gli animali.

 Al minuto 14 vediamo Schubert (Udo Samel) a colloquio con la seconda moglie di suo padre, interpretata da Maja Komorowska. Personalmente trovo sempre molto fastidiosa l'insistenza su dettagli privati, qui e con la sorellastra Josefa trovo che Fritz Lehner avrebbe potuto tranquillamente sorvolare, così come sui dettagli della malattia. E' vero che in uno dei suoi ultimi film Ingmar Bergman ha fatto anche di peggio, con Schubert, ma per fortuna ha solo raccontato senza mostrare immagini. Per strada, seguito dall'amico sul triciclo, Franz Schubert ritrova l'amico Schober, elegante e ricco donnaiolo, che lo invita in carrozza. Schober è con una ragazza che deve essere piaciuta molto al regista, visto l'enorme spazio che dedica a lei e alle sue effusioni; francamente sono scene che io avrei tagliato, non portano a nulla e non sono neanche belle da vedersi. Schober in carrozza accenna "Die Forelle" ("La trota", uno dei brani più celebri di Schubert), ma prima duetta con Schubert con un altro Lied, che non ho riconosciuto.


Al minuto 40 i due si ritrovano con gli amici dopo la lunga (troppo lunga) scena tra Schober e la ragazza, che serve più che altro per rimarcare la differenza fra il goffo e timido Schubert e l'amico disinvolto ed elegante. Per gli amici, Schubert suona delle danze (scelte tra le meno belle) poi finisce con l'aggredire Schober (che ne è molto sorpreso) sempre per via della ragazza.
A 1h02 troviamo Schubert solo nella pioggia, per strada; ovviamente nel combattimento ha avuto la peggio, Schober è molto più forte di lui. Vediamo poi il padre di Schubert, maestro di scuola; sta facendo lezione e si fa beffe del figlio facendo volare via la parrucca che nasconde l'alopecia derivante dalla sifilide, poi canta con gli alunni una canzone (che io non conosco); a scuola c'è anche Josefa, sorella per parte di padre di Franz Schubert.
A 1h11 siamo in esterni, un tramonto con cavalli lontani; Schubert canta "Die Liebe hat gelogen",
poi lo vediamo mentre lascia la casa dove viveva con Schober. A 1h19', ancora in esterni, una corsa veloce delle carrozze con Schubert e gli amici, un'altra sequenza troppo lunga ma che può divertire. Arrivati a destinazione, trovano ancora lo zoppo (che li ha seguiti attaccando il suo triciclo a una delle carrozze), e il pittore Moritz von Schwind lo ritrae nei suoi schizzi.
A 1h26 Schober legge a Schubert il testo di "Der Atlas", opera di Heinrich Heine, che verrà poi messo in musica e che, dopo la morte del musicista, verrà inserito nella raccolta "Schwanengesang", "il canto del cigno". "Der Atlas" chiuderà la terza puntata, cantata da Schubert in punto di morte.


In questo episodio non c'è molta musica, si ascoltano molto estratti dalla Sinfonia n.8 (l'Incompiuta) e dal quartetto "La morte e la fanciulla"; ma siccome nei titoli di coda è citato l'elenco completo delle musiche, a differenza degli altri due episodi, posso trascrivere con precisione cosa si ascolta:
Sinfonia n.8 incompiuta (sinf. SWF dir Ernest Bour)
Quartetto D810 La morte e la fanciulla (Collegium Aureum)
Quintetto D667 La Trota (Collegium Aureum, Jorg Demus)
Trio D877 Notturno (Ponti-Zimansky-Polaszek)
Erste Walzer D365, Letzte walzer D146 (Richard Fuller)
Morgenlied D685 (Robert Lehrbaumer)




(segue)

Notturno (Schubert) II


Notturno (Mit meinem heissen Traenen, 1986). Regia di Fritz Lehner. Sceneggiatura di Fritz Lehner e Thomas Pluch. Fotografia di Gernot Roll. Musiche di Schubert, Johann Strauss sr. Interpreti:Udo Samel (Franz Schubert), Daniel Olbrychski (Franz von Schober), Wojciech Pszoniak (Kajetan), Traugott Buhre (padre di Schubert), Maja Komorowska (Anna Schubert), Gabriel Barylli (Moritz von Schwind), Florentin Groll (Joseph von Spaun), Vitus Zeplichal (Josef Hüttenbrenner), Wolf-Dietrich Sprenger (Johann Mayrhofer), Therese Affolter (Magdalena), Erni Mangold (Gräfin Rieder), Dorothea Neff (Die alte Gräfin), Christian Altenburger (Johann Strauss), Michaela Widhalm (Josefa), Monica Bleibtreu (moglie di Ferdinand Schubert) Despina Pajanou (dirimpettaia), Mareile Geissler, Jessica Kosmalla, Charlotte Acklin, Dagmar Schwarz, Sylvia Haider, Annette Uhlen, Huberta Haubmann, Moritz Bleibtreu, Wolfgang Hübsch, Peter Strauss, Tomma Wember, Sebastian Baur, Karin Kienzer. Durata: 3 puntate, 285 minuti circa

2. "Im Reich des Gartens" ("Nel regno del giardino"), è il secondo episodio; dura 1h31' e racconta di una festa nella villa di campagna di una ricca signora, nei pressi di Vienna. Schubert e i suoi amici, con molte ragazze, ci arrivano in barca, navigando sul fiume. Noi vediamo tutto il viaggio, compiuto in allegria; Schubert suona la chitarra e tutti cantano. Franz Schubert deve però respingere le avances di un amico cantante; infastidito, al termine della canzone si alza e va a baciare una ragazza dai capelli rossi, Magdalena. Lo fa davanti a tutti, che sia ben chiara la cosa; la ragazza corrisponde, sembra l'inizio di una bella amicizia. La barca arriva alla villa dove il gruppo è atteso; il biondo Schober, che guidava al remo tutto vestito di bianco, salta a terra e ormeggia. Verrà scambiato per Schubert; l'amico musicista, in barca, gli fa segno di stare al gioco. E' una bella giornata, tutti sono contenti e la storia di Schubert con Magdalena sembra davvero essere iniziata. Viene anche gonfiata una mongolfiera, con l'aria calda; al pallone aerostatico viene appeso un ariete, che fa un breve volo.



Il clou della serata è però Johann Strauss, al violino e con la sua orchestra; è giovane ma già molto famoso, qui ha poco più di vent'anni essendo nato nel 1804, di sette anni più giovane di Schubert. I due si salutano di lontano, Schubert continua a essere di buon umore e a mangiare e bere. A un certo punto, mentre è con Magdalena, arriva Schober: il gioco non può più continuare, gli hanno chiesto di suonare. Schubert acconsente ridendo, si fa riconoscere e comincia a suonare. Ma la serata terminerà male: Magdalena è stata pagata da Schober per fare compagnia all'amico, e quando Schubert lo viene a sapere (dalla stessa Magdalena) torna la disperazione.
C'è molta musica, che non sono riuscito a identificare: la canzone con la chitarra sul fiume, il Lied con l'amico respinto, una Sonata per violino e pianoforte interrotta per cercare Magdalena, e i brani di Johann Strauss senior.



3. "Die Winterreise" ("Viaggio d'inverno", titolo del ciclo di Lieder tra i più importanti di Schubert, su testi di Wilhelm Müller); dura 1h36' e vede Franz Schubert tornato a casa, ospite del fratello Ferdinand. Gli fa compagnia la giovanissima sorellastra Josefa, figlia di suo padre e della sua seconda moglie. Siamo a Vienna, nell'autunno 1828: l'anno della morte di Franz Schubert.
Vediamo dapprima Franz Schubert entrare a casa, accompagnato dal fratello, e poi mentre compone e trascrive su carta. Lehner ci mostra molti dettagli d'epoca, assai ben ricostruiti: lo scrittoio, le penne d'oca, l'inchiostro, più avanti la pipa. Altri dettagli: una mosca che cammina sulla carta, mischiandosi alle note musicali appena scritte, una farfalla notturna vicino alla candela.


Schubert sta già male, non riesce a scrivere la chiave di violino; poi sviene, si rialza, si riprende.
La Josefa voluta da Fritz Lehner (l'attrice si chiama Michaela Widhalm) sembra uscita da un quadro di Balthus, gatto compreso. E' sempre scalza, ha ancora dei giocattoli (un cavallo di legno, con le ruote). Anche se queste scene sono ben realizzate, devo dire che non mi sembrano fondamentali, e la mia impressione è che appartengano più all'immaginario del regista Lehner che non alla vera vita di Schubert. Insomma, se ne potrebbe fare a meno.
Schubert suona ancora per gli amici, che però da lui vorrebbero cose divertenti, non Der Winterreise; ci sono molti luoghi comuni in queste sequenze, ma probabilmente siamo molto vicini alla realtà. Va anche detto che il catalogo schubertiano di musiche leggere e divertenti è molto nutrito, Schubert sapeva divertire e direi che si divertiva molto anche lui, basti pensare al famosissimo "Momento musicale n.3 in fa minore" (che qui non c'è) o alle musiche scelte da Stanley Kubrick per "Barry Lyndon" (non solo il Trio op.100, ma anche le "Danze tedesche").
Vediamo anche Schubert mentre osserva la sua dirimpettaia, una bellissima donna (l'attrice si chiama Despina Pajanou) che però è una prostituta. Il regista Lehner ci mostra Schubert mentre danza con questa vicina, su musiche popolari (ländler, forse con venature yiddisch) che vengono dalla strada sottostante. Nel finale, vediamo la morte di Schubert: una forte febbre tifoidea, che devastò il corpo del musicista già indebolito dalla sifilide.


In questo episodio c'è molta musica, purtroppo manca un elenco completo e mi devo un po' arrangiare - chiedo scusa per gli errori, le correzioni sono più che benvenute.
All'inizio Schubert trascrive la Sonata n.8 per pianoforte, che non fu completata; Josefa ne riprenderà il motivo cantando, in una sequenza successiva. Per uno di quei vuoti di memoria che ogni tanto saltano fuori, non sono riuscito a identificare con precisione la musica per pianoforte che segna il malore di Schubert; ho cercato sui miei dischi ma si vede che non era il momento (chiedo venia, è qualcosa che so a memoria ma proprio non ci sono riuscito).
Segue un estratto dalla sinfonia n.9 (La Grande), il secondo movimento; al minuto 18, con panoramica sulla strada di sotto e sulla vicina di casa, ascoltiamo frammenti dalla Sinfonia n,8, (detta Incompiuta).

Gli amici sotto casa intonano Der Lindenbaum (così mi è sembrato), la donna alla finestra comincia a capire chi è il suo vicino di casa. Al minuto 25 Schubert (cioè Udo Samel) canta "Der Doppelgänger", "il doppio spettrale", sempre da Der Winterreise; Udo Samel ha una gran brutta voce, ma canta in modo corretto. Per questo Lied, e per gli altri che seguono, consiglio a chi non conosce Schubert le incisioni di Hans Hotter, di Fritz Wunderlich, magari anche di Christa Ludwig; ci sono tante eccellenti incisioni dei Lieder di Schubert, oggi con youtube è facile ascoltarli come si deve.
Al minuto 41, gli amici al pianoforte accennano motivi di Schubert; poi Schubert stesso esegue "Der Sturmische Morgen" e "Die Krähe" ("Il corvo", sempre da Der Winterreise), suscitando gelo tra i presenti e ilarità da parte delle ragazze; poi "Der Leiermann", sempre da "Der Winterreise", che interrompe subito per accennare una danza allegra, ma senza convinzione.
Al minuto 53 Schubert suona la chitarra con l'amico Schober che tenta di replicare una pantomima che avevamo visto nella festa del secondo episodio, ma non è il momento giusto per essere allegri.
Al minuto 56 il Quintetto per archi D956 quando Schubert fa il gioco della corda con Josefa.
Al minuto 59, dopo la lanterna magica, in strada si esegue musica popolare, dei ländler con probabile influenza yiddisch o gitana; su questi ritmi Schubert danza poi con la vicina.
A 1h07 un accenno del Trio op.100, a 1h12 ancora la sinfonia n.9 (la Grande) e poi la sinfonia n.8 (incompiuta). A 1h18, quando Schubert vede il suo doppio in strada, temi da "La morte e la fanciulla"
A 1h24, nella scena con il barbiere, Schubert canta "Am Meer" dalla raccolta "Schwanengesang" (Il canto del cigno, raccolta uscita postuma). Nella scena della morte, con gli spasimi della febbre tifoide, Schubert canta "Der Atlas" di Heinrich Heine, sempre da "Schwanengesang".
Il finale, sui titoli di coda, è con un Sanctus che non sono riuscito a identificare, sempre per il genere "la so a memoria ma non mi riesce di ricordare" (chiedo scusa ancora una volta).


Questo è il testo di "Der Atlas", che riprende il mito di Atlante:
8. Der Atlas (Atlas)
testo di Heinrich Heine (1797-1856)
Ich unglücksel'ger Atlas! Eine Welt,
Die ganze Welt der Schmerzen muß ich tragen.
Ich trage Unerträgliches, und brechen
Will mir das Herz im Leibe.
Du stolzes Herz, du hast es ja gewollt!
Du wolltest glücklich sein, unendlich glücklich,
Oder unendlich elend, stolzes Herz,
Und jetzo bist du elend.
(Io, sventurato Atlante! Un mondo, l'intero mondo di dolore devo portare. Sopporto ciò che è insopportabile, e mi si vuole spezzare il cuore nel petto. Tu cuore orgoglioso, tu l'hai voluto! Volevi essere felice, per sempre felice, oppure per sempre triste, cuore orgoglioso, e ora eccoti infelice.)
Con questo Lied chiude anche il blog "L'Opera al cinema", non so dire per quanto tempo, forse per sempre. Ci sarebbe ancora tanto da scrivere, ma direi che per quello che mi riguarda può bastare anche così.






domenica 19 luglio 2020

Dance of the seven veils


Dance of the seven veils (1970) Regia di Ken Russell. Scritto da Henry Reed e Ken Russell, con estratti da scritti di Richard Strauss. Musiche di Richard Strauss. Interpreti: Christopher Gable (Richard Strauss), Judith Paris (Pauline Strauss), Kenneth Colley (Hitler), Vladek Sheybal (Goebbels), James Mellor (Goering), Sally Bryant (Life), Gala Mitchell (donna caduta), Rita Webb (Salome grassa), Imogen Claire (Salome danzatrice), Maggy Maxwell (moglie di Putifarre), Otto Diamant, Dorothy Grumbar (due ebrei), Anna Sharkey (Octavian). Durata: 57 minuti.

In "Dance of the seven veils", realizzato nel 1970 per la BBC, Ken Russell prende subito le distanze dal personaggio che vuole rappresentare, e lo fa fin dall'inizio, con il sottotitolo "A comic strip in seven episodes on the life of Richard Strauss 1864-1949". Dal sito www.imdb.com apprendo che gli eredi del compositore bavarese protestarono violentemente contro la proiezione in tv di questo film, proibendo l'uso delle musiche di Richard Strauss; per questi motivi il film non è stato visibile per decenni, e può essere visto per intero solo oggi, cioè alla scadenza dei diritti d'autore da parte della famiglia Strauss. Bisogna dire che Ken Russell ci è andato giù molto pesante, se mi si passa l'espressione colloquiale, e quindi non mi sento di dare tutti i torti agli eredi di Richard Strauss.

Si inizia con "Also sprach Zarathustra", "Così parlò Zarathustra", uno dei poemi sinfonici più famosi di Richard Strauss, del quale peraltro quasi tutti conoscono soltanto l'inizio, ma che è invece una composizione molto lunga e complessa. All'immagine iniziale del direttore d'orchestra sul podio, quasi come in "Fantasia" di Walt Disney, segue l'immagine di qualcosa che potrebbe essere il film sui Nibelunghi di Fritz Lang, compresi i colori virati tipici del cinema di inizio secolo (virati che ci accompagneranno per tutto il film, o quasi), ma che invece riguarda Nietzsche e il mito del superuomo. Ovviamente non c'è niente che vada preso sul serio, questa è davvero una "comic strip" come promettevano i titoli di testa, e anche il seguito del film sarà così.
I sette episodi di questa "comic strip" non sono uno diviso dall'altro ma fluiscono senza soluzione di continuità, basandosi sui poemi sinfonici di Richard Strauss e sulle sue opere liriche; oltre a Zarathustra, si citano o si ascoltano Macbeth, Till Eulenspiegel, Don Chisciotte, Vita d'eroe, Don Giovanni, Sinfonia delle Alpi, Sinfonia domestica, più estratti da Salome e da Elektra, ma quasi mai i poemi sinfonici sono al posto giusto rispetto alle immagini.
C'è una parodia del Macbeth, ma non mi pare che si ascolti musica dal Macbeth di Strauss; il Don Chisciotte (che è un concerto per violoncello e orchestra) è realizzato con immagini fortemente anticristiane, il che fa dubitare della serietà della conversione di Ken Russell al cattolicesimo, avvenuta qualche anno prima, come raccontano le sue biografie.

Ken Russell dà molto spazio, quasi tutta la seconda metà, all'adesione al nazismo di Richard Strauss, con sbandieramenti di svastiche e pratiche sessuali di pessimo gusto, seguendo l'andazzo di quel periodo (compreso "Il portiere di notte" di Liliana Cavani), dipingendo il compositore bavarese come un po' sventato, superficiale e ballerino, un idiota insomma, che poi si ritroverà a meditare sulle rovine del dopoguerra, nel 1945. Non è del tutto sbagliato, s'intende, perché la maggior parte degli artisti tedeschi di quel periodo rifiutò apertamente il nazismo (anche i non ebrei) con eccezioni illustri come, appunto, Richard Strauss e Wilhelm Furtwaengler; la questione però non è così semplice, e a questo proposito mi sembra giusto fornire qualche dato biografico reale su Richard Strauss, che prendo da wikipedia:
Il ruolo di Strauss nell'epoca del nazismo rimane controverso. Alcune opinioni riportano la totale apoliticità di Strauss e sostengono che non abbia mai cooperato completamente con il potere. Resta il fatto che, durante l'Olimpiade di Berlino del 1936, Strauss non diresse l'inno nazionalsocialista. Altri sollevano l'obiezione della sua presidenza della Camera musicale del Reich dal 1933 al 1935 e che, sebbene la carica fosse eminentemente di rappresentanza, avrebbe dovuto comunque prendere posizione contro il nazionalsocialismo. In un documentario BBC (Tunes for tyrants ep. 2), il nipote, intervistato, riporta che sua madre, nuora di Strauss, era ebrea e che questo fatto lo abbia trattenuto dallo schierarsi apertamente. Questa è anche l’opinione di Stefan Zweig, espressa nel suo capolavoro autobiografico Il mondo di ieri (Die Welt von gestern, Bermann-Fischer Verlag, Stockholm, 1942. Con la pubblicazione dell'opera La donna silenziosa (Die schweigsame Frau) su libretto dello scrittore ebreo Stefan Zweig, Strauss corse un rischio evidente. Fu proprio in seguito all’enorme successo di quell’opera, la cui prima rappresentazione fu autorizzata in via eccezionale dallo stesso Hitler, che Strauss, di cui era stata intercettata una missiva troppo “libera” diretta allo stesso Stefan Zweig per chiedergli la stesura di un libretto per una nuova opera, che il compositore fu costretto a dimettersi dalla Camera musicale del Reich (Zweig 1942). Esistono inoltre supposizioni secondo le quali Strauss sfruttasse la sua carica per proteggere i suoi amici e colleghi ebrei.  (estratti da www.wikipedia.it)

Nel film di Ken Russell, la musica di Strauss è usata anche contro il Cristianesimo, con immagini spesso molto brutte, ma va detto che il nazismo è nella sua essenza fortemente anticristiano, quindi la cosa ha una sua giustificazione. Rimane comunque il pessimo gusto, un po' dappertutto, specialità nella quale Ken Russell purtroppo eccelleva, al di là del suo indubbio talento. Esemplari di questo pessimo gusto la sequenza sulla Salome, con la danzatrice obesa ridicolizzata, e le sequenze di sesso in stile sadomaso. Il film può anche essere divertente da vedere, ma la musica di Richard Strauss non è così, e francamente spiace veder trattato così male un grande compositore. Se mi si permette una divagazione personale, ho il ricordo di un'amica che portava stivali di cuoio come quelli che si vedono in una sequenza di "Dance of the seven veils", e quando se li tolse, dopo una giornata intera, non fu propriamente piacevole. Si può far finta di niente, in quei momenti, soprattutto perché l'amica era molto bella e molto simpatica - e a lei non l'ho mai detto, ma in quei frangenti avrei preferito per lei un paio di scarpe più comode e traspiranti, e magari un paio di calze di cotone o di lana. Il mio immaginario è molto diverso da quello di Ken Russell, insomma, e da tutti quelli che quando pensano al sesso pensano a queste cose; e io personalmente eviterei tutte quelle divise e quelle svastiche, ma qui mi fermo e lascio giudicare a chi volesse guardare il film. Aggiungo solo che molti dei testi sono presi da scritti originali di Richard Strauss (Ken Russell lo mette anche tra gli autori della sceneggiatura, nei titoli di coda), che il film fa parte della serie di documentari BBC "Omnibus", così come il toccante film su Frederick Delius (sempre di Ken Russell, due anni prima) e che mi dispiace molto non sapere che cos'è la canzone finale e chi la canta, ma nei titoli di coda non c'è un elenco delle musiche.
Il film è visibile su youtube, necessiterebbe di un buon restauro ma va comunque bene anche così, e ringrazio molto chi lo ha reso disponibile.


venerdì 17 luglio 2020

The music lovers


The music lovers (L'altra faccia dell'amore, 1971). Regia di Ken Russell. Scritto da Melvyn Bragg, Catherine Drinker Bowen e Barbara von Meck. Fotografia di Douglas Slocombe. Musiche di Ciaikovskij, Mendelssohn, Borodin, dirette da André Previn con la London Symphony Orchestra. Interpreti: Richard Chamberlain (Ciaikovskij), Glenda Jackson (Antonina Miljukova), Izabella Telezynska (Nadezhda von Meck), Max Adrian (Nikolaj Rubinstein), Christopher Gable (conte Shilovsky), Kenneth Colley (Modest, fratello di Ciaikovskij), Sabina Maydelle (Sasha, sorella di Ciaikovskij), Maureen Pryor (madre di Nina), Andrew Faulds , Bruce Robinson, Xavier Russell, e molti altri. Durata: 123 minuti

Ken Russell è stato un regista di grande talento, e lo si vede fin dalle prime immagini anche di "The music lovers", come di altri suoi film precedenti o successivi; è stato anche un regista pieno di difetti, che si sono accentuati col passare del tempo. Con "The music lovers" siamo più o meno a metà di quel percorso: ci sono molte libertà rispetto alla biografia e alla musica di Piotr Ilic Ciaikovskij, ma nell'insieme il racconto è accettabile e siamo ancora lontani dal narcisismo e dall'autoreferenzialità del film su Mahler girato tre anni più tardi. Ken Russell ha spesso cercato lo scandalo, utile per cercare la notorietà, e ci è riuscito soprattutto con film come "I diavoli", "Stati di allucinazione", "Donne in amore"; ha girato molti film biografici, per il cinema e per la tv, raccontando di Debussy, Edward Elgar, Dante Gabriel Rossetti, Frederick Delius, e molti altri, a volte con ottimi risultati, a volte un po' meno.
Per questi motivi, ferma restando la grande bellezza delle immagini di questo film, penso che sia giusto cominciare con qualche cenno biografico su Ciaikovskij, preso dalla "Garzantina della Musica":
Ciajkovskij Piotr Ilic (1840 - 1893) compositore russo. Figlio di un ingegnere minerario e di una buona pianista dilettante di origini francesi che lo iniziò ancor fanciullo alla musica, ebbe le prime lezioni di pianoforte a sette anni. Nel 1850 si trasferì con la famiglia a Pietroburgo dove, per volontà del padre, si iscrisse alla scuola di diritto. Nel 1859 ebbe un impiego al ministero della giustizia; ma ben presto sentì il disagio di un'attività troppo lontana alle sue attitudini artistiche (...) Nel 1861 cominciò a frequentare i corsi della Società musicale russa, studiando teoria con N.I. Zaremba, pianoforte con H. Stiehl e composizione con Anton G. Rubinstein; nel frattempo, non potendo più fare affidamento sull'aiuto del padre, che aveva subito dei rovesci finanziari, si manteneva impartendo lezioni private. L'ambiente musicale in cui C. si inserì era dominato da Glinka e Dargomyizhsky; soprattutto a quest'ultimo, assai aperto a suggestioni di tipo cosmopolita, si volse inizialmente l'attenzione del giovane compositore (...) Nel l855, in una epidemia di colera, C. aveva perduto la madre, alla quale era profondamente attaccato. Questo dramma, e le privazioni economiche cui fu successivamente costretto, accentuarono il senso di instabilità psicologica che già era in lui un tratto costante. A causa anche dell'influsso di un giovane poeta conosciuto alla scuola di diritto, C. cominciò a credersi perseguitato da un malefico destino: forma morbosa di vittimismo che assunse in qualche caso gli aspetti di un'autentica mania di persecuzione e che è una delle componenti del suo quadro psicologico, destinata a influenzare il suo stesso mondo fantastico ed espressivo. Nel 1865 si congedò dal Conservatorio di Pietroburgo musicando l'Ode alla gioia di Schiller: la cantata ottenne un premio e critiche favorevoli. Nello steso anno Nikolaj G. Rubinstein. direttore del Conservatorio di Mosca, gli assegnò la cattedra di armonia, incarico che C. mantenne per dieci anni e grazie al quale potè inserirsi definitivamente nell'ambiente culturale e artistico della città. Nonostante alcuni attestati di stima, i rapporti di C. con il cosiddetto Gruppo dei Cinque furono tesi e spesso polemici, specialmente con chi, come Musorgskij, aveva più radicato il senso del nazionalismo musicale e rifiutava il cosmopolitismo della borghesia salottiera moscovita, da cui C. era invece attratto. Nel l868, a Pietroburgo, conobbe la cantante belga Desirée Artot: ma la relazione che ne nacque ebbe presto fine, mettendo drammaticamente a nudo l'insormontabile omosessualità del musicista. A questo travagliato periodo sentimentale seguì una fase di particolare fervore creativo (...) Nel 1876 si recò a Bayreuth, la "città santa" del wagnerismo, tappa d'obbligo di tutti i musicisti del tempo. Nel 1877 si lasciò convincere a un'unione matrimoniale: ma poche settimane dopo aveva già abbandonato la moglie Antonina Ivanovna Miljakova, alunna del Conservatorio e sua fanatica ammiratrice. Proprio in quel periodo C. entra in rapporti (mai concretizzatisi, per altro, in una conoscenza personale) con la ricca vedova Nadezhda von Meck, madre di dodici figli, talmente innamorata della sua musica da offrirgli una rendita annua di seimila rubli che gli permettesse di dedicarsi interamente alla composizione. L'ultimo quindicennio della sua vita C. lo trascorse lungamente all'estero, in Europa e in America. La morte lo raggiunse, come era avvenuto per sua madre, durante un'epidemia di colera. E' in quest'ultimo periodo che nacquero le sue composizioni più note, quelle che gli diedero fama anche come direttore d'orchestra (...) (fonte: la Garzantina della Musica, ed. Garzanti)

La mia prima osservazione è sulla scelta del protagonista: Richard Chamberlain non assomiglia per niente a Ciaikovskij, così come (tre anni dopo) Robert Powell non somiglierà per niente a Gustav Mahler. Non sarebbe una cosa fondamentale, ma il fatto è che di Ciaikovskij esistono molte fotografie in diversi periodi della sua vita, e la differenza con Chamberlain è davvero imbarazzante. Si tratta di un attore importante, che ho apprezzato molto in altri ruoli (uno su tutti: "L'ultima onda" di Peter Weir), ma che qui mi sembra del tutto fuori posto.
La mia seconda osservazione (sempre molto personale) è il fastidio per chi curiosa troppo nella vita privata delle persone: a me non interessa molto sapere se c'è stato qualcosa tra Giuseppe Verdi e Teresa Stolz, così come trovo abbastanza importune le illazioni sulla vita privata di Beethoven o di Schubert; mi viene sempre da chiedermi cosa ne sanno veramente, in fin dei conti; non basta certo qualche lettera o qualche appunto scritto in un diario, e i biografi più seri stanno molto attenti a non lavorare troppo di fantasia. Al cinema si può fare, intendiamoci: "Amadeus" di Milos Forman è pieno di voli di fantasia ed è molto lontano dalla vera vita di Mozart, ma è pur sempre un capolavoro. Qui, con Ken Russell e con "The music lovers" mi sembra spesso di rivedere il Verdi di Matarazzo, dove si costruiscono scene e dialoghi usando il libretto della "Traviata", o magari "Rapsodia" il film di Hollywood con Vittorio Gassman violinista (dove, tra l'altro, Ciaikovskij fa quasi da solo da colonna sonora). In Ken Russell c'è anche un po' di Zeffirelli, ma in questo caso è lo Zeffirelli migliore (i costumi, le scenografie, le ambientazioni), però più guardo "The music lovers" e il successivo "Mahler" e più mi torna alla mente il cinema di Matarazzo.

Riguardo a ciò che si vede nei film di Ken Russell, si tratta in gran parte, dunque, di impressioni e immagini molto personali; i suoi film possono piacere ma vanno presi con le molle, questo non è Ciaikovskij e il successivo Mahler non è Mahler. Ognuno di noi ha il suo immaginario, ascoltando musica, e quello che vediamo nel film è l'immaginario personale di Ken Russell: liberi noi tutti di vedere altre immagini associate a quelle musiche. Che dire, anch'io mi diverto sempre con gli ippopotami danzanti di "Fantasia", ma Amilcare Ponchielli non intendeva certo questo quando mise in musica "La danza delle ore". Questione di stile e di buon gusto, mi verrebbe da concludere.

Gli attori: detto di Richard Chamberlain, molto bravo e molto credibile anche quando suona, ma secondo me del tutto fuori ruolo, mi viene da pensare che Dirk Bogarde lo avrebbe reso meglio. E' grandissima Glenda Jackson nel ruolo di Nina (Antonina), moglie di Ciaikovskij, con la sola caduta di gusto nel finale in manicomio (ma qui la colpa è tutta di Ken Russell). Un po' di maniera il Nikolaj Rubinstein di Max Adrian (Nikolaj Rubinstein e suo fratello Anton sono due figure storiche), molto aderenti ai loro ruoli tutti gli altri. La fotografia, magnifica, è di Douglas Slocombe; il titolo scelto dal distributore italiano, "L'altra faccia dell'amore", è come capita spesso qualcosa tra la battuta di spirito più o meno pedestre e il tentativo di attirare il pubblico al botteghino facendogli credere che si tratti di qualcosa d'altro.

L'elenco delle musiche del film, preso da www.imdb.com; l'orchestra è la London Symphony, diretta da André Previn.
Sono di Piotr Ilic Ciaikovskij:
- Scherzo burlesque 
- Concerto per pianoforte e orchestra (solista Raphael Orozco)
- Evgenij Onegin, scena della lettera (soprano: April Cantelo)
- Sinfonia n.6 (estratti)
- Sinfonia da "Manfred" di Byron (musiche di scena)
- Quartetto per archi n.3 (andante)
- Romeo e Giulietta (ouverture)
- Miniature march
- Ouverture 1812 (i cannoni che si vedono nel film sono realmente presenti in partitura, anche se si eseguono di solito con altri strumenti: è una composizione scritta da Ciaikovskij per ricordare la sconfitta di Napoleone e la sua ritirata dalla Russia)
Si ascoltano anche:
Felix Mendelssohn, "Dance of the clowns"
Aleksandr Borodin, "Danze polovesiane" dall'opera "Il principe Igor"

PS: ho sempre scritto "Ciaikovskij" secondo la trascrizione italiana per due motivi: il primo, fondamentale, è che spesso i caratteri fonetici vengono cancellati o trascritti male quando vengono messi on line, e non mi piace vedere scritto Caikovskij e Sostakovic, che danno luogo a pronunce completamente sbagliate. Il secondo motivo è che ci sono affezionato. Noi italiani abbiamo la c dolce e mi sembra giusto usarla, gli inglesi invece sono costretti a scrivere Tchaikowsky, i tedeschi Tschaikowsky...


(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )

giovedì 2 luglio 2020

Il franco cacciatore


 
Der Freischütz (Il franco cacciatore, 1968) Regia di Joachim Hess. Tratto dall'opera di Carl Maria von Weber. Fotografia di Hannes Schindler. Produzione di Rolf Liebermann. Orchestra e coro dell'Opera di Stato di Amburgo, direttore Leopold Ludwig. Interpreti: Gottlöb Frick, Ernst Kozub, Arlene Saunders, Edith Mathis, Tom Krause, Toni Blankenheim, Hans Sotin, Franz Grundheber, Regina Marheineke, Bernhard Minetti. Durata: 2 ore e 5 minuti

Un uomo ha venduto l'anima al diavolo, e sta per arrivare il momento in cui ne dovrà rendere conto; mancano poche ore, bisogna trovare qualcuno che prenda il suo posto. L'uomo si chiama Kaspar, il nome del diavolo è Samiel; siamo nella Boemia del primo Ottocento, tra campagne e foreste. Kaspar individua l'uomo che prenderà il suo posto nel giovane Max, che sta per sposare Agathe; Max ha bisogno di certezze dopo aver perso una gara di tiro al bersaglio e sa che se non vincerà la gara del giorno dopo, davanti al principe, non avrà il posto di lavoro che gli può consentire il matrimonio. Kaspar conduce Max alla Gola del Lupo, e quella stessa notte fondono insieme sette pallottole magiche, sotto lo sguardo del diavolo Samiel. Tutto finirà bene, ma il pericolo corso è grande e solo l'amore di Agathe e l'intervento di un misterioso eremita permetteranno il lieto fine.
L'opera è "Der Freischütz", "Il franco cacciatore", ed è stata messa in musica da Carl Maria von Weber tra il 1817 e il 1820, su libretto di Johann Friedrich Kind. La musica di Weber è meravigliosa, commuove e appassiona; e la scena della Gola del Lupo è uno dei momenti più grandi nella storia del Romanticismo in musica. Insomma, una storia di diavoli e di fantasmi ma anche una grande storia d'amore, immersa nella Natura e nel magico.

 
"Der Freischütz" è stato trasposto in un film nel 1968, per la regia di Joachim Hess e con Rolf Liebermann come produttore; la figura di Liebermann è particolarmente importante anche perché dieci anni dopo realizzerà il "Don Giovanni" di Mozart con regia di Joseph Losey. Rolf Liebermann, svizzero di Zurigo (1910-1999) era nel 1968 direttore artistico ad Amburgo e poi assumerà lo stesso incarico all'Opera Parigi tra il 1973 e il 1980. Liebermann, che è stato anche compositore, ha al suo attivo molti film d'opera o di musica come produttore, tredici in tutto secondo www.imdb.com partendo da "Antithese" di Mauricio Kagel (1965), e passando per il documentario "A Stravinsky portrait", "Le nozze di Figaro", "Der Freischütz", "Fidelio", fino al "Wozzeck" di Alban Berg diretto da Bruno Maderna (1972) e alla "Lulu" sempre di Alban Berg nell'allestimento Boulez - Chereau, e infine il "Don Giovanni" con Losey del 1979. Il regista Joachim Hess ha lavorato molto per la tv tedesca, anche con altri allestimenti operistici e spesso in collaborazione con Liebermann. Hess non è Ingmar Bergman ma è bravo, ha fatto qui un ottimo lavoro anche se forse ha un po' mancato proprio la scena più attesa, quella della Gola del Lupo (molto difficile da rendere, del resto); ma guardando il film si notano molte analogie con "Il Flauto Magico" di Bergman, uscito sette anni dopo, e può ben darsi che il regista svedese abbia tenuto conto di questo "Franco cacciatore", molto fedele al testo originale come poi saranno anche Bergman e Losey.

 
Leopold Ludwig dirige bene e la ripresa sonora è buona; sono molto bravi i cantanti anche come attori. Il film è a colori, con una tavolozza particolarmente ricca.
Il cast è composto da cantanti d'opera di solida professionalità: spicca il nome del basso Gottlöb Frick, dalla voce ideale per il ruolo di Kaspar (sapeva essere anche comico, come dimostra il suo Osmin nel "Ratto dal serraglio" di Mozart) dal volto cupo e dalla barba nerissima. Max è il tenore Ernst Kozub, "heldentenor" di grande sicurezza; Agathe è Arlene Saunders e Annina è Edith Mathis. Franz Grundheber è Kilian, il cacciatore che sconfigge Max nella gara di tiro al bersaglio all'inizio; Toni Blankenheim è Kuno, padre di Agathe e capo dei guardacaccia; Tom Krause è Ottokar, il principe padrone della tenuta di caccia, e Hans Sotin è l'eremita.
Merita una sottolineatura la presenza nel cast di Bernhard Minetti, nel ruolo recitato di Samiel (il diavolo). Minetti, 1905-1998, è stato un importante attore tedesco di origini italiane, nativo di Kiel, rimasto famoso anche per le sue collaborazioni con lo scrittore austriaco Thomas Bernhard, che gli dedicò un testo teatrale intitolato "Minetti, ritratto di un artista da vecchio".



 
 


sabato 27 giugno 2020

Macbeth (1986)


Macbeth (1986) Regia di Claude D'Anna. Versione per il cinema dell'opera di Giuseppe Verdi. Fotografia di Pierre Dupouey. Musica di Giuseppe Verdi. Interpreti: Leo Nucci, Shirley Verrett, Anna Caterina Antonacci, Johan Leysen (voce di Samuel Ramey), Philippe Volter (voce di Veriano Luchetti) e molti altri. Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, direttore Riccardo Chailly. Durata: 2h11'

Negli anni '80, sulla scia del grande successo del Flauto Magico di Bergman e del Don Giovanni di Losey, furono realizzati molti film tratti da opere liriche, con registi di grande nome come Francesco Rosi, Peter Brook, Franco Zeffirelli, e con buoni risultati anche al botteghino. Di questo periodo fa parte anche il "Macbeth" di Giuseppe Verdi realizzato dal francese Claude D'Anna, che è un fedele allestimento dell'opera. L'edizione è completa, mancano solo le danze nella scena con le apparizioni delle streghe (la seconda visita di Macbeth alle streghe) ma è un taglio praticato comunemente anche in teatro. Protagonisti, sia in voce che come attori, Leo Nucci e Shirley Verrett; i personaggi di Banco e di Macduff sono invece affidati ad attori (rispettamente Johan Leysen e Philippe Volter) ma le voci che ascoltiamo sono quelle del basso Samuel Ramey del tenore Veriano Luchetti, due interpreti molto famosi. Devo dire che fa un certo effetto ascoltare Samuel Ramey, per esempio, e vedere un altro che muove la bocca: Ramey e Luchetti sono ben noti a tutti gli appassionati, non solo in voce ma anche nel loro aspetto fisico. La stessa cosa capita con quasi tutti gli interpreti, e da questo punto di vista, come in molti altri, bisogna dire che il "Macbeth" di Claude D'Anna non è molto diverso dai film d'opera degli anni '40 e '50, sul tipo di quelli con Sofia Loren che interpreta Aida. La situazione era molto diversa con Bergman e con Losey, dove i cantanti erano anche attori, e tutta la rappresentazione era ad un livello molto più alto. Si tratta comunque di un buon film, l'esecuzione musicale è ottima e la messa in scena è ben fatta e molto fedele al testo originale, niente a che vedere con gli stravolgimenti e le invenzioni narcisistiche di altri registi, purtroppo non solo al cinema. D'Anna ha una sua forza inventiva e rimane fedele al testo, e bisogna rendergliene atto.
 

Leo Nucci come attore rende bene sia la forza che la fragilità di Macbeth, Shirley Verrett come Lady Macbeth era già impressionante a teatro (la si può vedere anche nelle registrazioni alla Scala con Claudio Abbado) e qui è ancora in gran forma. Poco convincenti gli attori doppiati dai cantanti, ma nel complesso è una buona messa in scena, con le inevitabili goffaggini riguardo a ogni Macbeth, soprattutto se si va sui primi piani, le streghe, le apparizioni, lo spettro di Banquo... Sono cose che succedono con i primi piani, che a teatro non esistono ma al cinema sono quasi obbligatori e non si può fare ciò che riusciva a Giorgio Strehler sul palcoscenico (consiglio a tutti la visione delle registrazioni alla Scala, pochi anni prima di questo film). Per completezza, bisognerà dire che in teatro non esistono i primi piani ma oggi c'è chi riesce lo stesso a fare danni anche sul palcoscenico, ed è una triste considerazione. D'Anna se la cava bene quasi dappertutto, evitando particolari raccapriccianti, come lo spettro di Banquo insanguinato o ridotto a zombie (è già successo), anche se qualche domanda me la sono posta lo stesso guardando il film. In particolare, ci si possono porre domande su cosa stia facendo Lady Macbeth con quel coltello, che cosa si voglia suggerire quando muove le mani sulla lama in quel modo durante la scena dell'uccisione del re Duncan, ma direi che si può anche sorvolare.
 

Claude D'Anna, regista francese nato nel 1945, ha al suo attivo 19 film (secondo www.imdb.com ) ma in Italia ne sono arrivati pochi. Ha girato anche una Salome, prima di questo Macbeth, ma è un film recitato e non ha nulla a che vedere con l'opera di Richard Strauss. Nella lista degli interpreti si trova il nome di Philippe Volter (Macduff, doppiato da Veriano Luchetti) che forse qualcuno ricorda come protagonista di "La doppia vita di Veronica" di Kieslowski.
La parte musicale è diretta da Riccardo Chailly, con l'orchestra e il coro del Teatro Comunale di Bologna; con Leo Nucci, Shirley Verrett, Samuel Ramey e Veriano Luchetti cantano Anna Caterina Antonacci (dama), Sergio Fontana (medico), Antonio Barasorda (Malcolm), Gianfranco Casarini (un domestico), Gastone Sarti (un sicario), Giuseppe Morresi (araldo); Natale De Carolis e Marco Fanti sono due delle tre apparizioni (sono i dati che ho trovato in rete, chiedo scusa per i nomi mancanti).